Sullo sfondo di interessi filosofici e politici estremamente radicali, le posizioni epistemologiche di Feyerabend, partendo da un rifiuto dell’empirismo e del razionalismo, e della tradizione neopositivistica in ogni sua accezione, pervengono ad un anarchismo metodologico, programmatico, che lo porterà a dissolvere sia la scienza che la ragione stessa. Secondo il pensatore, infatti, le strutture istituzionali in cui la scienza si è incorporata (in tutti gli stati moderni la scienza è presentata come la forma più alta di attività razionale e lo strumento più efficace per il perfezionamento sociale), costituiscono un freno sia per la conoscenza che per la democrazia; bisogna dunque ridimensionarne il peso nella società, tenendo presente che essa è soltanto una delle attività umane dirette a costruire visioni del mondo, al pari dell’arte, della metafisica, del mito. L’anarchismo, professato apertamente nel volume del 1975, “Contro il Metodo”, combatte l’idea che ci siano principi immutabili come guida dell’attività scientifica, perché, proprio la pratica sperimentale dimostrerebbe che tutte le norme possono essere violate se le circostanze lo richiedono, visto che in ogni attività, purché conduca al progresso del genere umano, “anything goes”, tutto va bene. Chi ricerca è dunque autorizzato a confrontare tra di loro tutti i tipi di teorie (senza le quali non esisterebbero nemmeno i fatti di cui esse discutono), e tutte le deviazioni “irrazionali” nei procedimenti non possono che essere produttive: infatti senza una frequente rinuncia alla ragione non c’è conoscenza, senza caos non c’è progresso.
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