STORIA
La morte di Enrico IV
Muore il 14 maggio, ENRICO IV di Borbone, re di Navarra e re di Francia. Dopo aver firmato un'alleanza con la Unione protestante tedesca contro i cattolici e gli Asburgo, un fanatico cattolico, Francois Ravaillac, lo assassina mentre il re percorre una strada di Parigi.
Enrico educato dalla madre alla fede calvinista, nel 1569 divenne capo indiscusso del partito ugonotto in lotta contro il potente partito cattolico dei Guisa. Gli succede il figlio LUIGI XIII, di soli nove anni, sotto la reggenza di Maria de' Medici, sposata da Enrico, nel 1600, dopo aver ripudiato la moglie Margherita di Valois.
Maria de' Medici presto si avvarrà di un personaggio molto singolare. Un giovane militare che non per sua scelta divenne vescovo. Lo troviamo fin d'ora reggente del novenne Luigi XIII. Maria lo nominò prima elemosiniere, poi segretario di stato alla Guerra e agli affari esteri: il suo nome ARMAND RICHELIEU.
Durante l'ancien regime il regicidio era naturalmente considerato il crimine più grave che un suddito potesse commettere; durante l'esecuzione i carnefici e il pubblico si accanivano macabramente sul corpo del regicida. L'atroce supplizio del monaco Ravallaic (27 maggio 1610), l'assassino di Enrico IV, è descritto con una certa dovizia di particolari e non senza spirito critico nelle memorie del viaggiatore polacco Jacob Sobieski.
Inizia la campagna d'Italia
All'inizio dell'anno le difficoltà del Direttorio si erano accresciute con la caotica situazione delle finanze francesi, nonostante gli sforzi che il Direttorio stesso aveva compiuto per ricostruire l'apparato fiscale e liberarsi dalla massa esorbitante della circolazione monetaria cartacea. Ma proprio queste difficoltà interne spingevano il Direttorio ad una politica bellicosa: una vittoria militare gli appariva infatti come il solo modo per consolidare il proprio prestigio rispetto a Monarchici e Giacobini, ma anche per "risolvere" il problema finanziario con le "contribuzioni" dei paesi occupati. Ai primi del 1796, pertanto, l'infaticabile Lazzaro CARNOT, che manteneva in seno al Direttorio le sue funzioni di direttore militare, progettava un'offensiva di grandi proporzioni, mediante due eserciti, agli ordini dei Generali Jourdane e Moreau, che avrebbero dovuto invadere la Germania e puntare su Vienna. Un terzo esercito, con forze minori, avrebbe dovuto facilitare questo piano, tenendo impegnate in Italia le forze del re di Sardegna e parte di quelle Austriache.
2 MARZO – Napoleone chiamato da Barras – che voleva in questo modo compensare i servigi resi in occasione della Rivolta parigina – viene nominato comandante supremo dell'Armata d'Italia.
Nella strategia del direttorio la campagna in Italia era solo un'offensiva secondaria, la principale era invece quella che doveva essere sferrata sul Reno dai generali Jourdan e Moreau. A loro due furono affidate le migliori truppe. Al giovane ventisettenne Napoleone, misero a disposizione 38.000 soldati raccattati qui e là, male armati, male equipaggiati, inesperti, insofferenti alla disciplina, abulici, e molti di loro per la prima volta inquadrati in un reparto militare.
Doveva insomma pensarci Napoleone a farsi il suo esercito, a organizzarlo a disciplinarlo a metterlo in movimento. Napoleone scrisse al direttorio: "quello che esigete da me, sono miracoli, ed io non li posso fare". Lui che è dell'artiglieria, non ha nemmeno un reparto di artiglieria. Ha in tutto 24 piccoli cannoni da montagna. Lui che ha vinto l'assedio a Tolone non ha un solo soldato che abbia mai partecipato ad un assedio. Gli hanno dato 400 cavalli malati. Viveri per i suoi 38.000 uomini per un solo mese, a mezza razione. E 300.000 franchi per le paghe: 7 franchi per ogni soldato, sottufficiali e ufficiali compresi. Paghe da fame.
Insomma, nel vedere e sentire queste miserie, alcuni erano tornati a cantare gli inni reali; "altro che impresa repubblicana" ! Erano coscienti di essere stati scelti per andare tutti al macello, messi insieme solo per "tappare i buchi".
9 MARZO – Napoleone prima di partire per la campagna d'Italia, sposa Giuseppina Tascher, ved. Beauharnais. assai più anziana di lui e dal passato anche burrascoso: a Giuseppina vedova del Generale ghigliottinato gli veniva attribuita anche una relazione con il Barras, l'uomo che aveva riportato alla ribalta proprio Napoleone. La donna era molto mondana e piuttosto esuberante.
11 MARZO – A due giorni dal matrimonio, Napoleone lascia Parigi per raggiungere il "suo" esercito da condurre in Italia per conquistare, "onore, gloria e ricchezze". Non ha nessun piano prestabilito. Non una sola carta a proprio favore. Non conosce i soldati che comanderà, nè questi conoscono lui. Come non conosce i generali, tutti più anziani di lui, di carriera, più pratici di comando e di battaglie, ma che dovranno essere i suoi sottoposti, e sa di non poter essere da loro nè amato nè stimato. "Sapevo che dalle mie prime giornate dipendeva tutto il mio avvenire. Decise la mia ambizione, come rivincita contro la mediocrità della vita. "Poi in Italia, ad Arcole, con i "miei" uomini, scoprii che ero stato chiamato a fare grandi cose". (dalle Memorie).
La "scampagnata" verso l'ignoto doveva durare 30 giorni, soldi da Parigi non sarebbero mai più arrivati. Se Napoleone voleva continuare avrebbe dovuto pensarci solo lui; cioè "arrangiarsi" lungo la strada, e la strada che doveva percorrere era – gli avevano detto – ricca di risorse, c'erano città prosperose, c'erano le ricchezze dei Signori, c'erano Musei pieni d'arte, campagne, allevamenti, merci d'ogni genere. In poche parole intendevano dirgli questo: "porta via quello che vuoi, quando vuoi, dove vuoi; cioè – arrangiati, espropria, requisisci, "ruba".
Ai suoi uomini – a quel rudere di esercito che gli avevano affidato – Napoleone ha fatto un discorso da imperatore romano: "Soldati, voi siete nudi, mal nutriti; il governo molto vi deve, ma nulla può darvi. La vostra pazienza , il coraggio che mostrate sono ammirevoli…io voglio condurvi nelle più fertili pianure del mondo, ricche province, grandi città saranno in potere vostro: vi troverete onore, gloria, ricchezze….".
Quando terminò ci fu qualche debole acclamazione, ma poi quando si ritrovarono tutti assieme qualcuno osservò amaramente: "Con quella pelle che ha, gialla come il limone, molto resistente non mi sembra, non andrà molto lontano. Ha delle belle parole con le sue pianure fertili! ma dovrebbe pensare prima a darci le scarpe per arrivarci".
Con gli ufficiali le cose non è che andarono molto diversamente, ma comunque un po' meglio. Li aveva convocati, ma li fece attendere, così l'avversione, la diffidenza e l'insofferenza nei suoi confronti, aumentò ancora di più. Il più carismatico tra di loro, Augereau, si sbilanciò con i colleghi: "io mi farò sentire, userò le maniere forti con questo giovanotto". Quando arrivò, Napoleone non disse quasi nulla, non fece un discorso di circostanza come ai soldati, ma impartì ai presenti solo ordini secchi e precisi. "lei farà questo, lei prepari quest'altro, e lei pensi solo a quello ecc, ecc". Nessuno fiatò. Lo sguardo di Napoleone li aveva ipnotizzati. Augereau che doveva parlare a nome di tutti, rimase muto fino alla fine, inchiodato, anche lui a rispondere si, e poi ancora sì, come tutti gli altri; poi finito l'incontro, con Napoleone che aveva già girato i tacchi, riprese fiato con i colleghi, ma solo per dire, quasi balbettando, al suo vicino, generale MESSENA: "questo piccolo generale corso… mi ha fatto…mi ha fatto paura!".
1 APRILE – Napoleone in una tenda, passa ore e ore a far calcoli e a visionare mappe. Nello Stato maggiore fatto di vecchi ufficiali abituati all'azione e alle battaglie a vista, questa mania intellettuale appare come una bizzarria. Dirà in seguito Messena: "passava o per un matematico o per un visionario".
Napoleone concepisce infine il suo piano. Non fa affidamento sulla forza ma sull'intelligenza. Annibale ha invaso l'Italia valicando le Alpi, lui le vuole invece circuire le Alpi. "Non é necessario attendere l'estate; fra le Alpi e l'Appennino ligure c'é un solco. E da lì noi entreremo, con la neve ancora dura, questo mese stesso! Anzi fra sette giorni. La data e il luogo per i piemontesi e gli austriaci sarà una vera sorpresa, che non si aspettano".
2 APRILE – Scatta l'ora X. Tutto si svolge secondo i piani ed è una campagna lampo contro il Piemonte: Napoleone osa attaccare – a Cairo Montenotte – l'esercito austriaco comandato dal generale Beaulieu, . 38.000 uomini e 25 cannoni, contro i 70.000 uomini e 200 bocche di fuoco degli austro-piemontesi. Attaccano, sbaragliano, vincono e proseguono….la corsa.
13 APRILE – Altra battaglia vittoriosa di un reparto a Millesimo, seguita subito dopo da quella a Dego. Gli austriaci che hanno perso contatto con i piemontesi, sono costretti alla ritirata verso la Lombardia. Ma Napoleone invece di inseguirli – come ha fatto in Piemonte – in quella direzione, secondo il piani del Direttorio, visti divisi i due alleati, quindi con l'esercito sabaudo isolato, non vuole perdere l'occasione, si volge contro i Piemontesi. Il primo a cadere é il bastione trincerato di Ceva, i piemontesi arretrano su Mondovì, subito inseguiti dai francesi.
21 APRILE – Dilagando da Ceva spalancata, tutti i reparti i francesi raggiungono Mondovì. I resti delle truppe sabaude che vi si erano rifugiate sono sconfitte, nella cosiddetta Battaglia di Mondovì. Uno scontro per nulla impegnativo per i francesi, già pronti a marciare verso Torino. Non c'è più nulla da fare per Vittorio Amedeo III. Con i francesi a pochi chilometri dalla capitale piemontese, il Savoia inviò a Napoleone la richiesta di una tregua d'armi, pronto a trattare a Cherasco il giorno 28 aprile con la disponibilità a cedere alcuni territori.
28 APRILE – Viene firmato a palazzo Salmatoris l'armistizio di Cherasco (col regno sabaudo sardo piemontese). Con il successivo Trattato di pace firmato a Parigi, la Francia acquisisce Nizza e l'alta Savoia. Ora Napoleone, con le spalle coperte, ha la strada libera per entrare nel resto d'Italia, dilagare nella pianura Padana. Siamo in Aprile inizio Maggio, e la Primavera ha infiorato valli, campi, giardini, città e paesi. I suoi soldati non devono più credere al magniloquente discorso della partenza, davanti a loro hanno una vera realtà. E che realtà! La Pianura Padana era tutta in fiore! Altro che terra promessa! Questo era il Paradiso!
La carboneria
Con la morte all'inizio dell'anno anche di FERDINANDO I di Borbone, re delle Due Sicilie, con i decessi dello scorso anno, sono scomparsi in Italia tutti quei sovrani che alla caduta di Napoleone erano tornati con la restaurazione sul trono, e con il regime antiliberale imposto dall'Austria (o meglio da Metternich) si erano impegnati a combattere i costituzionalisti, i moti di ogni genere detti "liberali", per nuovamente imporre il loro assolutismo di imprinting feudale.I successori, anche se non avevano provato l'onta della destituzione napoleonica, né al loro ritorno sul trono il piacere della vendetta covata nei lunghi anni di esilio, non hanno per nulla modificato l'atteggiamento reazionario dei padri; il conservatorismo dimostrano che é retrivo e di natura genetica.
Anche a Napoli, scomparso Ferdinando, il sovrano tanto discusso negli ultimi cinque anni, con i suoi atteggiamenti sorprendenti e dalla condotta sconcertante, gli succede il figlio FRANCESCO I.
Appena salito sul trono per alcuni mesi – concedendo amnistie o graziando i condannati a morte – il nuovo re borbonico diede l'impressione di essere più clemente del padre, ma poi non si sottrasse al doppio piacere di spingere il suo apparato poliziesco a continuare la repressione, con particolare accanimento a perseguitare quegli elementi che avevano dato vita alla rivoluzione napoletana del 1820; quella guidata dal generale Pepe, anche lui sempre con tenacia ricercato assieme ad altri suoi seguaci per mandarlo sulla forca. Se questa era la situazione dentro gli stati assolutisti, quasi tutti sotto l'influenza austriaca, quella esistente nello Stato Pontificio, con in giro sul territorio il cardinale AGOSTINO RIVALORA con la sua famigerata polizia segreta, la situazione era molto più seria. Quest'anno colpito da un vero e proprio zelo repressivo, in Romagna, l'alto prelato conduce una spietata operazione di caccia ai cospiratori su vasta scala. A centinaia ne butta dentro le galere pontificie, sulle navi legati alle catene dei remi, impone obblighi religiosi per espiare nell'Anno Santo i peccati, ma spesso preferisce dar loro "l'olio santo" giustiziandoli o impiccandoli sulle pubbliche piazze. L'influenza della politica austriaca sulla penisola italiana non è solo apparente o potenziale, ma abbastanza effettiva. L'Italia appare di fatto parte integrante dell'impero austriaco, con tutti i sovrani alle dipendenza dell'imperatore. Questa sensazione appare evidente quando FRANCESCO I, scende nuovamente in Italia in maggio, per incontrare a Milano tutti i suoi "zelanti servi" sovrani della penisola, poi, per oltre tre mesi, fino alla fine di agosto, come a voler riaffermare – in prima persona e con la sua presenza fisica – il pieno controllo sull'Italia, compie delle solenni visite in quasi tutti gli Stati alla cui guida sono i suoi "burattini".
L'ultima di queste scene servili e umilianti la offre CARLO ALBERTO; l'uomo che la storia definisce enigmatico quando invece la doppiezza di quest'uomo è ampiamente manifesta. Dopo aver subito l'umiliazione della destituzione come reggente alla rivoluzione torinese del '21, dopo l' allontanamento dalla corte in un reparto fedele al re guardato a vista, dopo lo zelo dimostrato in Spagna contro i costituzionalisti per riscattarsi, i suoi esami di strisciante umiltà li deve sostenere davanti allo zio inginocchiandosi e facendo atto di sottomissione di fronte all'imperatore.
Per i costituzionalisti che avevano riposto la fiducia nel filo-liberale principe, come sostenitore della causa, più che provare delusione, provarono vergogna per lui. Anche se ben altri sdegni e ostilità devono ancora verificarsi e sarà ancora più amaro il calice che l' ipocrita principe darà a loro da bere; anche se c'erano alcuni come Mazzini che credevano che questa sua doppiezza non fosse altro per non compromettere la sua successione e che una volta salito sul trono sarebbe ritornato filo-liberale e antiaustriaco. (Gli ci vollero venti anni di regno, per arrivare a questa decisione, e purtroppo poco persuaso non convinse nè i liberali nè gli austriaci; fu un'altra vergogna).
LETTERATURA
Il Positivismo
E’ una corrente di pensiero che interessò gli anni che vanno dal 1848 al 1870.
Il termine Positivismo indica il proposito di rifiutare le tendenze astratte, metafisiche, spiritualistiche, proprie del Romanticismo, e di prendere in esame i fatti positivi, analizzandoli alla luce della scienza.
Alla scienza, viene riconosciuta la capacità di guidare gli uomini verso il progresso e di costruire una società, con il massimo grado di giustizia e di benessere. La scienza è ritenuta capace di dominare la natura percui è considerata garanzia del destino dell’uomo.
Su questa base il Positivismo, ritiene che:
1) L’unica conoscenza, che l’uomo ha della terra è di tipo scientifico, costruita attraverso l’osservazione dei fenomeni, la formulazione di ipotesi, e la loro verifica sperimentale.
2) La ricerca scientifica, deve essere assolutamente indipendente dalla religione.
3) Ogni manifestazione della natura e della vita dell’uomo, è spiegabile in termini scientifici
Per il Positivismo è possibile cioè analizzare scientificamente la società umana come un qualsiasi altro organismo, ed è possibile anche individuare le cure più adatte a guarire i problemi della società.
Proprio per il suo ottimismo, per l’importanza che da alla ragione il Positivismo è avvicinabile all’Illuminismo.
Tuttavia l’illuminismo era stato l’arma della Borghesia del 700 per eliminare pregiudizi e privilegi e per creare una società migliore.
La vera e grande novità del positivismo è costituita dal tentativo di estendere il metodo sperimentale a tutti i rami del sapere, dalla filosofia alla storia, dall’arte alla letteratura, e addirittura alla realtà umana, perché si riteneva che anch’essa come quella fisica fosse retta da leggi naturali.
Questa corrente, nacque in Francia nell’ambiente del Politecnico (Grande scuola nata nella rivoluzione Francese per il potenziamento dell’istruzione).
Il metodo scientifico applicato con rigore anche all’antropologia, portò l’inglese Darwin a formulare la teoria dell’Evoluzionismo e delle sue leggi, cioè l’adattamento della specie all’ambiente e la selezione naturale, nella lotta per la sopravvivenza.
Darwin affermava che tutte le forme animali e vegetali anche le più complesse derivano per una evoluzione, da forme elementari di vita. Questa teoria fu ostacolata dalla Chiesa che sosteneva il creazionismo fissista.
Importante, fu anche il critico letterario Ippolito Taine che vedeva nell’uomo solo un prodotto di fattori ereditari, e dell’ambiente; egli ritiene inoltre che il metodo scientifico può essere applicabile all’arte, contribuendo alla nascita del Naturalismo Francese. Per l’italia ricordiamo Pasquale Villari, famoso per la sua opera “Lettere Meridionali” con cui fece conoscere la miseria delle popolazioni del sud, affrontando l’analisi della storia con il metodo sperimentale.
Alla base del Positivismo ci sono due fattori fondamentali:
1) L’ascesa della Borghesia industriale, che acquista una mentalità pratica e affarista
2) Lo sviluppo scientifico e tecnologico della rivoluzione industriale nella seconda metà del 1800.
Il Positivismo portò un cambiamento anche nella letteratura, sottolineando l’esigenza di un’arte ispirata al vero e che ritraesse anche gli aspetti negativi della società.
Decadentismo
Corrente artistica, filosofica e letteraria europea che ebbe origine in Francia (il periodico "Le Décadent" venne fondato nel 1886) e si sviluppò in Europa alla fine dell'Ottocento. Il decadentismo nacque in un'epoca di passaggio da un'economia basata sulla libera concorrenza alle grandi concentrazioni finanziarie e industriali, in una situazione contraddittoria che vide stagnazione economica e rinnovamento del sistema produttivo, repressione delle masse popolari e attenzione per la questione sociale.
In Italia, i maggiori scrittori decadenti furono D'Annunzio, Pascoli e Fogazzaro. Gabriele d'Annunzio rovesciò l'elemento aristocratico tipico del decadentismo in spettacolo da offrire al pubblico, in parte da recitare a beneficio delle masse. E lo fece creando anzitutto il mito di se stesso, l'intellettuale più celebre e chiacchierato dell'epoca in Italia. Egli tenne conto con grande tempismo delle esperienze letterarie straniere contemporanee sia in prosa sia in poesia, e infatti i principali temi dell'epoca sono presenti nella sua opera. Così, se Andrea Sperelli, il protagonista del romanzo Il piacere (1889), rappresenta l'uomo raffinato e colto amante dell'arte e delle donne, Claudio Cantelmo impersona il superuomo nelle Vergini delle rocce (1895), mentre nel Notturno (1921) prevale un ripiegamento dell'autore su se stesso, assieme a una tematica più intima e riflessiva. La poesia di d'Annunzio, che teneva conto soprattutto delle esperienze francesi, divenne in breve il modello di riferimento (sia in positivo sia in negativo) della generazione di poeti contemporanea e di quella successiva. La sua sensibilità straordinaria investe il mondo dei sentimenti, quello della natura e quello dell'arte, e la sua affascinante scrittura, ricca e suggestiva, ne costituisce la più appropriata traduzione in termini letterari.
La poesia di Giovanni Pascoli rappresenta un felice tentativo di sprovincializzazione in senso simbolista, fondato su una realtà locale molto individuata, anche linguisticamente. Il poeta possiede una sensibilità che gli permette di entrare in contatto con il mondo che egli canta senza mediazioni razionali o intellettuali, e la sua poesia rende conto di questa magica sintonia. Lo fa con termini molto precisi, anche di uso comune, con versi spezzati e interrotti, con una ricerca sul suono che vuole ridare la suggestione degli oggetti di tutti i giorni e degli ambienti modesti che sono la base della sua ispirazione
SCIENZA E TECNICA
Galileo Galilei
Secondo Galileo la funzione della fisica è la conoscenza della natura non come indagine sulle essenze dei fenomeni, ma sulle leggi che li regolano.
Questo dà vita ad una nuova concezione del rapporto causale diversa da quella metafisica aristotelica secondo cui era necessario lo studio delle cause dei fenomeni per la determinazione dei loro effetti. Essendo il concetto di causalità libero da ogni significato di fine e riferimento antropomorfico, l’indagine deve vertere sulle leggi meccaniche.
La scienza ha il compito quindi di descrivere e spiegare i fenomeni attraverso teorie matematiche. Lo strumento dell’indagine è la matematica che, oltre a consentire di rappresentare la realtà in termini quantitativi , permette di formulare con esattezza i principi delle teorie e di determinare le conseguenze deducibili. Ci deve essere un’attenta collaborazione fra l’osservazione empirica, con le dirette conseguenze che se ne traggono e i puri ragionamenti matematici i quali non devono indurre a escludere l’esperienza, ma servono a renderla più comprensibile.
Per la rigorosità dell’osservazione è necessario l’uso di strumenti che consentano di analizzare i dati dal punto di vista quantitativo. Si fonda un nuovo rapporto tra scienza e tecnica in cui lo scienziato deve sfruttare le scoperte di quest’ultima e, con i suoi studi, risolvere i problemi tecnici.
Galileo sostenne sempre l’indipendenza della scienza la quale deve sottostare alla sola autorità della ragione. Egli condusse una battaglia per liberare la scienza dall’influenza della tradizione religiosa e della tradizione filosofica. Nei confronti della religione, essendo uomo di fede, sostenne che sia la natura che la Bibbia, la quale conteneva concezioni che sembravano andare contro la moderna scienza, derivano da Dio e come tali non possono contraddirsi; le contraddizioni fra le verità scientifiche e quelle religiose sono quindi solo apparenti. La Bibbia va interpretata in quanto essa contiene una verità etico – religiosa, ma per quanto riguarda le verità naturali è la scienza che deve raggiungerle; l’interpretazione della Bibbia deve quindi adattarsi alla scienza.
Galilei ha dato un decisivo contributo alla scienza moderna, tanto da esserne considerato il padre, individuando un metodo per procedere nello studio dei fenomeni. Non espone tuttavia organicamente questo modo di procedere, lo applicò senza teorizzarlo . Dai suoi scritti si possono comunque ricostruirne le fasi.
Inizialmente si divide il lavoro in un momento risolutivo e in uno compositivo. Nel primo si ha lo studio degli elementi semplici quantitativi e misurabili e si formula un’ipotesi matematica della legge. Il secondo momento è costituito dalla verifica e dall’esperimento, in base al risultato del quale si controlla la verità dell’ipotesi ; se essa viene confermata diviene legge. Nel caso contrario lo scienziato è costretto ad avanzare un’altra ipotesi .
Ma l’effettivo criterio con cui Galileo avanza consiste in una compresenza fra l’indagine empirico induttiva e il momento ipotetico deduttivo. Questo significa che egli in certi casi, come nelle leggi sulle fasi di Venere, procede dall’osservazione di casi particolari giungendo ad una legge generale quindi per via empirica. In altri, come il principio d’inerzia o la caduta dei gravi, parte da ragionamenti logico matematici scaturiti da un’intuizione di base e procedendo per supposizioni formula la teoria; a questo punto lo scienziato si riserva la verifica.
L’oscillazione fra induttivismo e deduttivismo ha dato vita a diverse interpretazioni e lo stesso Galileo, in certi passi, scrive che l’esperienza empirica va anteposta ad ogni discorso, ma in altri :<< senza esperienza son sicuro che l’effetto seguirà come vi dico, perché così è necessario che segua.
In realtà possiamo affermare che vi è una sostanziale implicanza ed indissolubilità fra i due aspetti; infatti l’esperienza va rielaborata razionalmente per spogliarla dei caratteri qualitativi e le ipotesi e supposizioni fanno comunque riferimento alla realtà poiché necessitano della verifica sperimentale.
Dal metodo emerge come sia cambiato il concetto di esperienza che non è più legata immediatamente all’apparenza sensibile , ma presuppone una elaborazione di dati e una costruzione teorica. Ciò determina una frattura fra la comune concezione delle cose e la fisica che caratterizzerà tutta la scienza moderna.
Dovendo essere dimostrata con l’esperimento, l’esperienza finisce con l’identificarsi proprio con questo. L’esperimento deve riprodurre il fenomeno in laboratorio dove si devono ricreare le autentiche condizioni, ma nel far questo bisogna ridurre al massimo i fattori di disturbo come ad esempio l’attrito nel moto nel moto dei corpi; talvolta Galileo deve anche procedere con esperimenti ideali. Tale procedura è utilizzata dallo scienziato quando, soprattutto per mancanza di strumenti tecnici, non è in grado di verificare le proprie teorie e deve ricorre ad una sorta di fisica ideale, in cui immagina ad esempio piani perfettamente levigati o assenza di determinate forze..
La dinamica
I contributi di Galileo nella meccanica e in particolare nella dinamica dei corpi sono di fondamentale importanza.
Anche se non ne enunciò mai la legge intuì il primo principio della dinamica. Egli osservò che un corpo, che può risalire, per mezzo della velocità acquistata nella caduta, raggiunge la stessa altezza iniziale indipendentemente dalla traiettoria seguita. Così un pendolo portato dalla posizione di equilibrio ad una certa altezza, una volta abbandonato raggiunge quasi la stessa altezza, la piccola differenza è dovuta agli attriti.
Galileo considerò poi una sferetta lasciata rotolare in un piano inclinato, la quale raggiunge quasi la stessa altezza se fatta risalire lungo un secondo piano inclinato. Riteneva che in assenza di attrito le altezze sarebbero state uguali. Ora, variando l’inclinazione del secondo piano, la sferetta raggiunge sempre la stessa altezza indipendentemente dall’inclinazione. La decelerazione è minore al diminuire dell’inclinazione del secondo piano, in quanto su piani più inclinati percorre più spazio rispetto a quelli con inclinazione maggiore. Quindi quando l’inclinazione del secondo piano è nulla, ovvero esso diventa orizzontale, la decelerazione è zero; pertanto Galileo intuì che in tali condizioni la sferetta si sarebbe mossa con velocità costante e che il suo moto sarebbe stato perpetuo. Questo naturalmente immaginando idealmente l’esperimento in assenza di attriti.
Un altro grande contributo di Galileo per la meccanica moderna è la scoperta del secondo principio della dinamica: le forze applicate ai corpi non imprimono loro delle velocità, bensì della accelerazioni (anche se Galileo non utilizzò precisamente questo termine) che risultano direttamente proporzionali alle forze che le hanno prodotte. Con questo principio si può determinare il concetto di accelerazione come variazione di velocità e il concetto di massa di un corpo come rapporto di proporzionalità fra le forze ad esso applicate e le accelerazioni prodotte da tali forze. Galilei trovò conferma di questo principio nello studio della forza di gravità che nel medesimo luogo risulta proporzionale alle masse dei corpi.
La prima vaccinazione della storia
Il medico condotto inglese Edward Jenner (1749-1823) inocula in un ragazzo, James Phipps (erroneamente ritenuto suo figlio), del pus prelevato da bovini colpiti da vaiolo animale. Il metodo riesce ad immunizzare il giovane. Jenner si è basato sulla pratica popolare della "variolizzazione", importata dall'oriente dalla nobildonna inglese Mary Montagu (1689-1762), e basata sull'immunizzazione dal vaiolo col pus prelevato da malati. Jenner sviluppa e definisce questa tecnica, utilizzando una sostanza più blanda, il pus del vaiolo bovino, che è meno aggressivo di quello umano. Il medico impiega la vaccinazione del tutto empiricamente: non sa infatti che all'origine del vaiolo sono microrganismi viventi. Lo scopriranno Bassi, Koch e Pasteur.
La locomotiva a vapore
Richard Trevithick non era riuscito a fare in modo che la locomotiva a vapore diventasse un successo commerciale. Un altro inventore inglese, George Stephenson, approfittò delle migliorie apportate alle macchine a vapore, e fu in grado di costruire una locomotiva a vapore che funzionasse adeguatamente. Il 17 settembre 1825, una delle sue locomotive trascinò trentotto vagoni a una velocità che variava dai 19 ai 25 chilometri l'ora circa. Per la prima volta nella storia del mondo, il trasporto via terra a una velocità maggiore rispetto a quella di un cavallo al galoppo stava per diventare possibile.
Le ferrovie iniziarono rapidamente a unire gli Stati tra loro. Si potrebbe sostenere che una nazione come gli Stati Uniti non avrebbe potuto essere tenuta unita se non per il fatto che le ferrovie rendevano tutte le parti ragionevolmente accessibili.
L'effetto doppler
L'avvento della locomotiva rese molto più notevole di prima un particolare fenomeno. La combinazione della velocità e di un fischio d'avvertimento, produsse l'effetto desiderato. La gente notò che il fischio aveva un tono elevato man mano che la locomotiva si avvicinava, e che il tono scendeva improvvisamente quando la locomotiva passava ed iniziava ad allontanarsi. Un fisico austriaco, Christian Johann Doppler (1803-1853), spiegò correttamente il fenomeno, sottolineando che le onde sonore partecipano al moto della fonte, e perciò raggiungono l'orecchio a intervalli più brevi quando la fonte sta avvicinandosi – da cui il tono più elevato.
Quando la fonte si allontana, le onde raggiungono l'orecchio a intervalli più lunghi – da cui il tono più basso. Questo avvenne nel 1842, e un paio d'anni più tardi Doppler procedette a verificare la questione dal punto di vista sperimentale. Per due giorni, una locomotiva tirò avanti e in dietro un pianale, a diverse velocità. Sul pianale c'erano dei suonatori di tromba che suonavano questa o quella nota, mentre a terra dei musicisti con un senso assoluto del tono, riferivano quel che udivano. In questo modo Doppler verificò la sua spiegazione. L'effetto Doppler, nel giro di qualche anno si rivelò di enorme importanza in relazione all'astronomia.
Lo spaziotempo
La teoria della relatività ristretta di Einstein, costrinse molti fisici a riesaminare la propria visione dell'universo. Era chiaro dall'opera di Einstein che una normale visione tridimensionale dell'universo era insifficiente.
Il matematico tedesco di origine russa Hermann Minkowski (1864-1909) pubblicò Tempo e spazio nel 1907. Nell'opera dimostrò che la relatività rendeva necessario considerare il tempo una sorta di quarta dimensione (trattata dal punto di vista matematico in modo lievemente diverso dalle tre dimensioni spaziali). Nè lo spazio ne il tempo esistevano separatamente, secondo Minkowski, per cui l'universo era composto da un'unica entità detta spaziotempo.
Einstein adottò questo concetto continuando a lavorare alle sue teorie. Stava cercando di estenderle al moto accelerato allo scopo di tener conto delle interazioni gravitazionali
- Storia