Alunni con DSA: dai dati risultano forti disparità geografiche

Alunni con DSA: dai dati risultano forti disparità geografiche

In Italia gli studenti con disturbi specifici dell'apprendimento rappresentano il 6% della popolazione scolastica, secondo i dati più recenti del ministero dell'Istruzione.
Alunni con DSA: dai dati risultano forti disparità geografiche

In Italia gli studenti con disturbi specifici dell’apprendimento rappresentano il 6% della popolazione scolastica, secondo i dati più recenti del ministero dell’Istruzione. Questa percentuale, frutto di un incremento contenuto negli ultimi anni, ha acceso un dibattito tra gli specialisti del settore.

Da un lato chi ritiene i numeri attendibili e chiede interventi più tempestivi, dall’altro chi considera questi dati sovrastimati rispetto agli standard internazionali, sollevando interrogativi sui criteri diagnostici e sulle procedure di certificazione adottate nel nostro paese.

I dati ministeriali

In Italia gli alunni con disturbi specifici dell’apprendimento rappresentano il 6% del totale degli studenti secondo i dati dell’anno scolastico 2022/2023 pubblicati dal ministero dell’Istruzione. Alla scuola primaria si contano 49.418 unità, nelle medie 112.210 e alle superiori 192.941.

Dall’anno 2014/2015 l’incremento è stato inferiore a mezzo punto percentuale. La dislessia risulta più diffusa, con percentuali che variano dall’1,3% nella primaria fino al 4% nelle superiori. Per disgrafia, disortografia e discalculia si registrano percentuali progressivamente crescenti nei diversi gradi di istruzione, con picchi nelle scuole secondarie.

Differenze territoriali

L’analisi dei dati ministeriali rivela marcate disparità geografiche: Nord Ovest (7,9%), Centro (6,1%), Nord Est (6,7%) e Sud (2,8%). Questo divario solleva interrogativi sull’uniformità del sistema sanitario nazionale nel supportare le esigenze degli studenti con disturbi dell’apprendimento nelle diverse aree del paese.

Critiche e controversie

Il dibattito sui dati ministeriali è acceso tra gli esperti del settore. Il pedagogista Daniele Novara critica apertamente le procedure di screening nella scuola dell’infanzia, definendole “selvagge” e inappropriate per valutare l’immaturità naturale dei bambini.

Secondo Novara, i disturbi esistono ma non nelle percentuali riportate in Italia, che risultano doppie rispetto alle previsioni internazionali attestate al 2-3%. La polemica si estende anche al proliferare di centri privati che effettuerebbero test senza basi scientifiche, creando quello che viene definito un “business” delle diagnosi.

D’altra parte, altri specialisti sostengono che l’aumento dei casi sia correlato a una maggiore sensibilizzazione e a una migliore capacità di identificazione, rivendicando l’importanza del supporto precoce ai disturbi dell’apprendimento.

Implicazioni per scuole e famiglie

I dati evidenziano l’importanza di interventi tempestivi per gli alunni con DSA. Le scuole hanno il dovere di effettuare potenziamenti mirati e comunicare eventuali difficoltà alle famiglie. Queste ultime decidono liberamente se procedere con la certificazione, nonostante le resistenze legate alla comprensione del problema o ai tempi di attesa nel sistema sanitario pubblico.

Il dibattito sui percorsi educativi

La discussione tra esperti evidenzia una fondamentale distinzione tra strumenti educativi: il Piano Educativo Individualizzato (PEI) per studenti con disabilità certificate dalla Legge 104/92 e il **Piano Didattico Personalizzato (PDP)** obbligatorio per alunni con DSA.

Come sottolinea l’esperto Pontis, contrariamente a certe critiche, non esistono realmente “percorsi facilitati” ma programmazioni adattate alle necessità specifiche. Il PDP può essere attivato anche per difficoltà di apprendimento non diagnosticate come disturbi. L’approccio contemporaneo privilegia una visione che considera la diagnosi come elemento iniziale di un processo educativo più ampio e personalizzato.

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