ARNOLFO DI CAMBIO. Arnolfo di Cambio (1240 -1302), dopo essersi educato nella scuola di Nicola Pisano, dal 1277 lavora autonomamente a Roma, al servizio di Carlo I d’Angiò.
Svolge attività di architetto oltre che di scultore. Nell’ambiente romano Arnolfo allarga la cultura classica, formatasi presso Nicola, con la visione diretta dei ruderi antichi e conosce l’opera dei marmorai laziali, “i cosmateschi”, ricavandone il senso del colore.
Dei primi anni del soggiorno romano deve essere il Monumento funebre del cardinale Annibaldi, purtroppo smembrato in età barocca, del quale restano preziosi frammenti, fra cui l’altorilievo con la cerimonia della Messa. Qui il piano di fondo è mosaico, secondo l’uso cosmatesco; ma in Arnolfo non c’è soltanto un fine decorativo: il mosaico vivifica la superficie e fa risaltare, per contrasto le sei figure, maestosamente distaccate le une dalle altre. Ciò non significa mancanza di unità, anzi, esse si coordinano mediante gesti studiati in relazione reciproca, così da costituire un ritmo lento e processionale, pausato dai vuoti equilibratamente alternati ai pieni, senza causare monotonia perché gli atteggiamenti sono differenti e perché è variata la disposizione dei corpi, parzialmente frontali o di profilo o di tre quarti.
ARNOLFO DI CAMBIO: LE OPERE. L’attività di Arnolfo è intensa. Nel 1277 riceve la richiesta di recarsi a Perugia, si è supposto per lavorare alla Fontana Maggiore, alla quale negli stessi anni, stavano lavorando Nicola e Giovanni Pisano. Ma non sembra che vi si possa riconoscere la mano di Arnolfo.
- Nel 1282, a Orvieto, nell’antica chiesa di San Domenico,il maestro innalza l’importante Monumento funebre del Cardinale De Braye, dove il rigore delle prime opere si stempera in modulazioni più dolci. Purtroppo scomposto e successivamente ricomposto, oggi ne vediamo solo alcune parti senza poterne apprezzare la struttura originaria, che servì da modello per altri monumenti sepolcrali.
- A Roma nella Basilica di San Paolo (1285) e in quella di Santa Cecilia (1293), egli crea due Cibori in cui, malgrado il goticismo delle cuspidi, delle guglie ecc, definisce con chiarezza le forme, mostrando ancora una volta quella concezione architettonica che è alla base di tutta la sua scultura e che giustifica non soltanto l’eventuale attribuzione al maestro del progetto del Duomo di Orvieto, ma, soprattutto, la sua chiamata a Firenze nel 1294, per costruirvi, sintesi e summa delle sue esperienze artistiche. Per Arnolfo il ciborio (edicola che nelle chiese cristiane sovrasta l’altare; è costituita da una pianta quadrata delimitata da quattro colonne sorreggenti una copertura arcuata), è una vera e propria struttura architettonica posta a diretto confronto con lo spazio della basilica paleocristiana e articolata in forme chiaramente gotiche. Su quattro colonne poggiano archi a sesto acuto trilobi; il coronamento è costituito da timpani triangolari gattonati, mentre agli angoli compaiono guglie e pinnacoli. Nuovo è anche il ruolo svolto dagli elementi scultorei che perfettamente si saldano all’insieme architettonico grazie alla loro semplice volumetria: i capitelli, le quattro figure angolari, i rilievi sui pennacchi, gli angeli volanti che sostengono i rosoni dei timpani.
A Firenze, Arnolfo trova l’ambiente adatto ad accogliere la sua poetica: qui, abbandonando, o meglio limitando, il decorativismo cromatico “cosmatesco” romano, la monumentalità spoglia delle sue opere si inserisce direttamente nella tradizione cittadina. Lo vediamo operare nella Basilica di Santa Croce, la Cattedrale, il Palazzo della Signoria. In Arnolfo sembra rivivere la ricerca dell’assoluto, caratteristica dell’arcaismo greco, filtrata attraverso il classicismo etrusco – romano e la lunga tradizione medievale.
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