Neque vero his rebus tam amici Alcibiadi sunt facti quam timore ab eo alienati. Nam cum
acerrimi viri praestantem prudentiam in omnibus rebus cognoscerent, pertimuerunt, ne caritate patriae ductus aliquando ab ipsis
descisceret et cum suis in gratiam rediret. Itaque tempus eius interficiundi quaerere instituerunt. Id Alcibiades diutius
celari non potuit. Erat enim ea sagacitate, ut decipi non posset, praesertim cum animum attendisset ad cavendum. Itaque ad
Tissaphernem, praefectum regis Darii, se contulit. Cuius cum in intimam amicitiam pervenisset et Atheniensium male gestis in
Sicilia rebus opes senescere, contra Lacedaemoniorum crescere videret, initio cum Pisandro praetore, qui apud Samum exercitum
habebat, per internuntios colloquitur et de reditu suo facit mentionem. Erat enim eodem, quo Alcibiades, sensu, populi
potentiae non amicus et optimatium fautor. Ab hoc destitutus primum per Thrasybulum, Lyci filium, ab exercitu recipitur
praetorque fit apud Samum; post suffragante Theramene populi scito restituitur parique absens imperio praeficitur simul cum
Thrasybulo et Theramene. Horum in imperio tanta commutatio rerum facta est, ut Lacedaemonii, qui paulo ante victores viguerant,
perterriti pacem peterent. Victi enim erant quinque proeliis terrestribus, tribus navalibus, in quibus ducentas naves triremes
amiserant, quae captae in hostium venerant potestatem. Alcibiades simul cum collegis receperat Ioniam, Hellespontum, multas
praeterea urbes Graecas, quae in ora sitae sunt Asiae, quarum expugnarant complures, in his Byzantium, neque minus multas
consilio ad amicitiam adiunxerant, quod in captos clementia fuerant usi. Ita praeda onusti, locupletato exercitu, maximis rebus
gestis Athenas venerunt.
Versione tradotta
Ma pur con questi successi, gli Spartani
non tanto divennero amici di Alcibiade, quanto gli si fecero nemici per paura. Infatti conoscendo di quell'uomo tanto
energico la grande intelligenza in tutte le cose, temettero che spinto dall'amor di patria, una volta o l'altra si
staccasse da loro e si riconciliasse con i propri concittadini. Così cominciarono a cercar l'occasione di ucciderlo. La cosa
non poté rimanere a lungo celata ad Alcibiade; aveva infatti un fiuto infallibile, soprattutto quando avesse predisposto la
mente a star all'erta. Così si rifugiò da Tissaferne, satrapo del re Dario. Ne divenne intimo amico e poiché vedeva che la
potenza degli Ateniesi, per l'infelice impresa di Sicilia, declinava, mentre aumentava quella degli Spartani, in un primo
momento per mezzo di intermediari entra in trattativa con lo stratego Pisandro che aveva l'esercito presso Samo e accenna al
suo ritorno: questi infatti era delle stesse idee politiche di Alcibiade, ostile al potere del popolo e fautore degli ottimati.
Abbandonato da costui, prima grazie a Trasibulo, figlio di Lico, viene riammesso nell'esercito e ottiene un comando presso
Samo, poi, coll'appoggio di Terámene, per decreto dei popolo viene riabilitato e benché assente ottiene il comando militare
insieme con Trasibulo e Terámene. Durante il loro comando, ci fu un così grande cambiamento della situazione, che gli Spartani,
che poco prima erano vittoriosi e potenti, atterriti chiesero la pace. Erano stati vinti infatti in cinque battaglie terrestri,
tre navali, in cui avevano perso duecento trirerni catturate e cadute in potere dei nemici. Alcibiade insieme con i colleghi
aveva riconquistato la Ionia, l'Ellesponto, inoltre parecchie città greche delle coste dell'Asia, parecchie delle quali
avevano espugnate, tra queste Bisanzio, e altrettante se le erano fatte alleate, con una politica lungimirante perché avevano
usato clemenza con i prigionieri. Così carichi di preda, avendo arricchito l'esercito, e compiuto imprese grandiose,
tornarono ad Atene.