[T2]Vita ed opere[/T]
Lucio Accio, nato a Pisaurum, Pesaro, nel 170, figlio di un liberto fu sotto la protezione di Decimo Giunio Bruto Galleco, console nel 138, vincitore dei Galleci, popolo spagnolo; secondo Cicerone fece scrivere sui templi alcuni versi di Accio. Morì intorno all85 a.C. e conobbe Cicerone. olte le sue tragedie, di cui abbiamo 45 titoli, scrisse anche due praetextae: Brutus, destinata al primo console romano che cacciò Tarquinio il Superbo e Aeneadae sive Decius (gli eneadi [i romani n.d.T.] ovvero Decio). A. trattò in seguito praticamente l’intero “ciclo dei Pelopidi”, con una tragedia dallo stesso titolo, a cui si aggiungevano un Atreus (la vicenda della vendetta di Atreo contro il fratello Tieste), un Chrysippus, una Clytaemestra, un Aegisthus e una tragedia dal titolo Agamemnonidae, che sviluppavano tutta intera la serie delle atroci violenze che avevano caratterizzato ogni generazione di quella dinastia. Al “ciclo troiano”, invece, appartenevano l’Achilles, l’Epinausimache (la ripresa dei combattimenti nei pressi delle navi, un celebre episodio dell’Iliade), l’Armorum iudicium (la controversia fra Ulisse e Aiace sull’attribuzione delle armi di Achille), la Nyctegresia (la spedizione notturna di Diomede e Ulisse nel campo troiano), Troades, Astyanax, Deiphobus, ecc. Alcune di queste opere si ricollegano direttamente all’Iliade, altre alla Piccola Iliade e ad altri poemi ciclici.
[T2]Stile[/T]
La ricchezza oratoria di Accio, come traspare anche dai frammenti rimasti, prelude già allo stile delle tragedie di Seneca: il linguaggio ha un tono magniloquente e ridondante, ricco di giochi allitterativi e di composti eruditi. Si è poi spesso rimproverato all’autore l’eccessiva violenza e ricercatezza del suo stile, quella sua volontà di rimanere nel “sublime” ad ogni costo che, se non impedì il successo delle sue opere, segnò tuttavia l’inizio del declino cui andò incontro il genere tragico dopo di lui.
[T2]Conclusioni[/T]
E stata avanzata l’ipotesi che il poeta – scrittore, come si arguisce, prolifico – non avesse scelto i suoi soggetti senza una qualche finalità recondita e che, in una certa misura, tenesse conto dei problemi dell’attualità romana, ad es. della questione sociale nel periodo dei Gracchi. Anche se la cosa è difficilmente dimostrabile nei particolari, in se stessa, tuttavia, l’idea è ben lungi dall’essere inverosimile. Di sicuro c’è che i romani (e in particolare Cicerone, grande ammiratore di A., e al quale dobbiamo importanti citazioni) trovavano sempre, nelle sue opere, materiali per inattese applicazioni e “attualizzazioni”. Il che era agevolato dall’abbondanza delle massime morali e degli sviluppi di idee comuni, come la tirannide, l’esilio, eccetera. Importante testimonianza è anche il senso di “gravitas” religiosa e di presenza del divino che traspare dalle opere, e che sembra smentire le affermazioni dei moderni, troppo propensi a considerare la religione nazionale, in quell’epoca, solo come un’accozzaglia di leggende obsolete.
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