Ad Urbe Condita, II, 5 - Studentville

Ad Urbe Condita, II, 5

De bonis regiis, quae reddi ante censuerant, res integra refertur ad patres. Ibi uicit ira; uetuere reddi, uetuere in publicum

redigi. Diripienda plebi sunt data, ut contacta regia praeda spem in perpetuum cum iis pacis amitteret. Ager Tarquiniorum qui

inter urbem ac Tiberim fuit, consecratus Marti, Martius deinde campus fuit. Forte ibi tum seges farris dicitur fuisse matura

messi. Quem campi fructum quia religiosum erat consumere, desectam cum stramento segetem magna uis hominum simul immissa

corbibus fudere in Tiberim tenui fluentem aqua, ut mediis caloribus solet. Ita in uadis haesitantes frumenti aceruos sedisse

inlitos limo; insulam inde paulatim, et aliis quae fert temere flumen eodem inuectis, factam; postea credo additas moles

manuque adiutum, ut tam eminens area firmaque templis quoque ac porticibus sustinendis esset. Direptis bonis regum damnati

proditores sumptumque supplicium, conspectius eo quod poenae capiendae ministerium patri de liberis consulatus imposuit, et qui

spectator erat amouendus, eum ipsum fortuna exactorem supplicii dedit. Stabant deligati ad palum nobilissimi iuuenes; sed a

ceteris, uelut ab ignotis capitibus, consulis liberi omnium in se auerterant oculos, miserebatque non poenae magis homines quam

sceleris quo poenam meriti essent: illos eo potissimum anno patriam liberatam, patrem liberatorem, consulatum ortum ex domo

Iunia, patres, plebem, quidquid deorum hominumque Romanorum esset, induxisse in animum ut superbo quondam regi, tum infesto

exsuli proderent. Consules in sedem processere suam, missique lictores ad sumendum supplicium. Nudatos uirgis caedunt securique

feriunt, cum inter omne tempus pater uoltusque et os eius spectaculo esset, eminente animo patrio inter publicae poenae

ministerium. Secundum poenam nocentium, ut in utramque partem arcendis sceleribus exemplum nobile esset, praemium indici

pecunia ex aerario, libertas et ciuitas data. Ille primum dicitur uindicta liberatus; quidam uindictae quoque nomen tractum ab

illo putant; Vindicio ipsi nomen fuisse. Post illum obseruatum ut qui ita liberati essent in ciuitatem accepti uiderentur.

Versione tradotta

testo
"La questione

riguardo i beni del re, che già prima avevano deciso che venissero restituiti, viene proposta di nuovo ai senatori. Allora lo

sdegno prevalse; vietarono che si restituissero, vietarono che fossero devoluti al pubblico erario. Furono abbandonati alla

plebe perchè fossero saccheggati, affinchè toccata dalla preda dei beni regi perdesse per sempre la speranza di pace con essi.

Il campo dei Tarquini, che si trovava tra la città e il Tevere, consacrato a Marte, fu poi il campo Marzio. Il frutto del farro

si dice che lì per caso fosse allora maturo per la mietitura. Poichè era cosa sacrilega impiegare quel prodotto del campo, una

gran moltitudine di uomini immessa (nel campo) rovesciarono con canestri il frumento tagliato con lo stelo simultaneamente nel

Tevere che scorreva con corrente bassa, come suole nel pieno dei calori estivi. Così i mucchi di fieno trattenendosi nelle

parti basse vi si fermarono avvolti nel limo; poi a poco apoco si formò un'isola anche con gli altri (detriti), che il fiume

trasporta acso, trascinati nel medesimo posto; più tardi credo che dei macigni furono aggiunti e che ci si aiutò con il lavoro

manuale, in modo che si formasse una superficie alta e solida anche per sostenere templi e portici. Saccheggiati i beni del

re, i traditori furono condannati e la pena capitale fu inflitta, tanto più insigne in quanto il consolato attribuì il compito

di stabilire la pena per i figli al padre, e colui che avrebbe dovuto essere allontanato come spettatore il caso diede lui

stesso esecutore del supplizio. Dei giovani nobilissimi stavano legati al palo; ma i filgi del conole avevano fatto volgere gli

occhi di tutti su di sè dagli altri in quanto condannati ignoti e i cittadini avevano pietà della pena non più che del delitto,

per il quale avevano meritato la pena: essi avevano accolto mell'animo di consegnare a chi era stato una volta re superbo,

allora esule pericoloso, e proprio in quell'anno, la patria divenuta libera, il padre liberatore, il consolato sorto dalla

casa Giulia, i senatori, la plebe, tutto ciò che v'era di divino e di umano per i Romani.
I consoli avanzarono fino alla

loro sede, e i lettori furono mandati ad infliggere il supplizio. Li battono con le verghe dopo averli denudati e colpiscono

con la scure, mentre il padre e il volto e l'espressione di lui era di spettacolo durante tutto quel tempo, l'animo

paterno mostrandosi mirabile durante l'esecuzione della pena pubblica. Subito dopo il supplizio dei malfattori, affinchè

l'esempio per allontanare i delitti fosse memorabile in entrambi i casi una somma di denaro dell'erario, della libertà la

cittadinanza furono concesse in premio al denunciatore.
Egli si dice che per primo fu dichiarato libero con la verghetta.

Alcuni credono che anche il nome della verghetta fu tratto da quello; che lui stesso avesse il nome di Vindicio. Si osservò

dopo di lui, che coloro che fossero stati liberati a questo modo venissero considerati come accolti nella cittadinanza."

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