Alla Luna: testo della poesia di Leopardi
Oh graziosa luna, io mi rammento
che, or volge l’anno sovra questo colle
io venia pien d’angoscia a ritirarmi:
E tu pendevi allor su quella selva
Siccome or fai, che tutta la rischiari.
Ma nebuloso e tremulo dal pianto
che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
il tuo volto apparia, che travagliosa
era mia vita: ed è, ‘ne cangia stili
o mia diletta luna. E pur mi giova
la ricordanza e il noverar l’etate
del mio dolore. Oh come grato occorre
nel tempo giovanil quando ancor lungo
la speme e breve ha la memoria il corso,
il rimembrar delle passate cose,
ancor del triste, che l’affanno duri!
Parafrasi
Oh leggiadra luna, io mi ricordo
che, si compie adesso un anno, sopra questo colle
da quando venivo pieno d’angoscia a contemplarti:
E tu stavi allora su quella selva
Come fai ora, che tutta la rischiari
Ma ai miei occhi il tuo volto appariva
velato, offuscato e tremulo a causa delle lacrime
che mi bagnavano gli occhi,
perché la mia vita era travagliata, piena di tormenti e continua ad esserlo né cambia stile
o mia diletta luna. E tuttavia mi procura piacere
il ricordo, e il richiamare alla memoria il tempo
del mio dolore. Oh com’è gradito
negli anni della giovinezza, quando la speranza ha dinanzi a sé una lunga serie di anni
e invece breve è il passato da ricordare,
ricordare gli eventi passati,
sebbene (il ricordo) sia doloroso, e le sofferenze durino ancora e ci facciano soffrire.
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Commento della poesia
L’idillio “Alla Luna” si fonda su uno dei temi che più frequentemente ricorrono nella lirica leopardiana: il ricordo, che è per il poeta, fonte inesauribile di poesia e di piacere.
Mentre osserva la Luna che splende nel cielo e illumina il colle Tabor, nei pressi della casa paterna, riaffiora alla memoria del poeta una situazione analoga che ha vissuto l’anno precedente. Anche allora guardava la Luna ma i suoi occhi erano velati di pianto per l’angoscia che lo opprimeva e continua a travagliarlo.
In realtà nulla è mutato ma il ricordo del passato, anche se triste, racchiude in sé una particolare dolcezza. Il tempo infatti sfuma i contorni degli eventi e attenua l’intensità del dolore rendendo ogni cosa vaga, indeterminata.
Poiché per Leopardi, tutto ciò che appare infinito, senza limiti precisi procura piacere, ecco che il ricordo, sia pure di eventi tristi, risulta dolce e gradevole, proprio perché è sfumato e incerto.
La poesia si articola in due sezioni ciascuna delle quali è costituita da due periodi:
- La prima sezione (versi 1-10), è occupata dal ricordo del passato ed è percorso da una nota di malinconia. Infatti il poeta rievoca l’immutabilità della sua condizione (versi 8-9). La sezione si apre e si chiude con una invocazione alla Luna: verso 1 “o graziosa Luna” e verso 10 “o mia diletta Luna”.Il componimento rispecchia la prima fase del pessimismo leopardiano quando la natura appare agli occhi del poeta come una madre benigna e confortatrice. Infatti tutti i termini riferiti alla Luna hanno connotazione positiva e le sue immagini comunicano sensazioni di vastità e di luminosità.
- Nella seconda parte (versi 10-16) predomina la riflessione del poeta sulla funzione consolatrice del ricordo e sulla dolcezza che dal ricordo può scaturire.
“Ricordanza” (11),”memoria” (14),”noverar l’etate” (11),”rimembrare”…sono tutte parole legate al tema del ricordo che sfuma al ricordo delle cose trasformando il presente in dolce malinconia.
Secondo Leopardi il compito della poesia è suscitare nel lettore il piacere dell’immaginazione. Tale piacere nasce dal vago, dall’indefinito, dall’indeterminato e può essere conseguito mediante alcune scelte tematiche ed espressive.
Scelte tematiche
È poetico per Leopardi qualunque oggetto o luogo che susciti rimembranza perché ogni ricordo ha contorni indefiniti e vaghi.
“Un oggetto qualunque, per esempio un luogo, un sito, una campagna, per bello che sia, se non desta alcuna rimembranza, non è poetico” – G. Leopardi.
Zibaldone
“La medesima, ed anche un sito, un oggetto qualunque, effetto poetico in sé sarà poeticissimo a rimembrarlo. La rimembranza è essenziale e principale nel sentimento poetico […] e il poetico […] si trova sempre a consistere nel lontano, nell’indefinito, nel vago” – parole tratte da “Zibaldone” 14 dic. 1828.
Il linguaggio della poesia, a differenza di quello della scienza che definisce con precisione gli oggetti, deve suscitare sentimenti vaghi e indefiniti, far scaturire da una parola una molteplicità di idee e di sensazioni (infatti il linguaggio della poesia è detto polisemico).Ecco allora che “ le parole lontano, antico e simili sono poeticissime e piacevoli perché destano idee vaste e indefinite” (Zibaldone 28 sett. 1821).
“Le parole notte, notturno, ecc…, le descrizioni della notte, ecc…sono poeticissime perché la notte confondendo gli oggetti, l’animo non ne concepisce che un immaginazione vaga, indistinta, incompleta, sia di essa, sia di quanto essa contiene. Così oscurità, profondo, ecc…” –Zibaldone 28 sett. 1821.
Sono parole che si discostano dall’uso quotidiano, per esempio arcaiche, “peregrine” come Leopardi le definisce, che comunicano un impressione di lontananza, di indeterminatezza e quindi distanziano il lettore dalla banalità quotidiana. Rientrano in questo filone parole come ermo, ostello, verone, donzelletta e così via.
Naturalmente il poeta userà con misura inserendole come dettagli preziosi e raffinati in un contesto che sia il più possibile vicino alla lingua viva, famigliare, moderna nella quale il lettore possa facilmente riconoscersi.
In conclusione per Leopardi:
- La poesia deve suscitare il senso del vago e dell’indefinito;
- Deve arricchirsi della componente della rimembranza;
- Deve adoperare un linguaggio vivo e famigliare impreziosito da parole rare che non costituiscono un esteriore ornamento stilistico, ma servono a creare quell’atmosfera vaga e indeterminata dalla quale scaturisce il piacere della poesia.
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- Giacomo Leopardi
- Letteratura Italiana - 800