AD FAMILIARES DI CICERONE, LIBRO IV PARAGRAFO 6, VERSIONE TRADOTTA – TESTO LATINO
Ego vero, Servi, vellem, ut scribis, in meo gravissimo casu affuisses; quantum enim praesens me
adiuvare potueris et consolando et prope aeque dolendo, facile ex eo intelligo, quod litteris lectis aliquantum acquievi, nam
et ea scripsisti, quae levare luctum possent, et in me consolando non mediocrem ipse animi dolorem adhibuisti: Servius tamen
tuus omnibus officiis, quae illi tempori tribui potuerunt, declaravit et quanti ipse me faceret et quam suum talem erga me
animum tibi gratum putaret fore; cuius officia iucundiora scilicet saepe mihi fuerunt, numquam tamen gratiora. Me autem non
oratio tua solum et societas paene aegritudinis, sed etiam auctoritas consolatur; turpe enim esse existimo me non ita ferre
casum meum, ut tu, tali sapientia praeditus, ferendum putas; sed opprimor interdum et vix resisto dolori, quod ea me solatia
deficiunt, quae ceteris, quorum mihi exempla propono, simili in fortuna non defuerunt: nam et Q. Maximus, qui filium
consularem, clarum virum et magnis rebus gestis, amisit, et L. Paullus, qui duo septem diebus, et vester Gallus et M. Cato, qui
summo ingenio, summa virtute filium perdidit, iis temporibus fuerunt, ut eorum luctum ipsorum dignitas consolaretur ea, quam ex
re publica consequebantur; mihi autem amissis ornamentis iis, quae ipse commemoras quaeque eram maximis laboribus adeptus, unum
manebat illud solatium, quod ereptum est: non amicorum negotiis, non rei publicae procuratione impediebantur cogitationes meae,
nihil in foro agere libebat, aspicere curiam non poteram, existimabam, id quod erat, omnes me et industriae meae fructus et
fortunae perdidisse: sed, cum cogitarem haec mihi tecum et cum quibusdam esse communia, et cum frangerem iam ipse me et cogerem
illa ferre toleranter, habebam, quo confugerem, ubi conquiescerem, cuius in sermone et suavitate omnes curas doloresque
deponerem: nunc autem hoc tam gravi vulnere etiam illa, quae consanuisse videbantur, recrudescunt; non enim, ut tum me a re
publica maestum domus excipiebat, quae levaret, sic nunc domo maerens ad rem publicam confugere possum, ut in eius bonis
acquiescam. Itaque et domo absum et foro, quod nec eum dolorem, quem ad re publica capio, domus iam consolari potest nec
domesticum res publica. Quo magis te exspecto teque videre quam primum cupio maior enim levatio mihi afferri nulla potest quam
coniunctio consuetudinis sermonumque nostrorum; quamquam sperabam tuum adventumsic enim audiebam appropinquare. Ego autem
cum multis de causis te exopto quam primum videre, tum etiam, ut ante commentemur inter nos, qua ratione nobis traducendum sit
hoc tempus, quod est totum ad unius voluntatem accommodandum et prudentis et liberalis et, ut perspexisse videor, nec a me
alieni et tibi amicissimi; quod cum ita sit, magnae tamen est deliberationis, quae ratio sit ineunda nobis non agendi aliquid,
sed illius concessu et beneficio quiescendi. Vale.
AD FAMILIARES DI CICERONE, LIBRO IV PARAGRAFO 6, VERSIONE DI LATINO TRADOTTA – TRADUZIONE
Io davvero, Servio, vorrei, come scrivi, che tu fossi stato con me nella mia gravissima
disgrazia. Quanto avresti potuto infatti aiutarmi con la tua presenza confortandomi e soffrendo quasi con me lo capisco
facilmente dal fatto che ho trovato alquanto sollievo una volta lette le lettere. Infatti hai scritto parole tali da poter
alleviare il mio lutto e consolandomi hai dimostrato tu stesso un grande dolore dell’animo. Tuttavia il tuo Servio dimostrò
con tutte le premure che si poterono accordare in quel frangente quanto mi tenesse in considerazione e quanto pensava che ti
sarebbe stata gradita una tale disposizione d’animo nei miei confronti. E le sue premure mi furono spesso certamente assai
bene accette, tuttavia mai più gradite. Mi procurano conforto non solo le tue parole e la tua partecipazione al mio dolore,ma
anche la tua autorevolezza. Ritengo infatti vergognoso che io non sopporti così la mia disgrazia come tu dotato di tale
saggezza pensi che si debba sopportare. Ma sono talvolta oppresso e a stento resisto al dolore, poiché mi mancano quelle
consolazioni che non mancarono in una simile circostanza ad altri, la cui condotta esemplare mi è presente. Infatti sia Quinto
Massimo che perse il figlio ex console, uomo famoso anche per le grandi imprese, sia Lucio Paolo, che in sette giorni ne perse
due, sia il vostro Gallo, sia Marco Catone, che perse un figlio di sommo ingegno e virtù vissero in tempi tale che il prestigio
degli stessi consolò il loro dolore, cose che scaturivano dallo stato. Ma a me, perduti quegli onori che tu stesso menzioni e
che avevo ottenuto grazie a grandissime fatiche, rimaneva quel solo conforto che mi è stato sottratto. Non ostacolavano il
corso dei miei pensieri né gli affari degli amici né le cure dello stato, non mi piaceva fare niente nel foro, non potevo
rivolgere l’attenzione alla curia, pensavo, cosa che effettivamente era, di aver perso tutti i vantaggi della mia attività e
della sorte. Ma mentre pensavo di avere in comune queste cose con te e con alcuni e mentre mi dominavo da me stesso e mi
costringevo a sopportarle con pazienza, avevo dove rifugiarmi, dove trovare riposo, qualcuno nella cui dolce conversazione
riversare tutti gli affanni e i dolori. Ma ora per questa così profonda ferita anche tutte quelle che sembravano aver
cominciato a risanarsi tornano a sanguinare. Infatti, come allora dalla vita pubblica accoglieva me triste una casa che mi
offriva conforto, così ora da casa afflitto non posso rifugiarmi nello stato in modo da trovare pace nei suoi vantaggi.
Pertanto sono distante da casa e dallo stato, poiché né la casa può ormai consolare quel dolore che ricevo dalla vita pubblica,
né lo stato quello familiare. Tanto più ti aspetto e desidero vederti quanto prima. Nessun maggior sollievo mi si può arrecare
che il vincolo della nostra amicizia e dei nostri discorsi; pertanto spero che il tuo arrivo si avvicini (così infatti sento
dire). Ma io desidero vederti quanto prima sia per molte ragioni sia anche affinché riflettiamo prima tra noi in quale modo
dobbiamo trascorrere questo periodo di tempo, cosa che è da conformare alla volontà di uno solo, saggio e liberale e, come mi
pare d’aver visto chiaramente, senza ostilità nei miei riguardi e pieno di amicizia nei tuoi. Stando così le cose, tuttavia
dobbiamo vagliare quale condotta adottare non per fare qualcosa, ma per stare tranquillo grazie al suo favore e alla sua
benevolenza. Sta’ bene.
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