Amores, II, 1 - Studentville

Amores, II, 1

Hoc quoque conposui Paelignis natus aquosis,
ille ego nequitiae Naso poeta

meae.
hoc quoque iussit Amor — procul hinc, procul este, severae!
non estis teneris apta theatra modis.
me legat

in sponsi facie non frigida virgo,
et rudis ignoto tactus amore puer;
atque aliquis iuvenum quo nunc ego saucius

arcu
agnoscat flammae conscia signa suae,
miratusque diu ‘quo’ dicat ‘ab indice doctus
conposuit

casus iste poeta meos?’
Ausus eram, memini, caelestia dicere bella
centimanumque Gyen — et satis oris erat —

cum male se Tellus ulta est, ingestaque Olympo
ardua devexum Pelion Ossa tulit.
in manibus nimbos et cum Iove

fulmen habebam,
quod bene pro caelo mitteret ille suo —
Clausit amica fores! ego cum Iove fulmen omisi;

excidit ingenio Iuppiter ipse meo.
Iuppiter, ignoscas! nil me tua tela iuvabant;
clausa tuo maius ianua fulmen habet.

blanditias elegosque levis, mea tela, resumpsi;
mollierunt duras lenia verba fores.
carmina sanguineae deducunt

cornua lunae,
et revocant niveos solis euntis equos;
carmine dissiliunt abruptis faucibus angues,
inque suos

fontes versa recurrit aqua.
carminibus cessere fores, insertaque posti,
quamvis robur erat, carmine victa sera

est.
Quid mihi profuerit velox cantatus Achilles?
quid pro me Atrides alter et alter agent,
quique tot errando,

quot bello, perdidit annos,
raptus et Haemoniis flebilis Hector equis?
at facie tenerae laudata saepe puellae,

ad vatem, pretium carminis, ipsa venit.
magna datur merces! heroum clara valete
nomina; non apta est gratia vestra

mihi!
ad mea formosos vultus adhibete, puellae,
carmina, purpureus quae mihi dictat Amor!

Versione tradotta

Anche questo libro ho composto io, Nasone, nato tra i

Peligni ricchi di acque, poeta della mia dissolutezza; me l'ordinò l'amore; lungi da qui, moralisti! Non siete la platea

adatta ai miei versi voluttuosi. Mi leggano la vergine non insensibile alla bellezza del fidanzato, e l'adolescente

inesperto toccato dall'ignoto amore. E qualche giovane, ferito dallo stesso arco che ha colpito me, riconosca i segni

rivelatori della sua fiamma, e a lungo stupito dica: "Da chi questo poeta ha appreso la mia vicenda per poterla narrare?

". Aveva osato, ricordo, cantare le guerre celesti, e Gige dalle cento mani (l'ispirazione mi bastava), quando la terra

si vendicò infaustamente e l'alto Ossa sovrapposto all'Olimpo sostenne l'inclinato Pelio; avevo tra le mani i nembi,

Giove e il fulmine che egli doveva giustamente scagliare a difesa del suo cielo. L'amante mi chiuse la porta; abbandonai

Giove e i suoi fulmini; lo stesso Giove uscì dalla mia ispirazione. Giove, perdonami: nulla mi giovavano le tue armi. La

porta chiusa ha una folgore ancora più potente della tua; ho ripreso i versi d'amore, i lievi elegi, le mie armi: le dolci

parole impietosirono la dura porta. Gli incantesimi traggono già dal cielo le corna della luna insanguinata e richiamano

indietro nella corsa i nivei cavalli del sole, squarciano i serpenti con le fauci divelte, e volta la corrente i fiumi tornano

alla fonte. Per incantesimo dei versi la porta si èarresa ed è stata vinta, benchè di rovere e con la sbarra infilata nel

battente. Che mi gioverà cantare il veloce Achille? Che cosa faranno per me l'uno e l'altro Atride, e l'eroe che

consumò nel peregrinare tanti anni, quanti in guerra, e l'infelice Ettore trascinato dai cavalli emonii? Ma se si loda più

volte la bellezza di una tenera fanciulla, ella viene e si dà al poeta in premio dei versi. Questa è una grande mercede! Addio

famosi nomi di eroi; non m'interessa la vostra gratitudine. Voi, o fanciulle, tendete il vostro bel volto alle mie poesie,

che mi detta il purpureo Amore.

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