Hoc crimine
in contione ab inimicis compellabatur. Sed instabat tempus ad bellum proficiscendi. Id ille intuens neque ignorans civium
suorum consuetudinem postulabat, si quid de se agi vellent, potius de praesente quaestio haberetur, quam absens invidiae
crimine accusaretur. 2 Inimici vero eius quiescendum in praesenti, quia noceri non posse intellegebant, et illud tempus
exspectandum decreverunt, quo exisset, ut absentem aggrederentur; itaque fecerunt. 3 Nam postquam in Siciliam eum pervenisse
crediderunt, absentem, quod sacra violasset, reum fecerunt. Qua de re cum ei nuntius a magistratu in Siciliam missus esset, ut
domum ad causam dicendam rediret, essetque in magna spe provinciae bene administrandae, non parere noluit et in trierem, quae
ad eum erat deportandum missa, ascendit. 4 Hac Thurios in Italiam pervectus, multa secum reputans de immoderata civium suorum
licentia crudelitateque erga nobiles, utilissimum ratus impendentem evitare tempestatem clam se ab custodibus subduxit et inde
primum Elidem, dein Thebas venit. 5 Postquam autem se capitis damnatum bonis publicatis audivit et, id quod usu venerat,
Eumolpidas sacerdotes a populo coactos, ut se devoverent, eiusque devotionis, quo testatior esset memoria, exemplum in pila
lapidea incisum esse positum in publico, Lacedaemonem demigravit. 6 Ibi, ut ipse praedicare consuerat, non adversus patriam,
sed inimicos suos bellum gessit, qui eidem hostes essent civitati: nam cum intellegerent se plurimum prodesse posse rei
publicae, ex ea eiecisse plusque irae suae quam utilitati communi paruisse. 7 Itaque huius consilio Lacedaemonii cum Perse rege
amicitiam fecerunt, dein Deceleam in Attica munierunt praesidioque ibi perpetuo posito in obsidione Athenas tenuerunt; eiusdem
opera Ioniam a societate averterunt Atheniensium; quo facto multo superiores bello esse coeperunt.
Versione tradotta
Nell'assemblea popolare era accusato di questo crimine dai
suoi nemici. Ma incalzava il tempo di partire per la guerra. Pensando egli a questo e ben conoscendo le abitudini dei suoi
concittadini, chiedeva che se volessero intraprendere' un'azione penale contro di lui, si facesse subito l'indagine
giudiziaria piuttosto che essere citato assente per un'accusa dei malevoli. 2 I suoi nemici però capivano che per il momento
bisognava star calmi, perché non si poteva nuocergli e decisero di aspettare quando fosse partito, per attaccarlo durante la
sua assenza. E così fecero. 3 Infatti, quando ritennero che fosse giunto in Sicilia, lo accusarono assente di aver profanato i
misteri. Per questo gli fu spedito in Sicilia un messo dal magistrato, con l'ordine di ritornare per difendersi ed egli, che
nutriva molte speranze di poter adempiere bene alla sua missione, non volle disubbidire e si imbarcò su una trireme mandata
apposta per riportarlo. 4 Arrivato con questa a Turii in Italia, riflettendo molto tra sé e sé sulla licenza senza freno dei
suoi concittadini e sulla loro crudeltà contro i nobili, ritenne la soluzione migliore di evitare l'imminente tempesta, e
quindi si sottrasse di nascosto ai suoi guardiani e da lì andò prima nell'Elide, poi a Tebe. 5 Quando poi venne a sapere di
essere stato condannato a morte, alla confisca dei beni e, cosa che accadeva spesso, che i sacerdoti Eumolpidi erano stati
costretti dal popolo a scomunicarlo e una copia della scomunica, perché ne rimanesse più sicura memoria, incisa su una
colonnetta di pietra, era stata esposta in pubblico, se ne andò a Sparta. 6 Lì, come soleva ripetere, condusse una guerra non
contro la patria, ma contro i suoi avversari, perché erano anche i nemici della città; i quali benché capissero che lui poteva
essere di grande aiuto allo Stato, lo avevano cacciato e avevano ubbidito più al proprio risentimento che all'interesse
comune. 7 Così dietro suo suggerimento gli Spartani strinsero amicizia con il re di Persia; quindi fortificarono Decelèa
nell'Attica e, posto ivi un presidio permanente, strinsero d'assedio Atene. Sempre per opera sua allontanarono la lonia
dall'alleanza con gli Ateniesi. Da quel momento cominciò la netta supremazia degli Spartani nella guerra.
- Letteratura Latina
- De viris illustribus (Alcibiades) di Cornelio Nepote
- Cornelio Nepote
- De viris illustribus