De bonis regiis, quae reddi ante censuerant, res integra refertur ad patres. Ibi uicit ira; uetuere reddi, uetuere in publicum
redigi. Diripienda plebi sunt data, ut contacta regia praeda spem in perpetuum cum iis pacis amitteret. Ager Tarquiniorum qui
inter urbem ac Tiberim fuit, consecratus Marti, Martius deinde campus fuit. Forte ibi tum seges farris dicitur fuisse matura
messi. Quem campi fructum quia religiosum erat consumere, desectam cum stramento segetem magna uis hominum simul immissa
corbibus fudere in Tiberim tenui fluentem aqua, ut mediis caloribus solet. Ita in uadis haesitantes frumenti aceruos sedisse
inlitos limo; insulam inde paulatim, et aliis quae fert temere flumen eodem inuectis, factam; postea credo additas moles
manuque adiutum, ut tam eminens area firmaque templis quoque ac porticibus sustinendis esset. Direptis bonis regum damnati
proditores sumptumque supplicium, conspectius eo quod poenae capiendae ministerium patri de liberis consulatus imposuit, et qui
spectator erat amouendus, eum ipsum fortuna exactorem supplicii dedit. Stabant deligati ad palum nobilissimi iuuenes; sed a
ceteris, uelut ab ignotis capitibus, consulis liberi omnium in se auerterant oculos, miserebatque non poenae magis homines quam
sceleris quo poenam meriti essent: illos eo potissimum anno patriam liberatam, patrem liberatorem, consulatum ortum ex domo
Iunia, patres, plebem, quidquid deorum hominumque Romanorum esset, induxisse in animum ut superbo quondam regi, tum infesto
exsuli proderent. Consules in sedem processere suam, missique lictores ad sumendum supplicium. Nudatos uirgis caedunt securique
feriunt, cum inter omne tempus pater uoltusque et os eius spectaculo esset, eminente animo patrio inter publicae poenae
ministerium. Secundum poenam nocentium, ut in utramque partem arcendis sceleribus exemplum nobile esset, praemium indici
pecunia ex aerario, libertas et ciuitas data. Ille primum dicitur uindicta liberatus; quidam uindictae quoque nomen tractum ab
illo putant; Vindicio ipsi nomen fuisse. Post illum obseruatum ut qui ita liberati essent in ciuitatem accepti uiderentur.
Versione tradotta
testo
"La questione
riguardo i beni del re, che già prima avevano deciso che venissero restituiti, viene proposta di nuovo ai senatori. Allora lo
sdegno prevalse; vietarono che si restituissero, vietarono che fossero devoluti al pubblico erario. Furono abbandonati alla
plebe perchè fossero saccheggati, affinchè toccata dalla preda dei beni regi perdesse per sempre la speranza di pace con essi.
Il campo dei Tarquini, che si trovava tra la città e il Tevere, consacrato a Marte, fu poi il campo Marzio. Il frutto del farro
si dice che lì per caso fosse allora maturo per la mietitura. Poichè era cosa sacrilega impiegare quel prodotto del campo, una
gran moltitudine di uomini immessa (nel campo) rovesciarono con canestri il frumento tagliato con lo stelo simultaneamente nel
Tevere che scorreva con corrente bassa, come suole nel pieno dei calori estivi. Così i mucchi di fieno trattenendosi nelle
parti basse vi si fermarono avvolti nel limo; poi a poco apoco si formò un'isola anche con gli altri (detriti), che il fiume
trasporta acso, trascinati nel medesimo posto; più tardi credo che dei macigni furono aggiunti e che ci si aiutò con il lavoro
manuale, in modo che si formasse una superficie alta e solida anche per sostenere templi e portici. Saccheggiati i beni del
re, i traditori furono condannati e la pena capitale fu inflitta, tanto più insigne in quanto il consolato attribuì il compito
di stabilire la pena per i figli al padre, e colui che avrebbe dovuto essere allontanato come spettatore il caso diede lui
stesso esecutore del supplizio. Dei giovani nobilissimi stavano legati al palo; ma i filgi del conole avevano fatto volgere gli
occhi di tutti su di sè dagli altri in quanto condannati ignoti e i cittadini avevano pietà della pena non più che del delitto,
per il quale avevano meritato la pena: essi avevano accolto mell'animo di consegnare a chi era stato una volta re superbo,
allora esule pericoloso, e proprio in quell'anno, la patria divenuta libera, il padre liberatore, il consolato sorto dalla
casa Giulia, i senatori, la plebe, tutto ciò che v'era di divino e di umano per i Romani.
I consoli avanzarono fino alla
loro sede, e i lettori furono mandati ad infliggere il supplizio. Li battono con le verghe dopo averli denudati e colpiscono
con la scure, mentre il padre e il volto e l'espressione di lui era di spettacolo durante tutto quel tempo, l'animo
paterno mostrandosi mirabile durante l'esecuzione della pena pubblica. Subito dopo il supplizio dei malfattori, affinchè
l'esempio per allontanare i delitti fosse memorabile in entrambi i casi una somma di denaro dell'erario, della libertà la
cittadinanza furono concesse in premio al denunciatore.
Egli si dice che per primo fu dichiarato libero con la verghetta.
Alcuni credono che anche il nome della verghetta fu tratto da quello; che lui stesso avesse il nome di Vindicio. Si osservò
dopo di lui, che coloro che fossero stati liberati a questo modo venissero considerati come accolti nella cittadinanza."
- Letteratura Latina
- Ab urbe condita
- Livio
- Ab urbe condita