La giustizia nei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni
I provocatori, i soverchiatori, tutti coloro che, in qualunque modo, fanno torto altrui, sono rei, non solo del male che commettono, ma del pervertimento ancora a cui portano gli animi degli offesi”
(“I Promessi Sposi” capitolo II).
Il Manzoni, con tono dolente e pacato, per guidare ad una riflessione morale sulla giustizia (per giunta valida per ogni tempo e non solo per il secolo XVII) si serve della storia de I Promessi Sposi, reale e immaginaria, per chiarire quanto ognuno di noi sia responsabile con le proprie azioni anche degli altri. A voi il giudizio. Sin dalle prime pagine de “I promessi sposi”, il Manzoni ci presenta una società soverchiatrice, violenta, dove le questioni (come dice lo stesso don Abbondio, durante il colloquio con Renzo) non si discutono in termini di torto o di ragione, ma in termini di forza. I principali responsabili di questa drammatica situazione, sono, sempre secondo l’Autore, i vari signori e signorotti locali, i quali, disponendo di un’elevata influenza sulle istituzioni giudiziarie e protetti da piccoli eserciti personali di bravi, eludono con facilità le gride per far valere il proprio potere d’oppressione sulla popolazione.
Il clima d’ingiustizia e di violenza è quindi determinato dall’ancora forte potere feudale, personificato nella figura di don Rodrigo, e dalla totale inefficacia dell’apparato giudiziario spagnolo, la cui organizzazione burocratica, lenta e macchinosa, non riesce a garantire ai cittadini la protezione necessaria. Così, l’unica “giustizia” rispettata è quella di don Rodrigo e di quelli che, come lui, dispongono della violenza come strumento di dominio.
Ma non basta. Anche gli intellettuali, uomini di chiesa come no, sono asserviti alla causa del potere, e sono costretti ad accettarne le logiche di sfruttamento. Don Abbondio, l’Azzecca-garbugli, uomini comuni, persone di per sé innocue, lontane dal sangue e dalla violenza, divengono, insieme alla stessa cultura che possiedono, le vittime e gli strumenti dell’oppressione. Appare quindi chiaro, a questo punto, il senso delle parole del Manzoni: gli oppressori, non si limitano a esercitare la violenza sui deboli, ma coinvolgono nelle loro logiche anche uomini prima estranei al terribile sistema dell'”ingiustizia organizzata”.
Oltre però agli intellettuali che diventano uno strumento nelle mani del potere, macchiandosi di delitto, le parole dell’Autore si riferiscono anche a un altro tipo di induzione alla violenza e all’odio: quella che i quotidiani episodi d’oppressione suscitano nella povera gente. Dalla base della piramide sociale, si vedono salire infatti, oltre alle lacrime dei deboli sfruttati, anche le loro parole di rabbia, di odio, di indignazione, di vendetta. Ed è a questo proposito che il Manzoni scrive la sua massima: “I provocatori, i soverchiatori, tutti coloro che, in qualunque modo, fanno torto altrui, sono rei, non solo del male che commettono, ma del pervertimento ancora a cui portano gli animi degli offesi”. Infatti, dopo aver appreso la verità, e cioè che il suo matrimonio con Lucia è impedito dal volere di don Rodrigo, la prima reazione di Renzo è quella di progettare tremendi propositi di vendetta.
Improvvisamente, la figura di Renzo si stravolge, e quel giovane “pacifico e alieno dal sangue” che era, si trasforma in un aspirante assassino. Avrebbe voglia di farla finita e, pur con i suoi scarsissimi mezzi, di affogare nel sangue la boria di don Rodrigo. Nella sua mente vorticano improvvisamente turpi progetti di morte: agguati, omicidi, vendette. La sua metamorfosi, veloce e drammatica quanto disperata, colpisce il lettore e lo spinge a riflettere sulle parole dell’autore. È il circolo vizioso dell’odio e della violenza (il forte opprime il debole che impara ad odiare a sua volta) che trasforma la storia umana, e non solo quella del Seicento, in una immensa carneficina, in una grande valle di rabbia e oppressione.
Ma a questo punto interviene il tema della provvidenza divina, tanto caro al Manzoni, che fornisce il modo per spezzare il circolo che aggiunge male al male. Così come l’immagine di Lucia riporta la ragione nella mente di Renzo e lo riconduce sulla sua strada, così come la sua ferma fiducia in Dio e nella giustizia divina, riporteranno la luce nell’oscurità dei biechi pensieri di Renzo, la provvidenza promette al debole la redenzione e il riscatto dall’oppressione, a patto che sia lui, il primo a interrompere il circolo di sangue, non rispondendo alla violenza con altra violenza (nel Vangelo, Cristo stesso dice: “Se ti danno uno schiaffo, tu non rispondere, ma porgi l’altra guancia”).
Lucia stessa griderà allarmata a Renzo, sentiti i suoi propositi: “No, no, per amor del cielo! Il Signore c’è anche per i poveri; e come volete che ci aiuti, se facciam del male?”. In queste parole, il Manzoni ci lascia un profondo messaggio, la fiducia nella giustizia divina come unico mezzo di ribellione alle logiche della violenza che, in ogni minimo sopruso, alimentano lo spettro del male che aleggia su tutta la storia umana.
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