La sindrome giapponese dell’Hikikomori è diventata un serio problema tra i giovani di età compresa tra i 14 e i 30 anni, particolarmente dopo la pandemia di COVID-19 che ha contribuito a favorire solitudine e isolamento sociale. In provincia di Treviso, in un istituto tecnico sono stati accertati già più di cinque casi: per far fronte al problema, l’ULSS ha promosso un progetto mirato a favorire il reinserimento dei ragazzi che soffrono di Hikikomori nella società.
La reazione della scuola con il maggior numero di studenti coinvolti
La preside dell’istituto tecnico dove si sono registrati il maggior numero di casi ha sottolineato che la scuola può svolgere un ruolo chiave nell’aiutare questi ragazzi, ma non può risolvere il problema da sola. Per gli studenti colpiti è stata mantenuta attiva la didattica a distanza anche dopo la pandemia, con la speranza di incoraggiarli a tornare fisicamente a scuola.
La partecipazione alle lezioni, anche se a distanza, è vista come positiva e indica che la scuola può offrire un valido aiuto ai ragazzi colpiti dalla sindrome dell’Hikikomori. Un caso su tutti è quello di uno studente che, dopo un anno e mezzo di isolamento, è rientrato in classe e ha completato con successo il suo percorso di studi.
Il progetto “Felicità”
In provincia di Treviso la situazione è ormai allarmante e chiede soluzioni efficaci e immediate. La sindrome dell’Hikikomori è una sfida che richiede un impegno a lungo termine e un approccio comprensivo per favorire il recupero e il benessere di coloro che ne sono affetti. Per questo l’ULSS ha avviato il progetto “Felicità” che coinvolge già circa 50 ragazzi che hanno scelto di isolarsi per varie ragioni. La durata del percorso previsto dal progetto è di sei mesi, durante i quali gli operatori dell’ULSS cercano di stabilire un contatto con questi giovani reclusi nelle loro stanze per provare, al termine del percorso, a farli partecipare a gruppi di auto mutuo aiuto organizzati negli ambienti comunali.
L’approccio multidisciplinare del progetto “Felicità” cerca di affrontare questa complessa sindrome coinvolgendo le famiglie, le strutture territoriali e la scuola. L’obiettivo è quello contribuire al recupero di questi giovani che hanno scelto l’isolamento sociale come risposta alle difficoltà della vita quotidiana.
La sindrome di Hikikomori
La sindrome di Hikikomori, coniata dallo psichiatra giapponese Tamaki Saito nel 1998, si manifesta quando un individuo, tipicamente di età compresa tra i 14 e i 30 anni, decide di ritirarsi completamente dalla vita sociale, dalle relazioni, dal confronto e dal giudizio. Questo comportamento si traduce in un totale isolamento che lo porta a evitare contatti diretti con altre persone, compresi i familiari, preferendo rimanere confinato nelle sue stanze usando il web come unico mezzo di comunicazione con il mondo esterno.
Fino a prima del Covid, la sindrome era praticamente sconosciuta e solo recentemente si è capito che rappresenta una sfida significativa per colore che ne sono affetti e per i loro cari. Le cause del ritiro sociale possono essere molteplici, tra cui bassa autostima, insicurezza nei rapporti sociali, rapporti familiari negativi e paura delle relazioni esterne, ma anche un carattere troppo sensibile o la paura del giudizio altrui.
Il progresso tecnologico, sebbene possa facilitare l’isolamento attraverso il mondo virtuale, è considerato una conseguenza piuttosto che una causa del ritiro sociale. Internet diventa l’unico contatto con il mondo esterno una sorta di rifugio da una realtà che li spaventa.