Liberi
iam hinc populi Romani res pace belloque gestas, annuos magistratus, imperiaque legum potentiora quam hominum peragam. Quae
libertas ut laetior esset proximi regis superbia fecerat. Nam priores ita regnarunt ut haud immerito omnes deinceps conditores
partium certe urbis, quas nouas ipsi sedes ab se auctae multitudinis addiderunt, numerentur; neque ambigitur quin Brutus idem
qui tantum gloriae superbo exacto rege meruit pessimo publico id facturus fuerit, si libertatis immaturae cupidine priorum
regum alicui regnum extorsisset. Quid enim futurum fuit, si illa pastorum conuenarumque plebs, transfuga ex suis populis, sub
tutela inuiolati templi aut libertatem aut certe impunitatem adepta, soluta regio metu agitari coepta esset tribuniciis
procellis, et in aliena urbe cum patribus serere certamina, priusquam pignera coniugum ac liberorum caritasque ipsius soli, cui
longo tempore adsuescitur, animos eorum consociasset? Dissipatae res nondum adultae discordia forent, quas fouit tranquilla
moderatio imperii eoque nutriendo perduxit ut bonam frugem libertatis maturis iam uiribus ferre possent. Libertatis autem
originem inde magis quia annuum imperium consulare factum est quam quod deminutum quicquam sit ex regia potestate numeres.
Omnia iura, omnia insignia primi consules tenuere; id modo cautum est ne, si ambo fasces haberent, duplicatus terror uideretur.
Brutus prior, concedente collega, fasces habuit; qui non acrior uindex libertatis fuerat quam deinde custos fuit. Omnium primum
auidum nouae libertatis populum, ne postmodum flecti precibus aut donis regiis posset, iure iurando adegit neminem Romae
passuros regnare. Deinde quo plus uirium in senatu frequentia etiam ordinis faceret, caedibus regis deminutum patrum numerum
primoribus equestris gradus lectis ad trecentorum summam expleuit, traditumque inde fertur ut in senatum uocarentur qui patres
quique conscripti essent; conscriptos uidelicet nouum senatum, appellabant lectos. Id mirum quantum profuit ad concordiam
ciuitatis iungendosque patribus plebis animos.
Versione tradotta
"Da questo punto narrerò le imprese del popolo Romano ormai libero, compiute in pace e in guerra, le
magistrature annuali e i comandi delle leggi più efficaci che dagli uomini. La superbia dell'ultime re aveva fatto sì che
questa libertà fosse più gradita. Infatti i primi regnarono in modo che non ingiustamente tutti uno dopo l'altro sono
ritenuti fondatori almeno di parti della città, che essi stessi aggiunsero come nuove sedi della popolazione da loro
accresciuta; nè si dubita che il medesimo Bruto, che si guadagnò tanta gloria per avere cacciato il re Superbo, avrebbe fatto
ciò con grandissimo danno dello lo Stato, se per desiderio della libertà non ancora matura avesse tolto il regno a qualcuno dei
primi re.
Che cosa infatti sarebbe accaduto, se quella accozzaglia di pastori e malfattori, fuggitiva dalle loro
popolazioni, ottenuta o la libertà o almeno l'immunità sotto la protezione dell'asilo inviolabile, libera dal timore del
re, avesse cominciato ad agitarsi nei tumulti tribunizi e a seminare lotte coi patrizi in una città straniera prima che i
legami di coniugi e figli e l'amore per la stessa, a cui ci si abitua dopo lungo tempo, avesso reso socievoli gli animi
loro? Lo stato non ancora adulto sarebbe stato, abbattuto dalla discordia, mentre lo rinvigorì la tranquilla mitezza del
governo e (lo) portò rafforzando(lo) a punto che potè produrre buon frutto di libertà quando le forze (furono) ormai
mature.
Inoltre potresti stabilire l'origine della libertà più da ciò che il governo dei consoli fu fatto annuale, che
prchè di qualcosa fu diminuito il regio potere.
I primi consoli mantennero tutti i diritti, tutte le insegne; solo fu
evitato questo, che sembrasse raddopiata la paura, se entrambi portavano i fasci. Bruto ebbe per primo i fasci col consenso del
collega; ed egli non era stato rivendicatore della librtà più deciso di come ne fu custode. Innanzi tutto impegnò con
giuramento il popolo, geloso della nuova libertà, che, acciò non potesse poi lasciarsi piegare da preghire o doni, del re, non
avrebbe permesso che alcuno regnasse in Roma. Poi, per dare maggior forza al Senato anche col numero dell'assemblea,
accrebbe il numero di senatori che era stato diminuito dalle stragi del re(Superbo) fino alla somma di trecento avendo scelto i
primi dell'ordine equestre.
Si narra che da allora si tramandò l'uso che venissero chiamati in Senato quelli che
erano patrizi e quelli che erano coscritti: naturalmente chiamavano coscritti quelli che erano stati scelti per il nuovo
senato. Ciò giovò mirabilmente alla concordia della cittadinanza e a congiungere gli animi della plebe ai patrizi."
- Letteratura Latina
- Ab urbe condita
- Livio
- Ab urbe condita