Aristotele, come ò noto, scrisse un mare di trattati su di un mare di argomenti, ma i suoi interventi specifici sul problema dell’educazione risultano sempre inseriti in altri testi ed altri contesti. Ciò potrebbe ingenerare la convinzione di uno scarso interesse del filosofo per la pedagogia, mentre ò vero il contrario: Aristotele fu in pratica un maestro ed un insegnante di tipo nuovo, inventò un modello di “scuola attiva”, cioò di scuola che stimolava l’autonoma iniziativa degli allievi, che era forse il primo della storia, il Liceo, ed all’interno di questo modello propose un approccio agli studi tipicamente moderno e scientifico, basato sia sulla specializzazione della ricerca per aree tematiche, sia sulla osservazione e sulla raccolta dei “dati”. In più possiamo osservare che tutta la produzione filosofica dello stagirita ò in qualche modo una “pedagogia” rivolta agli adulti, quasi una forma di moderna educazione permanente. In questo dunque egli rinnovò ed innovò una tradizione preesistente, quella della paidòia, cioò della cultura come abito mentale del buon cittadino, contrapposto sia al “rustico”, cioò all’uomo di campagna incolto, sia al “barbaro”, cioò al non Greco. In Platone il tema della paidòia ò trattato diffusamente nella “Repubblica” e genera insieme approvazione da un lato, e istintivi dissensi dall’altro, specie per le teorizzazioni piuttosto artificiose sulla liquidazione della famiglia, la comunanza delle donne, l’allevamento programmato dei futuri cittadini-automi, più che cittadini autonomi e responsabili. Aristotele prende indubbiamente le distanze da questo modello in quanto egli comprende che in generale il fine dell’educazione non ò quello di formare dei buoni governanti di cittadini non autosufficienti, ma buoni cittadini autosufficienti in grado di scegliersi i governanti. In pratica egli comprese che il fine dell’educazione non può essere subordinato ad una selezione preventiva. Si semina e chi raccoglie ò più bravo di chi non raccoglie. Tra chi raccoglie poi vi sarà chi sceglie di studiare: a questi sarà dato di più. (ad esempio, nel modello del Liceo, la possibilità di frequentare i corsi del mattino) Non solo: egli teorizzò anche una distinzione tra “l’esser buono” ed “esser buon cittadino”, comprendendo che, in fondo, anche l’uomo non buono può adattarsi ad alcune regole di convivenza, se queste diventano un’abitudine. Si tratta, in fondo, di una vera “teoria” della democrazia, l’unica vera teoria accettabile ancor oggi. Questo ò vero anche se, per la verità , Aristotele non parlò della democrazia come forma di governo migliore rispetto alle altre. Tuttavia ò anche vero che egli criticò le forme di governo assolutistiche, tiranniche e totalitarie e, probabilmente, rinvenne nei libri di Platone dedicati allo stato un principio di totalitarismo, ovvero non solo una dittatura che vieta alcune libertà , ma una forma di governo che pretende di prescrivere la vita di ognuno, dicendo in anticipo come deve essere e cosa si deve fare persino nella sfera privata. In Politica II, 2 Aristotele osserva in proposito che <> Anche in Aristotele, pertanto, l’educazione dell’uomo coincide con la formazione civica del cittadino, ma in chiave di convivenza democratica. La felicità ò possibile se un individuo si realizza. Il fine dell”educazione ò aiutare l’individuo a realizzarsi. Alcuni individui, i migliori, si realizzano solo se scelgono (ed hanno la possibilità di farlo) una vita teoretica. Per questo la tematica educativa, da un lato, si allarga smisuratamente alla attività teoretica distinta da quello etico-pratica, e sembra quindi proporre quanto vi sia di più disdicevole nella vita umana: la scissione tra teoria e pratica. Ma in realtà la riflessione teoretica interessa eminentemente la vita pratica ed ò ormai consolidato che solo attraverso il distanziamento dalle cose che le possiamo pensare obiettivamente. Dall’altro lato Aristotele coglie indubbiamente una necessità reale dell’individuo, quantomeno di alcuni individui, cioò il bisogno di conoscenza come fattore primario ed elemento costituitivo e necessario della stessa “felicità ” umana. Ovviamente questo amore per il “sapere” non può essere inteso in senso restrittivo, come amore per la sola “filosofia” come la conosciamo e la intendiamo oggi. Il sapere era per Aristotele conoscenza universale (potremmo dire “enciclopedica”) e interessava in modo unitario tutte le possibili discipline, dalla “fisica”, cioò la natura, all'”etica”, cioò le forme della convivenza umana e politica, dalla matematica alla biologia, dalla retorica alla poetica ( e quindi l’arte della rappresentazione), dalla ginnastica alla musica. La particolare attenzione riservata al linguaggio nei libri raccolti nell’Organon testimonia poi di una importanza decisiva della dialettica, dell’analitica e della logica in quanto aspetti diversi di un medesimo sapere, quello della comunicazione dotata di senso. E’ certamente dall’Organon, oltre che dai libri di psicologia, che possiamo dedurre le basi della conoscenza in Aristotele, e quindi riformulare un percorso in qualche modo organico che abbracci l’insieme dei metodi e dei contenuti pedagogici dello stagirita. Lungi dal voler restringere il campo della filosofia ( e della pedagogia) ad una semplice analitica, resta da dire che il compito dell’educatore in generale ò con Aristotele delineato: portare l’individuo all’autosufficienza, offrirgli una cultura sia generale che specialistica per aiutarlo nella realizzazione.
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