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Aristotele: Potenza e atto

I concetti di potenza e atto in Aristotele.

Un altro modo con cui Aristotele spiega il movimento ò quello della POTENZA e dell’ATTO: questa coppia ò un altro modo per ammazzare Parmenide: già  Platone aveva commesso il parricidio di Parmenide introducendo l’essere diversamente.

Aristotele lavora però nel campo del cambiamento: dall’essere una cosa al non essere più quella cosa e viceversa. Introduce quindi la coppia potenza-atto. Aristotele fa notare che quando qualcosa cambia non passa solo da privazione ad acquisizione, ma subisce anche un altro processo: in partenza era potenzialmente quello che poi ò diventato effettivamente. La pianta è trasformazione del seme: il sostrato da privazione di forma albero passa ad acquisizione di forma albero: ma si può anche dire che il seme ò un albero in potenza: può diventare albero, come può non diventarlo. Il seme può quindi diventare albero: da albero potenziale diventa albero attuale. Aristotele afferma che questa coppia spiega anche una cosa che nella forma di cambiamento sostrato, privazione, acquisizione non era spiegata: non sempre il seme diventa albero. Certo un seme di quercia ha più possibilità  di diventare albero rispetto ad un chicco di grano: il primo ò un albero in potenza, il secondo no.

Ci sono quindi varie canalizzazioni: prima si deve appurare che sia un albero in potenza (il chicco di grano non può esserlo), poi occorre che ci siano le condizioni favorevoli perchò diventi albero attuale. Un uovo di struzzo sarà  per forza struzzo in potenza e non potrà  mai diventare gallina. Aristotele insiste particolarmente sul fatto che ogni cosa per passare da potenza ad atto ha bisogno di qualcosa che sia già  in atto: l’uovo di struzzo, per esempio, per diventare struzzo attuale ha bisogno di essere fecondato da uno struzzo già  struzzo, uno struzzo attuale. Se non intervengono i fattori necessari alla realizzazione del processo, esso non avviene. Il processo di canalizzazione ò molto meno forte nel mondo artificiale rispetto al mondo naturale (a differenza del finalismo): se ad esempio prendiamo un pezzo di legno, a differenza di uno struzzo, può diventare non tutto, ma più cose: un tavolo, una sedia, un mobile…

E’ interessante ricordare che Aristotele ha dato una sua risposta al quesito “è nato prima l’uovo o la gallina? “: lui rispose che nacque prima il gallo; questa domanda era problematica pure per lui (ricordiamo che era un fissista); questa domanda può anche essere interpretata come “è nato prima l’atto (la gallina) o la potenza (l’uovo)? “. Aristotele a questo punto fa notare che l’atto sta prima della potenza ontologicamente e concettualmente: non possiamo definire fino in fondo un uovo se non specifichiamo di che cosa è (di gallina, di struzzo… ): se invece diciamo gallina tutti capiamo senza problemi. L’uovo non è quindi definibile perfettamente se non faccio riferimento all’atto, se non dico che è una gallina in potenza (per definirlo ho quindi bisogno di conoscere l’atto).

La potenza ha come fine l’atto, ma l’atto non ha come fine la potenza. Un bambino è un uomo in potenza: questa teoria però ha creato problemi ed esagerazioni sul piano pedagogico (soprattutto nella pedagogia gesuita): si è negata l’autonomia delle varie età  basandosi sul fatto che il fine è essere uomo. Anche nella storia si fa spesso così: si valuta ciò che viene prima in funzione di ciò che viene dopo: così è anche per i Presocratici, che sono stati appellati in questo modo in funzione della venuta di Socrate, negando loro autonomia. Sul piano ontologico abbiamo visto che, ad esempio, l’uovo per diventare gallina deve essere fecondato da un gallo già  in atto.

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