Biografia Antonio Banfi nacque a Vimercate, in provincia di Milano, il 30 settembre 1886 da una famiglia di tradizione colta, cattolica e liberale. Il padre Enrico era ingegnere e per quarant’anni fu preside dell’Istituto tecnico di Mantova, il nonno paterno fu ufficiale napoleonico e quello materno era uno Strambio de Castiglia, nome questo che richiama direttamente quella tradizione della nobiltà milanese in cui le ispirazioni patriottiche e nazionali si fondevano, per un verso, con un’interpretazione moderna e positiva del cattolicesimo, e per altro con gli influssi illuministici valorizzati soprattutto nella loro componente tecnico-scientifica. Questo fu l’ambiente che circondò la primissima formazione del giovane Banfi, i cui soggiorni si alternavano tra Mantova, dove condusse a termine al Liceo Virgilio i suoi studi medi, e Vimercate, dove la famiglia trascorreva il periodo delle vacanze estive nella casa paterna, la cui ricca biblioteca fu il primo luogo di raccoglimento intellettuale del giovane. Nel 1904 s’iscrisse alla Regia Accademia-scientifico-letteraria di Milano per i corsi della Facoltà di Lettere che ultimò quattro anni dopo, ottenendo i pieni voti assoluti e la lode con una monografia su Francesco da Barberino discussa con Francesco Novati. Iniziò immediatamente il suo lavoro di insegnante all’Istituto Cavalli- Conti di Milano, e contemporaneamente, proseguì all’Accademia gli studi di filosofia (con Giuseppe Zuccante per la storia della filosofia e Piero Martinetti per la teoretica), e conseguì il dottorato nell’autunno del 1909 con pieni voti discutendo con Martinetti una dissertazione composta di tre monografie sul pensiero di Boutroux, Renouvier e Bergson. Nello stesso periodo conseguì anche i diplomi dei corsi di magistero sia per le lettere che per la filosofia. A 23 anni la sensibilità culturale del giovane Banfi appare già vivacissima, agile nell’individuare i più vivi problemi speculativi, curiosa delle correnti più moderne, desiderosa di spezzare i limiti della provincia filosofica italiana. E, a questo punto, più che ogni considerazione ò utile riportare direttamente alcuni passi particolarmente salienti della lettera con cui Banfi si rivolgeva nel settembre del 1909, due mesi prima di conseguire la laurea in filosofia, alla commissione dell’Istituto Franchetti di Mantova, che aveva l’incarico di attribuire le borse di studio per l’estero agli studenti e ai laureati meritevoli di appoggio: ” [… ] Io intendo di recarmi in una sede di Università germanica, e preferibilmente in due semestri successivi come ivi lo concedono le leggi: ed ò l’uso degli studenti desiderosi di una vasta cultura, a Berlino ed ad Heidelberg per iscrivermi ai corsi universitari di filosofia. E noto che in Germania la filosofia costituisce una profonda tradizione nazionale che colora e vivifica tutte le manifestazioni dello spirito: essa ha ispirato l’arte da Goethe a Wagner, ha discusso e rinnovato i fondamenti e i metodi scientifici dalla celebre disputa del materialismo alla famosa relazione del Du Bois-Reymond, alla più recente del Lipps, alle attuali dispute biologiche sull’evoluzionismo, ha guidato gli spiriti a quelle ricerche storiche che, uscite dalla fonte prima del1 hegelismo, Si sono rivolte agli studi sulle origini delle civiltà e delle religioni, sullo sviluppo del pensiero, sull’evoluzione sociale e sui suoi caratteri che hanno lasciato orma sì profonda pur nella vita contemporanea. Tale senso dell’organicità e della vitalità della filosofia manca purtroppo in generale alla nostra cultura italiana che sembra a volte privata di una unità interiore e di estenuarsi nell’astrattismo speculativo, nel pedante frammentarismo storico e letterario, nell’invecchiato dogmatismo scientifico. [… ] Ma una ragione ancora più precisa, l’attuale corso degli studi, mi consiglia una dimora in Germania. I1 lavoro che costituì l’argomento della mia tesi letteraria, e di cui solo l’ampiezza ha ritardato la pubblicazione, nacque da un lungo studio sulla civiltà e il pensiero medioevale in cui io venni organizzando i risultati intorno all’esame critico delle opere – nella più parte inedite e per la cui ricerca l’Accademia milanese mi fornì un sussidio – di Francesco da Barberino tra le più caratteristiche della tarda cultura enciclopedica dell’età di mezzo. Ebbi allora l’occasione di studiare i rapporti che il Medio Evo stabilì tra le scienze della natura, la scienza dello spirito e la religione, di porli a raffronto con lo stato loro nel Rinascimento e nell’età moderna. Ma i problemi che tali rapporti presentavano, gravi pure al pensiero contemporaneo e che costituiscono, giustamente interpretati, il problema della filosofia, compresa come sintesi del sapere, alla Cui Soluzione io mi ero venuto preparando con un paziente esame storico, richiamarono tosto il mio interesse. Mi posi ad un lavoro ordinato ma arduo e vasto e cominciai con l’esame delle teorie contemporanee sugli indirizzi scientifici di una filosofia della natura. Non occorre una cultura eccessivamente estesa per accorgersi quanto a tal problema oggi si rivolga il pensiero. Le scienze acquistano per mezzo dei suoi rappresentanti stessi, del Boltzmann, del Mach, del Poincarè, del Milhaud, del Duhem e altri numerosi, una nuova coscienza dei propri diritti e doveri. Le matematiche stesse, dopo gli studi sugli spazi aneuclidei del Lobatchewski e del Riemann e le ricerche infinitiste del Cantor, richiedono che i loro fondamenti siano riesaminati, e a ciò numerosi studiosi si sono rivolti: il Peano, il Russell, il Couturat, il Poincarò per tacere dei minori. D’altra parte una nuova filosofia della Natura, l’energetismo, l’Ostwald, il celebre chimico, fonda in Germania, mentre il materialismo si ringiovanisce nell’empiriocriticismo dell’Avenarius e del Petzoldt, e il pragmatismo idealistico del Bergson sembra rilevare, con genialità meravigliosa, vie affatto insospettate. Di più in Germania risorge lo Schellinghianesimo stesso, la metafisica dell’idealismo assoluto. In mezzo a tale enorme sviluppo di pensiero il mio lavoro procedette lentamente, per divisione. Il primo frutto fu uno studio che all’imminente sessione autunnale io presenterò come tesi di filosofia all’Accademia scientifico-letteraria, sull’idea di Natura nella filosofia francese della libertà e della contingenza considerando l’empirismo del Boutroux, il neocriticismo del Renouvier, le differenziate forme idealistiche dell’Hamelin, del Secrètan, dell’Evellin, del Bergson e gli studi metodologici che a tale corrente si riattaccano. Sarebbe così venuta l’ora di occuparmi dei molteplici indirizzi sorti in Germania, ma i primi tentativi mi hanno persuaso che, a non voler essere vanamente sommario, rimanendo in Italia, tale opera ò impossibile. [… ] Ho nominato le mie condizioni finanziarie: esse, come risultano dai documenti, non sono di povertà , sono tali però che mi hanno fatto concedere dall’Accademia presso cui ho studiato la dispensa totale dalle tasse, sono tali che non pure non mi consentono un soggiorno fuori d’Italia, ma non mi consentono di rimanere, finita la scuola, senza occupazione remunerativa a carico della mia famiglia. D’altronde non so se sia più triste la condizione di chi sin dal principio deve rinunciare allo studio o piuttosto quella di chi, raggiunto un diploma che gli apre dinanzi una professione in sè misera di soddisfazione e di guadagno, deve rinunciare a quell’unico desiderio, a quella sola speranza che gli hanno fatto lasciare le vie più remunerative, il desiderio e la speranza di potersi raccogliere nella serietà di uno studio cosciente dei propri fini e del proprio significato, da attingere in esso una serena onestà e indipendenza di pensiero che egli possa riflettere su quegli spiriti alla cui educazione la sua carriera lo chiama “. La Commissione dell’Istituto Franchetti non sbagliò di giudicare e, qualche mese dopo la tesi di laurea, nel marzo del 1910, Banfi con l’amico Cotti prese la via della Germania. Il 28 aprile venne immatricolato alla Facoltà di Filosofia della “Friedrich Wilhelms Universitat” di Berlino seguendo nel primo semestre, secondo quanto risulta dal suo libretto universitario, i corsi di Riehl, del Lasson, Simmel, Spranger e Harnack, e nel secondo semestre – dall’ottobre 1910 al marzo 1911 – i corsi dell’Erdmann, Simmel, Dessoir, Lasson, Munsterberg e Wilamowitz- Moellendorff. In questo anno fu vicino a Simmel, del quale frequentò familiarmente la casa, e a Dessoir. Nella primavera del 1911 Banfi ritorna in Italia e prende parte ai concorsi per le cattedre di filosofia nei Licei riuscendo sesto tra gli idonei e diciassettesimo in graduatoria. Nell’ottobre del 1911 ottiene per sei mesi la supplenza di filosofia a Lanciano, scaduta la quale viene trasferito ad Urbino dove vi resta sino alla fine dell’anno scolastico 1911-12. Nel novembre del 1912 il Ministero della Pubblica Istruzione gli comunica la vittoria della cattedra di filosofia con la possibilità di scelta tra quattro sedi. All’inizio del 1913 Banfi passa come professore straordinario al liceo di Jesi e vi rimane per tutto l’anno scolastico. In agosto gli giunge la nomina di ordinario al Liceo di Alessandria dove si reca nell’autunno del 1913 svolgendo il suo insegnamento presso il Liceo Piana e, come incaricato, alle locali scuole magistrali. Quale testimonianza particolarmente interessante per rilevare la tonalità morale che percorre questi anni di formazione e di studio del giovane Banfi vale la pena di riportare la conclusione di una relazione degli studi e della carriera didattica che egli inviava il 5 maggio 1912 da Urbino, dove insegnava, al Ministero della Pubblica Istruzione: ” Della direzione e dei risultati dei miei studi filosofici, a cui ho dedicato la mia attività spirituale non mi giova parlare in un documento burocratico. Della loro severità e intensità , fuor della coscienza, non ho altra testimonianza, se non forse il presentare – anche dopo l’esperienza dei passati concorsi – alcuna pubblicazione, il che vuol dire credere che il pensiero valga per se stesso, e debba liberamente svolgersi e maturarsi, e non ridursi all’ufficio miserabile di protettore dell’umile carriera di un pubblico insegnante “. Il 4 marzo 1916, al municipio di Bologna, si unì in matrimonio con Daria Malaguzzi Valeri, che poi per tutta la vita sarà la sua amorosa e sollecita compagna, vivamente partecipe del suo mondo intellettuale e morale. Allo scoppio della guerra, Banfi, riformato al servizio di leva, potè rimanere al suo posto di insegnante; una seconda riforma nella primavera del 1916 lo tenne ancora lontano dagli obblighi militari. In quegli anni in cui la scuola era assottigliata gravemente nel suo personale insegnante, Banfi, oltre alla sua cattedra, ricoprì più di un incarico, sempre con scrupolosa diligenza, e si guadagnò la stima dei colleghi e dei superiori. Nei primi mesi del 19′ 8 venne invece aggregato come soldato semplice all’ufficio annonario della Prefettura di Alessandria. Smobilitato all’inizio del 1919, riprese l’insegnamento al Liceo, mantenendo anche l’incarico alle scuole magistrali. Fu durante il periodo del primo dopoguerra che Banfi si avvicinò decisamente alle posizioni di sinistra Pur non militando all’interno del movimento socialista ne condivise a pieno le finalità , s’iscrisse alla Camera del Lavoro sin dal 1919, partecipò attivamente all’organizzazione della cultura popolare e divenne una delle personalità più in vista del mondo culturale democratico di Alessandria. In questi stessi anni venne nominato direttore della biblioteca comunale alessandrina, carica che mantenne fin che lo squadrismo fascista non riuscì a provocare il suo allontanamento. Di fronte alle minacce delle squadre fasciste mantenne sempre un atteggiamento di fermezza e di radicale opposizione. Nel mentre proseguiva l’attività didattica, Banfi si dedicò in quegli anni ad un intenso lavoro scientifico che ebbe il suo primo riconoscimento nel conseguimento della libera docenza il 9 dicembre 1924. Nella primavera del 1923, quando aveva già una notevole familiarità con le sue opere, conobbe personalmente Edmund Husserl durante una visita in Italia del filosofo tedesco. Da allora tenne sempre stretti rapporti con Husserl fino al 1938 quando egli si spense. Nel 1925 fu tra i firmatari della famosa risposta, redatta da Benedetto Croce, a un manifesto degli intellettuali fascisti. Nell’autunno del 1926, dopo 13 anni di insegnamento ad Alessandria, ottenne il trasferimento al R. Liceo-Ginnasio Parini di Milano dove insegnò ancora filosofia e storia. Nell’anno accademico precedente (1925-26) e in quello stesso anno (1926-27) chiese all’Università di Milano di tenere i seguenti corsi: “La filosofia neo-kantiana della religione” e “La filosofia francese della libertà “, richiesta che, peraltro, rimase senza seguito pratico. Nell’anno accademico 1929-30 tiene invece presso la stessa sede universitaria un corso libero di filosofia non pareggiato. Frattanto il primo dicembre 1929 ottiene il comando dal Liceo Parini al Regio Istituto superiore di Magistero di Firenze dove viene incaricato del corso di filosofia che inizia il 3 febbraio 1930. Nell’anno successivo gli fu rinnovato il comando e l’incarico all’Istituto di magistero venne esteso alla storia della filosofia. Il Consiglio direttivo dell’Istituto stesso in data 30 aprile 1931 dell’opera didattica svolta da Banfi dava questo giudizio: “Il Prof. Antonio Banfi qui comandato per l’insegnamento della filosofia e storia della filosofia ha rivelato doti veramente eccellenti di studioso e di insegnante, interessando vivamente la scolaresca alle sue lezioni sui classici della filosofia antica e moderna con metodo rigorosamente scientifico. – E. Codignola”. Nello stesso 1931 presentatosi al concorso a professore straordinario alla cattedra di storia della filosofia dell’Università di Genova, riuscì vincitore. La commissione giudicatrice composta da Faggi, Gentile, Aliotta, Schiaffini, Carabellese gli assegnò i1 primo posto della terna con tre voti, e, per quanto riguarda la valutazione scientifica, il giudizio era il seguente: “Il Banfi richiama a sè l’attenzione dei commissari, quale studioso seriamente preparato a salire la cattedra messa a concorso, per la vastità della cultura, la vigoria del pensiero, la molteplicità degli argomenti trattati. Si nota, specie nel suo lavoro fondamentale (Principi di una teoria della ragione), certa oscurità forse non disgiunta da immaturità di pensiero teoretico, oscurità però, che, a giudizio della maggioranza dei commissari, non toglie che il Banfi emerga sugli altri concorrenti”. La data del documento ò del 13 ottobre. Negli anni tra il 1925 e il 1931 ebbe diretti rapporti con il gruppo culturale diretto da Giuseppe Gangale che faceva capo alla rivista “Conscientia” e alla Casa editrice Doxa. L’iniziativa di Gangale si ispirava ad un neo-calvinismo critico e liberale ma si valeva della collaborazione più vasta ed aperta. Il fatto che in questa sede, in pieno fascismo, (ma nel 1932 anche questa voce fu spenta) potessero essere dibattuti problemi di attualità culturale con uno spirito di libertà , e che Banfi, proprio in quel tempo, dimostrasse un vivo interesse storico per le correnti teologiche del protestantesimo, spiega, in un senso generale, l’assiduità e la positività di questa collaborazione. Dopo l’esito del concorso ricopre la cattedra di Genova per l’anno accademico 1931-1932 svolgendo un corso sul pensiero kantiano e contemporaneamente a Milano viene incaricato dell’insegnamento dell’estetica. L’anno successivo viene definitivamente chiamato a Milano per la cattedra di storia della filosofia. Dal 1932 iniziano gli anni più proficui dell’insegnamento banfiano ed ò in quel periodo che si venne formando quel solido nucleo di studiosi che, nella cultura filosofica italiana, oggi vengono definiti “della scuola di Banfi”. Il suo atteggiamento, in quel periodo tragico della cultura nazionale, fu sempre improntato alla più viva libertà di pensiero e le sue lezioni, oltre che un rigoroso insegnamento filosofico, costituirono una scuola di antifascismo. E non ò senza significato che tra gli arrestati dai fascisti al principio dell’aprile del 1937 (l’azione repressiva culminò con il processo dell’ottobre nel quale il Tribunale comminò una serie di durissime condanne) figurassero alcuni giovani della Facoltà milanese di Lettere e Filosofia. Nel 1940 fondò la rivista “Studi Filosofici” che divenne il centro di raccolta delle nuove energie che uscivano dalla sua stessa scuola. Sul finire del 1941 Banfi entrò in contatto con l’organizzazione clandestina del Partito comunista italiano e aderì a questo movimento. Immediatamente dopo il 25 luglio 1943 Banfi, attraverso Bruno Venturini, ucciso poi da nazi-fascisti, tiene direttamente i contatti con Giovanni Roveda allora responsabile per la zona di Milano dell’organizzazione clandestina del Partito comunista. Dello stesso 26 luglio ò un manifesto in cui si chiede l’immediata abolizione nelle Università delle discriminazioni politiche e razziali. Il documento porta le firme di Banfi e dei professori Francesco Brambilla per la “Bocconi”, Pietro Bucalossi per la Facoltà di Medicina, Ezio Franceschini per l’Università Cattolica, Giorgio Peyronel della Facoltà di Scienze, Mario Rollier per il Politecnico. Nel periodo che va fino all’8 settembre 1943 Banfi partecipa a numerose riunioni di professori che avevano lo scopo di porre le basi per un sindacato libero della scuola. Dopo 1’8 settembre Banfi prende direttamente parte all’organizzazione della Resistenza. Nel 1944 fonda con Eugenio Curiel il “Fronte della Gioventù”. Nello stesso periodo fonda l'”Associazione professori e assistenti universitari”, l’organizzazione clandestina che dirige la lotta antifascista nel settore universitario. Durante tutto il periodo della Resistenza Banfi prosegue le sue lezioni accademiche che cessano solo il 17 marzo 1945, poco prima della fase insurrezionale. A riconoscimento della sua azione in questo periodo la “Commissione di riconoscimento qualifiche partigiani per la Lombardia” gli conferisce la qualifica di partigiano combattente nel III Gap per il periodo dal 9-91943 al 25-4-1945. Dopo la Liberazione Banfi si prodigò per organizzare quelle strutture culturali necessarie per il rinnovamento intellettuale e morale del Paese. Immediatamente dopo l’insurrezione fonda il “Fronte della Cultura” che vuole raccogliere tutte le energie moderne e sensibili dell’intelligenza nazionale. Lo statuto dell’associazione che ò della fine del 1945 risente direttamente dell’impostazione culturale banfiana: basterà a questo proposito, citarne alcuni paragrafi: “A) dare vita ad attività che promuovano, approfondiscano ed allarghino un clima di comune interesse e di reciproca comunicazione tra gli uomini di cultura e le masse popolari; B) realizzare una concreta e libera comunione di interessi culturali di tutte le forze intellettuali, nella loro attiva partecipazione alla vita del Paese; C) promuovere un’azione volta a colmare il distacco tra il mondo universale e il mondo delle specializzazioni tecniche”. Nella stessa direzione culturale, come strumento di raccolta delle energie e di incontro delle tendenze, si muove la fondazione al termine del 1946, in collaborazione con Ferruccio Parri e con altre personalità , della Casa della Cultura di Milano. Sempre nel 1946 riprese a pubblicare “Studi Filosofici” e venne chiamato a far parte del gruppo editoriale della rivista “Philosophy and Phenomenological Research” che negli Stati Uniti riprendeva sotto l’impulso del Farber e la cura di Frau Husserl la tradizione hussediana. Sul piano più strettamente politico Banfi partecipa alla vita del Partito comunista con conferenze, dibattiti, comizi. Nel 1948, come candidato del “Fronte democratico popolare”, viene eletto senatore nel collegio di Abbiategrasso. Fa quindi parte della sesta commissione del Senato per la Pubblica Istruzione In questa sede, e nel lavoro parlamentare, partecipa vivamente all’attività legislativa e svolge un’energica azione in difesa della scuola nazionale, universitaria e secondaria. Di questi stessi anni sono una seri di viaggi politico-culturali che conducono Banfi in Belgio, Olanda, Francia, Polonia. Nel 1949, per la prima volta, Banfi si reca nell’Unione Sovietica da cui torna con una viva e positiva impressione. Tornò successivamente in Urss altre due volte nella sua qualità di commissario per l’Italia del Premio Lenin. Nel 1953, il 7 giugno, venne rieletto al Senato nel secondo collegio di Cremona. Poco prima dello svolgimento delle elezioni Banfi compì un lungo viaggio nella Cina, fino in Mongolia. In Cina ebbe occasione di celebrare il centenario leonardesco. Da questo viaggio Banfi tornò con un’impressione vivissima, e quella occasione fornì lo spunto per la sua ripresa di studi intorno alla cultura cinese. Nel 1954 si recò in Inghilterra e nella primavera del 1957 tornò per l’ultima volta in URSS. Quivi prese contatto con esponenti della cultura cinese, indiana e mussulmana nel quadro del piano che egli aveva tracciato per la ripresa di “Studi Filosofici”. Nonostante la ricca partecipazione alla vita politica, l’attività fervida dedicata all’organizzazione della cultura, gli interessi molteplici della sua personalità (oltre che professore universitario e senatore della Repubblica era consigliere comunale di Milano, membro del Comitato Centrale del PCI, membro dell’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, accademico dei Lincei vice-Presidente della Federazione Internazionale sindacale dell’insegnamento, Presidente della sezione sociologica del Centro di Prevenzione sociale, vice-Presidente della Società filosofica italiana, membro dell’Unione interparlamentare, nel Consiglio della Società Europea di Cultura, Presidente dell’Associazione Italia-URSS, membro del Centro studi per la Cina, membro del Comitato Thomas Mann), anche in questi anni tenne regolarmente i suoi corsi universitari, ebbe cura dei suoi nuovi scolari, indirizzandoli e aiutandoli negli studi scientifici e proseguì la ricerca teorica. Nell’estate del 1957, dopo aver regolarmente terminato i corsi all Università degli Studi, dove dirigeva la scuola di perfezionamento, e all’Università Bocconi, cadde ammalato ai primi di luglio. Dopo circa 20 giorni di malattia morì alle 15, 30 del 22 luglio alla clinica Columbus di Milano circondato dalla moglie, dal figlio e dal gruppo dei suoi più affezionati scolari. Le sue ultime parole, come un estremo invito alla vita, furono: “che gioia, che gioia”. Il pensiero Durante i quasi quaranta anni (dall’inizio del secolo alla seconda guerra mondiale) dell’egemonia idealistica in campo filosofico, si delinearono peraltro in Italia anche altre posizioni di pensiero e maturarono alcune alternative teoriche legate a gruppi e scuole di diversa provenienza. Tra questi orientamenti non idealistici un posto centrale, per l’ampiezza del suo orizzonte culturale e speculativo e per la fecondità dei suoi sviluppi, ò occupato dal razionalismo critico di Antonio Banfi. Nato nel 1886 a Vimercate (Milano), Banfi studiò a Milano, sotto la guida del filosofo kantiano Piero Martinetti, e nel 1910-11 frequentò in Germania i seminari di Simmel e Husserl. Insegnante per vari anni nei licei, dal 1939 alla morte (1957) fu professore nell’università di Milano. Importante per Banfi fu anche l’esperienza della Resistenza, che contribuì a promuovere una trasformazione in senso marxista del suo razionalismo critico e lo spinse nel dopoguerra sulla via di un accentuato impegno politico. Alle origini della riflessione banfiana sta un preciso rapporto col trascendentalismo di Kant e con la “filosofia della vita” di ascendenza simmeliana. Attraverso Kant, Banfi concepisce la filosofia come conoscenza antimetafisica, critica e fenomenologica, rivolta essenzialmente a fissare le condizioni strutturali che rendono possibile e organizzano le varie forme dell’esperienza. Tali condizioni, che si collegano tra loro fino a costituire un sistema, hanno una fisionomia soprattutto ideale: piuttosto schemi trascendentali e costruzioni regolative del sapere che non strutture date empiricamente e oggettivamente. L’influenza di Simmel ò invece accertabile in Banfi nella sua interpretazione della realtà come universo dinamico e vitale, articolato da infinite “forme” culturali. Queste forme non sono costituite da principi o valori universali-astratti, ma agiscono nella concreta realtà umana e storica, assumendo una grande varietà di aspetti e significati. Quanto alla filosofia, essa ò concepita in primo luogo come presa di coscienza razionale del complesso rapporto intercorrente tra esperienza vissuta e forme spirituali. La sua funzione fondamentale consiste nel cogliere e nell’analizzare, relativamente ai vari campi della cultura, sia i loro presupposti e le loro strutture fondative, sia la loro ricca fenomenologia. Accanto a Kant e Simmel l’altro grande maestro di Banfi fu Husserl, dal quale egli trasse un orientamento antipsicologistico nell’analisi del pensiero, una concezione accentuatamente teoretico- gnoseologica della filosofia e un programma di descrizione fenomenologia dell’esperienza. Secondo Banfi ” il problema fondamentale per l’Husserl ò quello di un’universale sistemazione teoretica, in cui non solo trovi interpretazione unitaria la complessa varietà dell’esperienza, ma si raccolgano in armonico significato razionale le differenti direzioni del sapere “. Nel pensiero di Banfi sono presenti anche altre due componenti essenziali: l’hegelismo e il marxismo. Secondo la stessa testimonianza di Banfi, Hegel fu ” il primo tra i grandi maestri ” che lo guidò ” sulla via del pensiero speculativo “. Di Hegel Banfi valorizza il rapporto dialettico tra ragione e realtà , l’esigenza di una riflessione sistematico-unitaria sull’esperienza vista come compito primario della filosofia, la concezione dinamico-processuale di questa stessa esperienza. Infine l’orientamento marxista matura in Banfi non solo in rapporto a certi studi e letture, ma anche (come si ò accennato) in rapporto a determinate esperienze personali e politiche. Nel periodo della crisi bellica e post-bellica, Banfi sottolineerà la validità del marxismo sia come teoria della rivoluzione sociale, sia come principio di rinnovamento etico e culturale. In effetti il marxismo potenzia, a suo avviso, ” l’atteggiamento critico del pensiero ” e diviene la forma più ricca della ” coscienza storica ” e dell’attività intellettuale. E’ tra il 1922 e il 1943 che Banfi ha organizzato in sede dottrinale la propria posizione filosofica. Essa assume, sempre più chiaramente, l’aspetto di un ” razionalismo etico ” (l’espressione ò dello stesso Banfi) che integra esperienza e ragione in una prospettiva non dogmatica. Tale razionalismo critico si esprime, da un lato, in una concezione della ragione come principio fondante e unificante ma, insieme, anche intimamente articolato e pluralistico; dall’altro, in un’analisi fenomenologica della cultura, indagata nei suoi diversi piani e momenti e nelle loro condizioni di possibilità . Le opere fondamentali in cui questo razionalismo critico viene gradualmente elaborato sono La filosofia e la vita spirituale (1922) e i Princìpi di una teoria della ragione (1926), cui seguono nel 1939 l’importante Vita di Galileo Galilei e nel ’43 l’ampio articolo programmatico, intitolato non a caso Per un razionalismo critico. Contemporaneamente Banfi svolge anche un complesso discorso su figure e problemi della filosofia antica e moderna, approdato a saggi su Rimmel (1931), su Hegel (1936), su Husserl (1939) e su Socrate (1943). Nel 1940 il pensatore milanese fonda e dirige (fino al 1949) la rivista “Studi filosofici”, che accoglierà anche le voci dei suoi scolari e porterà avanti un programma di approfondimento e sistematizzazione della riflessione teoretica, oltre che di vivace apertura alle esperienze spirituali e culturali contemporanee. Nel 1959 esce l’ampia raccolta di studi La ricerca della realtà , in due volumi, che conclude insieme con i Saggi sul marxismo (1960) la ricerca filosofica di Banfi. Già a partire dagli anni ’30 Banfi operò nella cultura filosofica italiana anche attraverso una ricca serie di iniziative editoriali. Nelle sue scelte di autori e testi stranieri da introdurre in Italia, egli privilegiò – in funzione palesemente antiidealistica- la filosofia della vita (Simmel), le cosiddette filosofie della “crisi” (da Kierkegaard a Nietzsche, da Barth agli esistenzialisti), il pensiero fenomenologico. Mediante queste scelte egli proponeva una rilettura della filosofia europea che trovava i suoi momenti centrali nella riflessione sulle forme dell’esperienza e della cultura, nell’interpretazione della crisi storica della civiltà moderna e nell’esigenza di una rifondazione del pensiero secondo le prospettive di una razionalità anti-dogmatica e pluralistica. E’ sempre in questa prospettiva che vanno collocati anche i richiami di Banfi alla filosofia anglo-americana. L’impegno editoriale banfiano si concretò soprattutto nelle collana “Idee nuove”, curata per l’editore Bompiani di Milano, dove apparvero volumi di Windelband e di Simmel, di Hartmann e di Scheler, di Klages e di Jaspers, di Santayana e di altri pensatori anglo-americani. L’insegnamento universitario di Banfi produsse a poco a poco una vera e propria “scuola” che, sviluppandosi oltre le posizioni del maestro e anche in direzioni diverse rispetto al suo razionalismo critico, alimenterà il dibattito filosofico italiano fino agli anni ’70. Di questa scuola Remo Cantoni, Enzo Paci, Giulio Preti sono stai gli esponenti più significativi. Ma accanto ad essi vanno ricordati almeno Giovanni Maria Bertin, che ha proseguito le riflessioni pedagogiche di Banfi, e Dino Formaggio, che ne ha approfondito le riflessioni sull’arte e l’estetica. Come si ò accennato, il razionalismo critico banfiano si muove intorno a due problemi fondamentali: il rapporto esperienza-ragione e la nozione di “idea di ragione”. Esperienza e ragione sono, per Banfi, autonome eppure organicamente intrecciate: la ragione esiste e opera solo nell’esperienza, mentre l’esperienza diviene significante dolo in rapporto con le strutture ideali della razionalità . I due princìpi dell’esperienza e della ragione vanno intesi però in senso non ontologico realistico, ma trascendentale. Essi sono infatti nozioni “formali” e “neutrali”. Scrive Banfi: ” La neutralità del concetto di esperienza ò il preludio alla neutralità del concetto di ragione, che se quella pone i dati in quanto tali, indipendentemente dalla loro determinazione esistenziale, questa garantisce la loro risoluzione in un sistema di rapporti universali che non dipende, ma fonda gli della popolarità soggetto e oggetto, io e mondo. ” (La ricerca della realtà I, cap IX) L’esperienza viene valorizzata in ogni suo aspetto individuale e sociale, pratico e culturale. Di essa si indagano per un verso le concrete dinamiche storiche e fenomenologiche, per un altro quell’ordine che trova la propria unità e fondazione nell’idea di ragione. Come struttura organizzativa dell’ esperienza e del sapere, la ragione ò un principio fondativo dinamico, un criterio regolativo e talora un compito: mai un dato. Essa ò, più precisamente, l’orizzonte di ” universalità ” che collega ” le astratte determinazioni esistenziali “; ò la ” certezza universale della vita, dell’azione e della storia “; ed ò ” riconoscimento della realtà e in questa di sè, riconoscimento continuo, progressivo che si accompagna all’universalizzarsi dell’azione dell’uomo “. La ragione si rende consapevole di se nella riflessione filosofica, che ne fissa le strutture teoretiche e le definisce come idea e forma trascendentale, fondante e unificante l’esperienza. Scrive Banfi: ” La ragione ò la sfera in cui trovano la propria armonia e le direzioni di trascendentalità dell’esperienza, quelle in cui l’esperienza supera le sue particolari forme di antitesi soggetto-oggetto, poichè il trascendentale ò appunto il momento della sintesi dei due termini, come legge dell’infinita loro relazione o della continuità dinamica dell’esperienza storica. ” (Principi di una teoria della ragione, I, 2) La ragione svolge i proprio compito attraverso tre momenti: la ” dialettica “, che si sviluppa attraverso il linguaggio gli elementi intuitivi della conoscenza e li eleva al piano della universalità razionale; l’ ” eidetica ” che fissa le varie idee come “leggi” di organizzazione e sviluppo dell’esperienza; la ” fenomenologia “, che determina il rapporto tra l’idea e le varie sfere dell’esperienza e della conoscenza. Delineata negli anni ’20 e ’30, questa concezione fu approfondita, dopo il 1945, attraverso il rapporto con marxismo. Razionalismo critico e materialismo storico convergono per Banfi nel richiamo alla storicità , nel carattere teoretico-pratico del principio di razionalità e nell’impegno ricostruttivo, anche in senso sociale, proprio della ragione. Nel pensiero banfiano tale convergenza operò soprattutto come esigenza e programma di carattere generale, nonchè come criterio di impegno culturale e politico: non venne invece adeguatamente sviluppata in campo teoretico. La concezione banfiana della ragione implica il suo manifestarsi in una serie, potenzialmente infinita, di forme di sapere e di cultura. Rispetto a tali forme la filosofia tende a fissare le strutture categoriali che la caratterizzano, la dinamica del loro sviluppo interno, le connessioni col principio unitario in grado di organizzarle. Oltre che in sede teoretica, questo lavoro viene realizzato nella concreta trama delle discipline che trattano i principali ambiti dell’esperienza culturale e spirituale umana. Le discipline che vengono indagate da Banfi sono, in particolare, la pedagogia ( La problematicità della vita spirituale e il pensiero pedagogico di Gino Capponi del 1924; Sommario di una storia della pedagogia, del 1931; Scuola e società , del 1958), l’etica ( Sui princìpi di una filosofia della morale, del 1934), la religione ( Lineamenti di una sistematica degli studi religiosi, del 1925), l’estetica ( Vita dell’arte, del 1947, e I problemi di un’estetica filosofica, del 1961), la scienza ( Cultura scientifica, in “Studi filosofici” del 1941, e L’uomo copernicano, del 1950) e la storiografia ( Problemi di storiografia filosofica, del 1951). La pedagogia si occupa del ” processo di formazione e di sviluppo della personalità spirituale, che si compie nel rapporto tra l’anima individuale e il mondo dell’esperienza e della cultura “. L’educazione si configura anzitutto come tensione tra individualità e esperienza sociale: una tensione orientata verso la ” esigenza di una sintesi vivente, organica ed attiva dei due estremi “. L’educazione, ancora, ò caratterizzata da un necessario legame con la storicità , dalla valorizzazione della dialettica io-mondo nell’ambito dei processi formativi e soprattutto dell’uso regolativo della nozione di personalità , alla quale Banfi ha dedicato pagine assai fini e importanti. La pedagogia si costituisce come disciplina matura e compiuta quando passa dal piano della mera precettistica pratica a quello della riflessione teorico-normativa, per approdare infine alla ” riflessione idealizzante ” che identifica ” il fine ideale dell’educazione nella sua purezza e universalità ” e nella costituzione compiuta e armoniosa della persona umana. Nell’ambito della morale Banfi approfondisce soprattutto il rapporto tra ethos e individuo. Quando un determinato costume collettivo entra in crisi, si pone, per il soggetto umano, il problema di rinnovare l’idea di persona e l’immagine della società , ricollegandole tra loro su nuove basi. Si crea così una tensione tra valori pubblico-tradizionali e nuove esigenze assiologiche, la quale favorisce l’emergere di una moralità come responsabilità e scelta trasformatrice personale. Un nuovo sistema di principi viene contrapposto all’ethos esistente; in questa contrapposizione si viene affermando, anche attraverso profondi travagli, il fondamentale principio della libertà . Al tempo stesso, attraverso l’opera dell’individuo-persona si viene a maturare anche il piano dell’ethos. L’ etica banfiana appare legata ad una prospettiva, fortemente personalistica; mentre, sotto un diverso profilo, ò caratterizzata dall’intima problematicità di tutte le possibili scelte dell’individuo. L’ esperienza religiosa si costruisce, secondo Banfi, attraverso una ricca e complessa dialettica che si stabilisce tra il momento dogmatico dell’affermazione del Dio trascendente e il momento della coscienza religiosa che vive interiormente i problemi connessi al rapporto tra uomo e Dio (peccato, salvezza, grazia). Di qui emerge la fenomenologia dell’esperienza religiosa elaborata da Banfi, che approfondisce soprattutto il momento della credenza e del misticismo (visto come momento centrale della religiosità ) e la struttura delle religioni positive, a cominciare da quella del cristianesimo (concepito come ” la radicale definitiva esperienza religiosa “, ” capace di infinite variazioni e sviluppi “). Il ruolo teoretico della religione, su cui Banfi insiste particolarmente, consiste nell’affermazione dell’unità dell’esperienza in forma dogmatica e trascendente: un’esperienza che si pone, attraverso il discorso razionale della teologia, in stretto rapporto con la filosofia. La filosofia dell’arte deve valorizzare per Banfi l’esperienza estetica ” nella sua ricchezza e varietà irriducibile a un sistema chiuso di canoni e norme “. Essa deve poi fissare la ” legge della sua interna multiforme tensione e del suo movimento “. Si viene in tal modo a costituire una fenomenologia estetica che evidenzia alcuni aspetti dialettici e antinomici dell’esperienza artistica: l’autonomia e la condizionatezza dell’arte, la sua immediatezza e l’idealità , la mondanità e la sublimità , la concretezza e l’astrattezza. L’ arte non ò altro che una sintesi vitale di queste prospettive antinomiche, che invece l’estetica deve fissare come elementi costitutivi intrecciantisi in forme sempre aperte a nuove configurazioni. Anche il concetto di bellezza ò ” l’instabile prodotto di una dialettica ognora rinnovantesi tra regola ideale astratta e concretezza del gusto e del giudizio artistico “. L’opera d’arte, infine, non nasce tanto dalla cosiddetta ispirazione, ma ò legata essenzialmente alle dimensioni della cultura e della storia. La creazione artistica ò infatti impensabile fuori da un complesso rapporto con le altre forme spirituali dell’uomo. Quanto alla scienza Banfi la interpreta come un sapere critico composto di teoresi e prassi, di riflessione logico-metodologica e di sviluppo tecnico. Per dispiegarsi compiutamente in tale forma, ò necessario che la scienza realizzi adeguatamente la propria “idea”, facendosi più rigorosa in senso critico-metodologico e organizzando un modello di ” ragione scientifica ” che giustifichi la complessità , la variabilità , l’ “elasticità ” di queste forme di sapere e ” permetta di valutarne alla giusta stregua i risultati “. Intesa in tal senso, la scienza ò indipendente dalla filosofia ma ” necessariamente vi si riconduce come alla propria garanzia, in quanto vuol fondere l’universalità delle sue leggi e dei suoi sistemi categoriali “.
- 1900
- Filosofia - 1900