Sentenza Bossetti: processo
Il 28 febbraio 2015 è la data di chiusura delle indagini: siamo al termine della storia della morte di Yara Gambirasio. Massimo Bossetti viene arrestato. Il processo si basa prevalentemente su prove biologiche e circostanziali ma il 1º luglio 2016 la Corte d’Assise di Bergamo condanna l’imputato all’ergastolo per l’omicidio di Yara. La Corte riconosce inoltre l’aggravante della crudeltà e revoca a Bossetti la potestà genitoriale sui suoi tre figli. Vengono disposti anche ingenti risarcimenti. Il processo d’appello inizia il 30 giugno 2017. La difesa esibisce nuove prove ma il 17 luglio 2017 la Corte d’Appello di Brescia conferma la sentenza del primo grado di giudizio, giudicando Bossetti colpevole e condannandolo all’ergastolo. Il 12 ottobre 2018 la Corte di Cassazione respinge il ricorso degli avvocati della difesa e conferma la condanna all’ergastolo di Bossetti… ma quali sono di preciso le prove che lo hanno condannato? Scopriamole insieme…
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Sentenza Bossetti: prove
Di seguito riportiamo tutte le prove a carico di Massimo Bossetti:
- Dna: è la prova che ha fatto più discutere e che ha portato in carcere il condannato per l’omicidio di Yara Gambirasio. Sul corpo della ragazza, infatti, è stata trovata una traccia biologica (su slip e leggings) attribuita a ‘Ignoto 1’. Si tratta di una traccia mista, forse sangue, il cui match arriva dopo un’indagine faticosa: si risale al padre del presunto colpevole (Giuseppe Guerinoni, morto), poi alla madre (Ester Arzuffi) che nega la relazione clandestina e sostiene di essere stata inseminata a tradimento. Si risale al figlio, è lui il colpevole più probabile.
- Celle telefoniche: nel giorno del delitto l’ultima telefonata di Bossetti è delle 17.45, poi il telefono non aggancia più nulla fino alla mattina alle 7.34. L’ultima cella che aggancia è quella di via Natta a Mapello, vicino al luogo del delitto.
- Le fibre tessili: sul corpo di Yara c’erano fibre “compatibili” con la tappezzeria dei sedili del furgone di Bossetti. Trovate anche sferette metalliche riconducibili a chi lavora nell’edilizia. Prova certa? No, ma indizio di colpevolezza.