Appassionato discorso di Scipione - Studentville

Appassionato discorso di Scipione

Vos ego, milites, non eo solum animo, quo contra alios hostes soletis, velim cum Carthaginiensibus pugnare, sed cum indignatione quadam atque ira, veluti si servos videatis vestros arma ferentes contra domus vestras. Licuit ad Erycem clausos eos fame interficere, licuit victricem classem in Africam traicere atque intra paucos dies sine ullo certamine Carthaginem delere: veniam dedimus precantibus, eos emisimus Eryce ex obsidione, pacem cum victis in Africa fecimus. Quamquam clementes fuimus, furiosum iuvenem sequentes, ad oppugnandam patriam nostram veniunt. Atque utinam pro decore et dignitate tantum, non pro patriae salute certaremus! Non de possessione Siciliae ac Sardiniae, de quibus quondam cum illis decertavimus, sed pro Italia ipsa, pro coniugibus et liberis, nunc vobis est pugnandum. Nec nobis est alius a tergo exercitus qui, si nos victi erimus, hosti victori obsistat. Utinam sic esset! Quare hosti obsistamus, milites, velutsi ante Romana moenia pugnemus. Unusquisque se non corpus suum, sed coniugem ac liberos armis protegere putet, nec privatas solum agitet curas, sed identidem hoc animo reputet nostras nunc intueri manus senatum populumque Romanum.

Versione tradotta

Io vorrei che voi, soldati, combatteste con i Cartaginesi non solo con quella disposizione d’animo con cui siete soliti combattere contro altri nemici, ma con un certo sdegno e ira, come se vedeste i vostri schiavi che impugnano le armi contro casa vostra. Sarebbe stato lecito far morire di fame i nemici assediati (eos clusos) a Erice, sarebbe stato lecito far passare in Africa la flotta vittoriosa e in pochi giorni distruggere Cartagine senza alcun combattimento; concedemmo la grazia ai nemici che ci supplicavano (supplicantibus), li lasciammo andare liberi (emisimus) dall’assedio a Erice, concordammo una pace con i vinti in Africa. Sebbene fossimo stati clementi, (essi) vengono ad attaccare la nostra patria al seguito di (sequentes: seguendo) un giovane pazzo. E volesse il cielo che combattessimo ora soltanto per l’onore e la dignità e non per la salvezza! Voi ora dovete battervi non per il possesso della Sicilia e della Sardegna, le quali ci contendemmo con loro un tempo, ma per l’Italia stessa, per le mogli e i figli. E non c’è alle nostre spalle (nobis a tergo: per noi alle spalle) un altro esercito che, se noi saremo sconfitti, si opponga al nemico vincitore. Magari fosse così! Perciò, soldati, resistiamo al nemico come se combattessimo davanti alle mura di Roma. Ciascuno pensi di proteggere con le armi non il suo corpo, ma la moglie e i figlioletti, né soltanto abbia a cuore gli affetti personali (agitet curas privatas), ma consideri sempre nel suo intimo che il Senato e il popolo romano guardano alle nostre mani.

  • Letteratura Latina
  • Lingua Viva 2
  • Versioni dai Libri di Esercizi

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