Lidia Macchi: omicidio irrisolto per trent’anni
Alla fine degli anni Ottanta l’omicidio di Lidia Macchi ha sconvolto l’Italia intera lasciando una serie di questioni aperte per lungo tempo. La vittima era una ragazza di venti anni che studiava Legge all’Università Statale di Milano. Il 7 Gennaio del 1987 il suo corpo senza vita fu ritrovato nel bosco di Cittiglio, in provincia di Varese: dopo l’autopsia fu constatato che la ragazza due giorni prima era stata violentata e poi uccisa con 29 coltellate. Il caso acquistò subito interesse nazionale ma è rimasto irrisolto fino al Giugno del 2015: dopo quasi trent’anni dall’omicidio il sostituto procuratore generale di Milano Carmen Manfredda ha riaperto le indagini che hanno portato all’arresto di Stefano Binda.
Omicidio Lidia Macchi: chi è Stefano Binda
Stefano Binda, un ragazzo di Brebbia, aveva frequentato lo stesso liceo di Lidia Macchi ed entrambi erano legati al movimento di Comunione e Liberazione. Binda aveva una personalità fragile e all’epoca aveva cominciato a far uso saltuario di eroina. Lidia, una brava ragazza impegnata negli scout, aveva intenzione di aiutarlo ad uscire dal giro della droga tanto che all’epoca cominciò a documentarsi su libri che trattavano di tossicodipendenze. Tra i due si era instaurato un rapporto di forte amicizia, forse di attrazione reciproca, che però non era sfociato mai in nessun tipo di relazione amorosa.
Omicidio Lidia Macchi: la lettera che ha incastrato Binda
Ad incastrare Binda è stata una lettera recapitata alla famiglia Macchi il 10 Gennaio del 1987, giorno del funerale della studentessa. Nella lettera, scritta in stampatello su un foglio bianco, erano riportati molti particolari del delitto e il movente legato ad un’ossessione religiosa: Lidia veniva descritta come ‘agnello sacrificale’ e vittima di ‘orrenda cesura’. A dare una svolta alle indagini anni dopo è stata la testimonianza di Patrizia Bianchi, amica dell’imputato, che dopo aver visto la lettera in una trasmissione televisiva notò la somiglianza tra la calligrafia della missiva e quella di alcune cartoline che le aveva spedito Binda ai tempi della scuola. La perizia calligrafica ha confermato tale ipotesi e, pochi giorni fa, i giudici della Corte d’assise di Varese hanno condannato all’ergastolo Stefano Binda per omicidio volontario aggravato dalla crudeltà e da motivi abbietti e futili.
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