GLI AMBIENTI AGRICOLI
L'agricoltura ha rappresentato la più importante attività economica per oltre diecimila anni e, sebbene il processo di industrializzazione abbia ridotto in modo significativo il suo ruolo in vaste regioni del mondo, oltre il 40% della popolazione attiva totale, è ancora occupato direttamente nelle attività agricole e pastorali. Questo dato nasconde però le forti differenze esistenti fra il nord ed il sud del mondo: nell'America Settentrionale, in Gran Bretagna e generalmente nel nord Europa gli addetti all'agricoltura non superano il 5% della popolazione attiva, il settore è fortemente meccanizzato, altamente produttivo e sensibile alle innovazioni. Al contrario, nel sud del mondo l'agricoltura rappresenta la principale attività economica, impiega anche fino all'80% della forza-lavoro, ma produce soltanto la metà del prodotto interno lordo. Se si sposta poi l'attenzione sugli scenari futuri, le previsioni sulla dinamica delle forze di lavoro in agricoltura nei paesi in via di sviluppo sono allarmanti.
I SISTEMI AGRICOLI
In base alle diverse scelte colturali, alle rese per ettaro, alle tecniche utilizzate, alla destinazione dei prodotti e, infine, ai modi di conduzione adottati si possono individuare su scala mondiale differenti tipi di agricoltura.
La monocoltura e la policoltura. Nel primo caso la specializzazione colturale è estrema, su vasti spazi domina la coltivazione di una sola specie, solitamente praticata in maniera estensiva. Nel secondo caso invece, anche nell’ambito di una stessa azienda, si riscontra una varietà di colture più o meno forte. I paesaggi policolturali danno inoltre origine alle colture promiscue nel caso in cui su un appezzamento di terreno coesistano due o più specie diverse; un tipico esempio di agricoltura promiscua è dato dalla tradizionale agricoltura mediterranea.
L'agricoltura intensiva ed estensiva. L'agricoltura intensiva tende a sfruttare al massimo la fertilità dei suoli ed ha come fine le alte rese per ettaro. L'agricoltura è estensiva nel caso in cui le rese per ettaro sono modeste e gli incrementi di produzione sono sostenuti dal continuo aumento delle aree coltivate. La scelta estensiva può dipendere sia dalla scarsa fertilità dei suoli e dai bassi livelli di capitale investito, come nel caso africano o della conduzione latifondista, sia dall'elevata disponibilità di superficie agricola utile, in grado di assicurare una produzione consistente anche in presenza di rese per ettaro limitate.
Le tecniche agricole. Nelle regioni economicamente più arretrate domina ancora una agricoltura primitiva, basata sull'uso del bastone da scavo o della zappa. Il passaggio all'agricoltura superiore è contrassegnato dall'uso dell'aratro, originariamente conosciuto soltanto in Asia, in Europa e nell'Africa mediterranea: questo strumento implica lo sviluppo dell'allevamento e solo nei sistemi più progrediti si assiste al diffondersi dell'aratura meccanica e di innumerevoli altre macchine agricole, con grande risparmio di manodopera.
L'agricoltura familiare e quella commerciale. Se la produzione agricola è destinata al consumo diretto, familiare o comunque locale, si ha un'agricoltura di sostentamento, condotta con tecniche tradizionali e scarsamente produttiva. Quando, invece, la produzione è destinata al mercato si ha un'agricoltura commerciale; il fine in questo caso è produrre per vendere e massimizzare i profitti.
La proprietà fondiaria e le forme di conduzione. Grande importanza non solo economica, ma anche sociale, riveste l'organizzazione della proprietà fondiaria. Una prima distinzione può essere fatta, fra le terre di proprietà privata, presenti nelle economie di mercato, e quelle di proprietà collettiva a struttura tribale o comunitaria presenti in numerosi paesi del terzo mondo. Un'altra distinzione riguarda l'estensione fondiaria delle aziende, sebbene il concetto di azienda agricola piccola, media o grande non consenta di stabilire categorie valide per tutti i paesi. Esistono in effetti aziende agricole che, favorite dal clima e dalla fertilità del suolo, riescono a conseguire, mediante un'agricoltura intensiva, alti rendimenti e una rilevante produttività. All'opposto, le grandi aziende riescono ad essere produttive solo in presenza di un forte impiego di lavoro e di capitale. Notevole è la varietà delle forme di conduzione; di solito i piccoli proprietari coltivano il suolo personalmente, con il solo aiuto dei familiari, sono cioè coltivatori diretti. Al contrario le medie o grandi proprietà si avvalgono anche dell'impiego di salariati, oppure sono affidate ad un certo numero di affittuari.
L’AGRICOLTURA COMMERCIALE
Redditività e produttività sono le finalità prime di ogni azienda agricola, che dipende largamente da fattori produttivi di origine industriale, come i macchinari, fertilizzanti e gli antiparassitari, le opere di irrigazione, tutti elementi in grado di aumentare la produzione in misura nettamente superiore rispetto a quanto permesso dai fattori tradizionali. Si determina così una progressiva meccanizzazione e specializzazione dell'agricoltura, che necessita sempre più di servizi che solo le industrie e le attività terziarie offrono.
La meccanizzazione. La meccanizzazione ha un ruolo chiave nell'agricoltura commerciale, comprendendo con questo termine sia l'introduzione di nuove tecniche, come i macchinari, sia la realizzazione di infrastrutture, come opere irrigue, sviluppo delle reti di trasporto, processi di elettrificazione. Grazie alla meccanizzazione la produzione complessiva e la produttività per addetto sono notevolmente migliorate.
La specializzazione. La scelta del massimo profitto e la regola della concorrenza spingono l’agricoltura moderna a specializzarsi. Ogni azienda agricola limita così la produzione solo ad alcune colture, se non ad una sola, sottoponendo a gravi rischi l’agro-ecosistema. L’agricoltore è inoltre portato a disinteressarsi della politica agricola generale, ma si preoccupa solo di quanto concerne direttamente la sua produzione principale, perdendo di vista i problemi comuni del settore agricolo.
L’evoluzione delle strutture fondiarie. I risvolti indiretti della meccanizzazione e dei cambiamenti da essa provocati comportano, da una parte, una forte diminuzione della popolazione attiva e del numero di aziende, dall'altra, l'aumento delle dimensioni minime di ciascuna azienda agricola e degli investimenti necessari per svolgere questa attività.
L'industria agro-alimentare. Nelle società industriali l’attività agricola, che dipende in modo crescente dalle conoscenze tecniche, è totalmente integrata agli altri settori produttivi. A monte vi sono le industrie meccaniche, in grado di offrire una gamma completa di macchine motrici ed operatrici, e le industrie chimiche, che producono fertilizzanti, antiparassitari, prodotti per la conservazione dei cibi. A valle, le industrie agroalimentari, che controllano i processi di trasformazione e commercializzazione dei prodotti. Le industrie agroalimentari che trasformano e commercializzano i prodotti agricoli operano in condizioni di quasi monopolio e pongono in una situazione di dipendenza sia i consumatori, sia gli agricoltori: stabiliscono che cosa coltivare, quali sementi utilizzare che prezzi vendere e che cosa consumare.
L’agricoltura di piantagione. Grandi aziende, spesso multinazionali, praticano una monocoltura intensiva su vasti spazi, i cui prodotti sono destinati ai mercati d'esportazione, perpetuando così un legame commerciale di tipo coloniale. Questo sistema agricolo nasconde due gr avi rischi per i paesi che lo praticano:
Rischio ambientale: la monocoltura impoverisce i suoli, crea dipendenza nei confronti dei fertilizzanti di sintesi ed accelera i processi di erosione, in particolare in ambienti fragili quali gli ambienti tropicali;
Rischio socioeconomico: le multinazionali sottraggono i terreni migliori alle comunità di villaggio, che praticano un'agricoltura di sussistenza, e tendono ad allargare la loro frontiera agricola in misura direttamente proporzionale alle richieste del mercato ed alla caduta in fertilità dei suoli.
I paesi grandi esportatori di prodotti coloniali si presentano sui mercati internazionali in condizioni di debolezza. Generalmente sono monoesportatori, in quanto la piantagione provoca specializzazione colturale: il Venezuela è un grande esportatore di caffè, il Ghana di cacao, il Senegal di arachidi, ecc.
L’AGRICOLTURA TRADIZIONALE
In campo agricolo la principale differenza presente su scala mondiale è quella che oppone l’agricoltura industrializzata in grado di produrre eccedenze dei paesi sviluppati, all'agricoltura tradizionale e deficitaria dei paesi del terzo mondo, dove prevale l'azienda familiare. Qui l'agricoltura è quella tipica di sussistenza ed ha come fine il sostentamento del coltivatore organizzato in piccole comunità di villaggio. I mezzi tecnici e finanziari a disposizione del contadino risultano insufficienti per rendere davvero produttiva la terra coltivata. Il numero delle famiglie contadine aumenta molto più rapidamente della messa a coltura di nuove terre. Ciò si traduce in un declino nelle rese, a causa di uno sfruttamento eccessivo dei suoli, in una diminuzione delle dimensioni medie dei poderi ed in un aumento nel numero degli agricoltori senza-terra, costretti sovente a vendere i loro modesti appezzamenti ai grandi proprietari terrieri perché carichi di debiti. Non risulta così difficile comprendere come problemi quali l'erosione provocata dal vento o dall'acqua o la deforestazione siano divenuti una costante in numerose realtà del terzo mondo, che spesso si deve misurare anche con condizioni ambientali avverse, come la siccità. Non è raro che nel corso di un anno molte comunità agricole siano in grado di produrre una quantità di alimenti sufficiente solo per 6-8 mesi. Questa realtà non fa altro che alimentare i flussi migratori in direzione della città, o mantenere in vita forme primitive di agricoltura, come il ladang, cioè l'agricoltura itinerante.
Agricoltura di sussistenza e dualismo economico. L'agricoltura nei paesi del terzo mondo è caratterizzata da un dualismo economico che contrappone l'agricoltura di sussistenza all'agricoltura di mercato, organizzata in forma di monocoltura speculativa, dalla piccola alla grande proprietà terriera, dalla produzione interna ai prodotti importati. La competenza, in uno stesso paese, di due sistemi agricoli così diversi quali la piantagione e l'agricoltura di sussistenza innesca pericolose conflittualità, a causa delle quali le aziende agricole familiari sono sempre più in difficoltà. Le immense proprietà, eredità della conquista coloniale, sono generalmente sfruttate al di sotto delle loro potenzialità da proprietari che hanno a disposizione un'abbondante manodopera a basso costo o a costo zero. Spesso i contadini "senza terra" sono costretti, per necessità, ad indebitarsi ed alla fine si trovano obbligati a lavorare per numerosi anni senza salario: rinasce così una nuova forma di schiavitù, la "schiavitù per debito".
Grazie al suo potere sulla terra il grande proprietario terriero controlla anche la vita politica del paese, l'apparato amministrativo, la polizia, frenando le possibilità di intervento e di cambiamento. I rapporti fra produzione locale e prodotti importati sono complessi. Le politiche assistenzialistiche nei paesi sviluppati consentono agli agricoltori del nord del mondo di collocare sui mercati internazionali prodotti a prezzi particolarmente bassi. In molti paesi del terzo mondo risulta così più conveniente importare cibo, piuttosto che sostenere le produzioni locali. Si preferisce dunque puntare sulle monocolture d'esportazione, a discapito della diversificazione produttiva orientata al mercato interno.
Anche questa scelta non si è dimostrata però particolarmente vantaggiosa, vista l’instabilità dei corsi mondiali di prodotti come il caffè, il cacao o la canna da zucchero.
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