Ad Urbe Condita, II, 3 - Studentville

Ad Urbe Condita, II, 3

Cum haud cuiquam in

dubio esset bellum ab Tarquiniis imminere, id quidem spe omnium serius fuit; ceterum, id quod non timebant, per dolum ac

proditionem prope libertas amissa est. Erant in Romana iuuentute adulescentes aliquot, nec ii tenui loco orti, quorum in regno

libido solutior fuerat, aequales sodalesque adulescentium Tarquiniorum, adsueti more regio uiuere. Eam tum, aequato iure

omnium, licentiam quaerentes, libertatem aliorum in suam uertisse seruitutem inter se conquerebantur: regem hominem esse, a quo

impetres, ubi ius, ubi iniuria opus sit; esse gratiae locum, esse beneficio; et irasci et ignoscere posse; inter amicum atque

inimicum discrimen nosse; leges rem surdam, inexorabilem esse, salubriorem melioremque inopi quam potenti; nihil laxamenti nec

ueniae habere, si modum excesseris; periculosum esse in tot humanis erroribus sola innocentia uiuere. Ita iam sua sponte aegris

animis legati ab regibus superueniunt, sine mentione reditus bona tantum repetentes. Eorum uerba postquam in senatu audita

sunt, per aliquot dies ea consultatio tenuit, ne non reddita belli causa, reddita belli materia et adiumentum essent. Interim

legati alia moliri; aperte bona repetentes clam reciperandi regni consilia struere; et tamquam ad id quod agi uidebatur

ambientes, nobilium adulescentium animos pertemptant. A quibus placide oratio accepta est, iis litteras ab Tarquiniis reddunt

et de accipiendis clam nocte in urbem regibus conloquuntur.

Versione tradotta

Mentre non era dubbio per nessuno che

una guerra era imminente da parte dei Tarquini, essa invero si ebbe più tardi di quanto si aspettassero tutti; ma, ciò che non

temevano, la libertà fu quasi per inganno e tradimento. Alcuni giovani erano fra la gioventù romana, e non nati di bassa

origine; la cui vita capricciosa era stata troppo dissoluta durante il periodo regio, coetanei e compagni dei giovani figli di

Tarquinio, assuefatti a vivere alla maniera del despota. Desiderando quella vita licenziosa allora che era uguale il diritto di

tutti, si lagnavano tra di loro che la libertà degli altri si fosse convertita nella loro servitù: il re era un uomo, dal quale

si poteva ottenere, sia che ci fosse bisogno di un diritto sia vendetta di un'offesa; vi era possibilità di benevolenza,

v'era di benefizio, poteva sia adirarsi sia perdonare; ben conosceva la differenza fra l'amico e il nemico; le leggi

erano qualcosa di insensibile, d'inesorabile, più vantaggiosa e migliore per il debole che per il potente; non avevano

nessuna indulgenza nè perdono, se si fosse ecceduto il limite; era pericoloso il vivere di sola onestà fra tante colpe degli

uomini.
testo
Ed ecco quando già gli animi erano scontenti di per sè, degli ambasciatori giungono dalla famiglia reale, a

richiedere soltanto i beni privati senza menzione del ritorno. Dopo di che le parole di essi furono udite nel Senato, la

consultazione su quel fatto occupò per alquanti giorni, che (i beni) non restituiti fossero cagione di guerra, restituiti,

materia e mezzo di aiuto per la guerra. Frattanto gli ambasciatori si adoperavano per altre cose; richiedendo apertamente i

beni tramavano di nascosto dei piani per riconquistare il regno; e come brigando per ciò per cui sembrava che si adoperassero,

tentano l'animo dei giovani nobili. Consegnano le lettere dai Tarquini a quelli dei quali il discorso è stato accolto

favorevolmente e discutono insieme sul modo di accogliere la famiglia del re di nascosto di notte.

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