Il 28 marzo il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto attuativo che abolisce il numero chiuso per i corsi di Medicina, Odontoiatria e Veterinaria dall’anno accademico 2025-2026. La riforma, promossa dalla ministra dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini, elimina il test d’ingresso a risposta multipla, sostituendolo con un semestre “filtro” e una selezione posticipata.
Questa trasformazione, anziché rappresentare la svolta epocale attesa, sta generando crescente apprensione tra studenti, università e sindacati, sollevando dubbi sulla reale efficacia e sulla gestione pratica del nuovo sistema.
Dettagli della riforma
Dal 2025-2026 l’accesso ai corsi di Medicina prevederà un’immatricolazione aperta a tutti per il primo semestre, eliminando il tradizionale test d’ingresso. Durante questo periodo gli studenti dovranno affrontare esami su tre insegnamenti comuni stabiliti dal ministero, per un totale di 18 crediti formativi.
Sulla base dei risultati conseguiti verrà stilata una graduatoria nazionale che determinerà chi potrà continuare il percorso di studi. Restano però numerose zone d’ombra: non sono ancora stati definiti i criteri precisi per la valutazione delle prove, come verranno pesati i voti nei diversi atenei e quali possibilità avranno gli studenti esclusi dopo mesi di studio. La riforma mantiene comunque un limite ai posti disponibili, spostando semplicemente la selezione dal test iniziale al primo semestre.
Criticità e rischi per gli studenti
La riforma dell’accesso a medicina rischia di generare un’ondata di false aspettative tra i giovani. Con l’apertura indiscriminata alle immatricolazioni, si prevede che oltre 70.000 aspiranti medici si presenteranno ogni anno, mentre solo una frazione potrà effettivamente proseguire il percorso. Questo sistema potrebbe rivelarsi ancora più frustrante dell’attuale test d’ingresso, lasciando migliaia di studenti a fronteggiare una dolorosa esclusione dopo mesi di impegno intenso e investimenti economici.
Le conseguenze psicologiche non sono da sottovalutare: chi non supererà la selezione si troverà costretto a cambiare percorso accademico dopo un semestre, con un notevole dispendio di tempo, energie e risorse.
Particolarmente preoccupante risulta l’incertezza sui criteri valutativi che determineranno la graduatoria nazionale: docenti e associazioni studentesche denunciano la mancanza di trasparenza riguardo alle modalità con cui verranno pesati i voti e gestite le inevitabili disparità tra i diversi atenei. Questa opacità rischia di minare ulteriormente l’equità del sistema selettivo, aumentando lo stress e l’ansia tra i candidati.
Impatti sulla logistica universitaria e calendario degli esami
Le università pubbliche si trovano in grande difficoltà davanti alla prospettiva di gestire un’ondata massiccia di nuovi iscritti. Mancano aule, laboratori, docenti e persino le risorse economiche necessarie per sostenere un primo semestre aperto a tutti. Proprio per questo motivo la frequenza non sarà obbligatoria, una decisione che però rischia di compromettere la qualità formativa e l’equità della selezione.
Particolarmente problematica appare la tempistica degli esami: le prove potrebbero essere programmate già a dicembre, riducendo il periodo effettivo di studio a soli 3-4 mesi. Un intervallo così ristretto solleva serie preoccupazioni sulla possibilità per gli studenti di dimostrare adeguatamente la propria preparazione. Molti docenti universitari esprimono dubbi sulla validità di una selezione basata su un periodo di apprendimento così compresso, che potrebbe rivelarsi ancora più severa dell’attuale test d’ingresso.
Implicazioni sul mercato del lavoro e prospettive future
Il settore sanitario italiano oscillerà probabilmente tra carenza e sovrabbondanza di medici se la riforma verrà implementata senza un’adeguata pianificazione. Aumentare indiscriminatamente gli accessi al primo semestre rischia di generare, nel lungo termine, un’inflazione di professionisti che potrebbe trasformare l’attuale emergenza in un problema di disoccupazione medica.
Le associazioni di categoria evidenziano come questo approccio affrettato, guidato più da necessità politiche che strategiche, manchi di una visione strutturata del fabbisogno sanitario futuro. Servirebbero invece norme complete e un’attenta programmazione per bilanciare l’offerta formativa con le reali necessità del sistema sanitario, evitando che la riforma si limiti a spostare il problema senza risolverlo efficacemente.
Vedi anche:
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