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Aristotele: la concezione del cittadino

La concezione del cittadino di Aristotele.

Per noi moderni il non fare niente ò un concetto negativo prima che sul piano morale-assiologico, su quello ontologico: nel non far niente vi ò la mancanza di qualcosa. Per i Greci e per i Latini era diverso: la “scholò” era quella parte dell’esistenza in cui ci si dedicava all’attività  studiosa. E’ interessante come Aristotele insista su questa forma di studio disinteressato e affermi ripetutamente che questa sia la più nobile delle vite. Questo ò dovuto a due fattori: 1) la mentalità  greca generale (come quella Latina) era propensa ad esaltare l’ozio 2) tra Platone e Aristotele c’ò una grande differenza: secondo Platone si deve arrivare alle conoscenze supreme, al mondo intellegibile; per Aristotele le conoscenze sono sensibili e presenti su questo mondo. Quando delineano il modello di vita da seguire, Platone traccia il percorso volto al raggiungimento del bene in sò (si vede comunque nel mito della caverna che i filosofi devono ritornare sulla terra a governare: il punto di arrivo ò il re-filosofo); per Aristotele non ò così: riconosce il modello dell’uomo cittadino, ma l’uomo più elevato sarà  lo studioso, colui che si dedica all’otium e non al negotium: come mai? Ricordiamoci che Aristotele vive dopo Platone, in un’epoca in cui la polis ò in crisi (per Platone e Socrate era scontato che l’uomo ed il cittadino fossero un tutt’uno ): vi ò un progressivo scollamento da Socrate in poi tra uomo e cittadino, che un tempo erano indivisibili: Socrate aveva voluto morire, mentre Platone si era reso conto che la politica fosse ingiusta e aveva spostato la figura del politico nel mondo ideale: Sofocle in persona aveva notato questo progressivo scollamento uomo-cittadino. Per Aristotele non solo l’uomo può essere uomo senza essere necessariamente cittadino, ma anzi nella dimensione in cui non ò cittadino ò migliore: questa teoria avrà  gran successo e prenderà  piede (pensiamo agli epicurei ed al loro motto “lathe biosas”, ” vivi di nascosto “: l’uomo per essere felice deve vivere lontano dalla politica, in privato ). Quindi possiamo provare a tracciare una graduatoria del graduale staccamento uomo – cittadino: a) in Socrate c’ò piena identificazione b) in Platone c’ò sì identificazione, ma non in questo mondo (in quello delle idee) c) Aristotele apprezza la vita politica, ma non c’ò più l’identificazione tra uomo e cittadino d) in Epicuro c’ò un totale rifiuto della figura uomo-politico associata. Va poi ricordato che Aristotele era uno straniero e non poteva svolgere vita politica: ò quindi evidente che non si sentisse uomo-cittadino, ma tuttavia questo ò l’aspetto meno imprtante che determinò lo scolllamento aristotelico tra uomo e cittadino. Dalla fine del quinto secolo fino al terzo si arriva ad un rifiuto della politica: la filosofia nasce quando le civiltà  si sviluppano e un gruppo sociale (i filosofi) può vivere senza lavorare.

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