Nato nel 1798 a Montpellier (Francia) da famiglia cattolica e monarchica, Auguste Comte frequentò la scuola politecnica di Parigi, il che incise vivamente sulla sua formazione filosofica. Al centro della sua filosofia, infatti, vi ò la matematica e la convinzione che l’unica vera forma di sapere sia la scienza. La sua non fu una vita facile: le sue idee, quand’egli era ancora in vita (morì a Parigi nel 1857), non riscossero alcun successo e tutti i suoi tentativi di entrare pienamente nella vita accademica fallirono miseramente; questi continui insuccessi, uniti al fallimento amoroso, stanno probabilmente alla base dello squilibrio psichico che lo tormentò per il resto della sua vita. In particolare, nell’ultima fase del suo pensiero, vi saranno parecchi elementi che riveleranno la sua instabile condizione mentale: primo fra tutti, il tentativo di elaborare una vera e propria “religione positiva”, una sorta di istituzionalizzazione del sapere scientifico come sapere religioso; la scienza non solo sostituirà la religione come fede, ma, addirittura, vi sarà una Chiesa della scienza, con il suo stuolo di funzionari e di santi. Tuttavia questa evidente degenerazione non ò solo alimentata dagli squilibri mentali che perseguitarono Comte per tutta la vita, bensì affonda, in qualche modo, le sue radici nella sua stessa concezione filosofica, basata su una fiducia ingenua ed acritica nei confronti della scienza e, più in generale, dei dati di fatto. E del resto, l’ultimo Comte rispecchia le posizioni di degenerazione fideistica della scienza che per davvero si sono realizzate: nella società moderna, di cui Comte ò profeta, vi ò in qualche misura un atteggiamento fideistico verso la scienza, cosicchò il pensatore francese ha lucidamente anticipato ciò che, successivamente, ò diventato un modo di pensare comune. Egli ha sempre ammirato la Chiesa cattolica non per i suoi contenuti (che egli rifiuta, in nome del sapere scientifico), ma per l’organizzazione che dà alla società : si tratta pertanto, dice l’ultimo Comte, di sostituire ai dogmi del cristianesimo quelli scientifici, mantenendo però le istituzioni tipiche della Chiesa cattolica. Detto questo, il primo Comte ha un atteggiamento meno estremistico, ma pur sempre risoluto: egli getta le basi teoriche di quel movimento passato alla storia col nome di “Positivismo”. Al termine “positivo” (desunto dall’amico Saint-Simon) egli dedica il Discorso sullo spirito positivo (1844): 1) positivo ò anzitutto ciò che ò reale, effettivo, sperimentale, in opposizione a ciò che ò astratto, chimerico, metafisico; 2) positivo ò anche ciò che appare fecondo, pratico, efficace, in opposizione a ciò che ò inutile ed ozioso; 3) positivo ò ciò che ò preciso e non-vago; 4) positivo ò ciò che dà certezze e si basa sul dato di fatto 5) positivo ò contrapposto a negativo, ovvero non distrugge, bensì organizza la società . In Corso di filosofia positiva (1830) egli elabora la famosa legge dei ” tre stati “: come si può notare, neanche Comte (che pure si oppone ad Hegel per la ricerca di un’estrema concretezza e per l’accettazione del dato di fatto, nonchò della scienza) riesce a sfuggire alle influenze della triade hegeliana, ma anzi, conserva la convinzione (tipicamente hegeliana) che il terzo momento sia la sintesi dei primi due o, se preferiamo, un riproponimento del primo ad un livello superiore perchò passato per la “negazione”. Molto hegeliano ò anche il fatto che i “tre stati” in questione sono, un pò come quelli della Fenomenologia dello spirito, stati della storia dell’umanità che ciascuno di noi ò tenuto a ripercorrere nella propria vita; si tratta di stati della storia dell’umanità sotto un triplice aspetto, dello sviluppo scientifico, ma tendenti a corrispondere a stati delle forme organizzative-politiche-sociali della società e a corrispondere pure all’evoluzione individuale dei singoli individui. I tre stati sono, rispettivamente, lo stato teologico, quello metafisico e, infine, quello positivo. Nel primo stato, quello teologico, l’uomo si chiede il perchò dei fenomeni a cui assiste e prova a rispondere facendo ricorso a realtà sovrasensibili, approdando alla teologia: sicchò, quando vedrà la pioggia, risponderà che essa ò causata da Zeus. Il secondo stato ò metafisico: l’uomo si pone le stesse domande che si poneva nello stato teologico, ma formula una diversa risposta, non ricorrendo più a cause che trascendano la dimensione naturale, bensì facendo ricorso a cause immanenti. Si tratta dell’epoca (il cui eroe ò Aristotele) in cui la causa dei fenomeni viene cercata nell’essenza e nella forma: alla domanda “come cresce l’albero? “, non si risponde più dicendo che c’ò un Dio che provvede a ciò, ma, viceversa, si dice che vi ò la forma dell’albero che ha in sò tutte le strutture che lo fanno sviluppare. Entrambe le fasi tentano di spiegare i fenomeni, ma diversa ò la causa a cui pervengono, con il rischio, peraltro (ed ò questo che fa scattare il passaggio al terzo stato, del positivismo) di rispondere ai perchò con delle tautologie. Infatti, per spiegare che cosa produca la digestione, si finisce per fare riferimento alle qualità digestive insite nell’uomo, ovvero si pronuncia in una nuova forma ciò che era già detto in maniera analoga nella domanda. Il terzo ed ultimo stato ò quello positivo-scientifico, caratterizzato dalla rinucia al chiedersi i “perchò” e il “cosa” dei fenomeni (perchò avvengono? cosa ò x? ), ovvero rinunciando alle domande tipiche della religione e della metafisica: se in Aristotele (ma anche nella teologia, seppur diverse erano le risposte), i due concetti chiave erano quelli di sostanza e di causa, con cui si risponde alle domande “che cosa ò x? ” e “perchò si verifica x? “, nello stato positivo cambia la domanda, poichò si arriva a capirne l’inutilità (si può infatti solo rispondere in maniera tautologica alla domanda “cosa ò x? ” o “perchò avviene x? “). La nuova domanda a cui si ò tenuti a rispondere nello stato positivo ò “come avviene x? “, il che altro non ò se non una riformulazione di quelle tesi proposte a suo tempo da Galileo: non mi interesso, aveva detto Galileo due secoli addietro, di cosa sia la forza di gravità e del perchò ci sia (e non me ne interesso proprio perchò non ho le possibilità di rispondere in maniera rigorosa), ma, al contrario, mi occupo di come essa funzioni. Di fronte alla caduta di un grave, non ci si deve chiedere che cosa ò o perchò accade, ma come accade, ravvisando in tale avvenimento una legge matematica. La rinuncia alle domande della metafisica e della religione ò dovuta al fatto che si tratta di domande a cui non si può rispondere in modo assolutamente certo, ma solo “chimerico” e “vago”; al contrario, come avvenga un determinato fenomeno ò constatabile in modo rigoroso e, pertanto, ne nasce una conoscenza utile, poichò praticamente applicabile e dunque potenzialmente utile. Si può notare come in ciascuno dei tre stati vi sia una progressiva unificazione: si passa da una pluralità di princìpi ad una diminuzione graduale dei medesimi; e così le religioni nascono come politeistiche e, a mano a mano, diventano monoteistiche. Allo stesso modo, la metafisica consiste dapprima di una miriade di forme e poi giunge al concetto generalissimo di natura (sintesi di tutti i princìpi metafisici); anche la fisica segue un percorso analogo: cerca di ricondurre il maggior numero possibile di fenomeni al minor numero possibile di leggi. Non a caso, la grande intuizione di Newton ò appunto quella di aver saputo unificare le leggi elaborate da Keplero e quelle elaborate da Galileo in una sola legge, la gravitazione universale. La legge dei tre stati, come abbiam detto, corrisponde a ciò che effettivamente ò avvenuto nella storia: ai tempi degli antichi greci regnava la religione, poi con il cristianesimo ò invalsa la metafisica e infine, con Comte, ò stata spodestata dalla scienza positivistica. Tuttavia, oltre ad essere un processo avvenuto nella storia dell’umanità , la legge dei tre stati ò anche un itinerario che ciascuno di noi percorre dentro di sò: da bambini, quando si ò più creduloni, si tende a spiegare ogni fenomeno ricorrendo ad un Dio; man mano che si cresce, la religione ò sostituita dalla metafisica, ed infine, divenuti adulti, la scienza ha la meglio. Essa ha anche, secondo Comte, una valenza politica e sociale: hegelianamente, la fase metafisica (antitesi) ha negato le certezze della fase religiosa (tesi), e il compito della fase positiva consiste nel riproporre la tesi ad un livello superiore, ovvero di creare una nuova fase organica quale era quella della religione dei Greci. Tutte le scienze esistenti, sostiene Comte, sono passate per i tre stati poc’anzi delineati, ma non tutte sono arrivate con la stessa rapidità : ci sono state scienze che sono arrivate prima e altre che sono arrivate dopo, e in virtù di questa diversità nei tempi d’arrivo esse vengono da Comte classificate secondo un ordine che ò al contempo di complessità crescente e di generalità decrescente. Infatti, sul piano logico, meno fattori si considerano nel tratteggiare un concetto e più il concetto, per così dire, si allarga: il concetto di uomo, ad esempio, ò più complesso del concetto di animale, proprio perchò implica il concetto di animale più qualcos’altro; ma il fatto che sia più complesso comporta che sia anche più ristretto (ovvero racchiude un minor numero di casi), poichò tutti gli uomini sono animali ma non tutti gli animali sono uomini. I concetti studiati dalla matematica sono, nel loro insieme, molto semplici, dice Comte, in quanto tale scienza si limita ad analizzare la quantità allo stato puro, senza porsi problemi più specifici. Quando esamina un libro, la matematica lo considera per il puro e semplice fatto di essere un parallelepipedo e nulla più; allo stesso modo, può studiare una persona solo come altezza, senza chiedersi se abbia un peso (come fa invece la fisica), una fisiologia (come fa invece la biologia), o un ruolo (come fa invece la sociologia). Emerge dunque la convinzione comteiana secondo la quale la matematica ò una scienza semplice, poichò lavora su un solo concetto (la quantità ) e proprio per questo ò applicabile ad ogni realtà ; e per la sua applicabilità ad ogni realtà , Comte ò più propenso a considerarla una sorta di logica della conoscenza scientifica piuttosto che una scienza. In altri termini, la matematica svolge per Comte le stesse mansioni che la logica svolgeva per Aristotele. Nella sua classificazione delle scienze, il pensatore francese asserisce che ad ogni gradino successivo alla matematica si inserisce un nuovo elemento che deve essere opportunamente indagato: ne consegue che man mano che si sale la scala, le scienze diventano sempre più complesse (perchò studiano sempre più caratteristiche) e per ciò meno generali. La fisica, ad esempio, ò meno generale rispetto alla matematica, perchò proietta la propria indagine su un maggior numero di caratteristiche (oltre alla quantità matematica, si interessa anche del peso e di mille altre cose) e in virtù di ciò ò meno generale. Allo stesso modo, la chimica ò più complessa della fisica ma ò meno generale e la biologia ò più complessa della chimica ma meno generale. Giunti al vertice della scala, troviamo la scienza che ò la più complessa di tutte, ma anche la meno generale: si tratta di quella che Comte definisce, con un neologismo da lui coniato, “sociologia”; ò un neologismo peraltro piuttosto bizzarro, visto che in esso troviamo una commistione di latino ( societas ) e di greco (logoV ). Tuttavia, come abbiamo accennato, le diverse scienze appena menzionate (1 astronomia, 2 fisica, 3 chimica, 4 biologia, 5 sociologia) non fanno il loro ingresso nello stato positivo (dopo aver percorso i precedenti due) tutte insieme, nel medesimo momento: seguono un ordine ben preciso, in cui a terminare per prime l’itinerario sono le scienze più semplici e generali. Storicamente, ò giunta per prima al traguardo la matematica, poi l’astronomia (intesa da Comte come una sorta di fisica generalissima), poi la fisica, poi la chimica, poi la biologia e, infine, la sociologia; e in effetti la storia dà ragione a Comte. Infatti, la matematica come scienza ha trovato una sua prima formulazione al tempo degli antichi Greci, anche se non ancora del tutto depurata dai residui delle due tappe precedenti: ne sono l’emblema i Pitagorici, i quali (come attesta Aristotele) hanno realizzato grandi scoperte scientifiche, attribuendo però ad esse valori sacri e sostenendo (metafisicamente) che il numero fosse il principio dell’intera realtà . Dopo la matematica, ò stato il turno dell’astronomia, divenuta anch’essa scienza ai tempi dei Greci: proprio come la matematica, però, anch’essa a quei tempi era carica di incrostazioni religiose e metafisiche (tant’ò che sfumava nell’astrologia). In modo analogo, la fisica ò uscita dai due stati religioso e metafisico per passare a quello positivo: questo ò avvenuto nel Seicento, l’epoca della Rivoluzione Scientifica. La chimica, dal canto suo, ha ricevuto, con Lavoisier, nel Settecento la sua prima e matura formulazione in termini scientifici (depurandosi dai residui magici che l’avevano caratterizzata nei secoli precedenti), quando, ad esempio, si ò cessato di intendere il fuoco come elemento e lo si ò finalmente considerato in modo corretto come processo. Stessa sorte ò toccata, nell’Ottocento, alla biologia e, infine, Comte riserva a se stesso il compito di far passare allo stato positivo quella scienza che lui stesso battezza “sociologia”, la più complessa e meno generale di tutte. A questo proposito si può osservare una cosa interessante: vi sono discipline a cui noi siamo soliti dare una collocazione conoscitiva molto diversa rispetto a quella che invece tributa loro Comte; ad esempio, diversamente da come siamo avvezzi a fare noi, Comte pone al gradino più basso la matematica e non considera affatto la psicologia come scienza. Altra curiosità ò il fatto che, diversamente da come ci si potrebbe aspettare, Comte non ò un riduzionista, ovvero non riconduce ad una sola scienza tutte le altre, come aveva invece fatto, due secoli addietro, Hobbes, ad avviso del quale, conoscendo le leggi della materia, allora ò possibile spiegare con esse l’intero mondo vivente, umano e politico. Per Comte, ò senz’altro vero che non si può costruire una scienza più complessa senza conoscere quella più semplice che la fonda, ma tuttavia sarebbe scorretto ricondurla in tutto e per tutto ad essa: per individuare le leggi della biologia, ad esempio, non potrò prescindere da quelle fisiche, dice Comte, ma non per questo si possono dedurre le une dalle altre. In altri termini, ogni scienza si appoggia a quella ad essa precedente (più semplice e più generale), ma non si riconduce in tutto e per tutto ad essa: questo atteggiamento risulta particolarmente rilevante perchò consente a Comte di garantire l’autonomia delle scienze, cosicchò un fisico, ad esempio, non potrà mai essere in grado di spiegare il mondo sociologico. Molto interessante ò anche il rifiuto della psicologia come scienza: la scienza dell’uomo fondata da Comte non corrisponde minimamente a quella che siamo soliti definire “psicologia”, poichò, fa notare il filosofo francese, studiare la psiche di una persona in modo rigoroso ò un’illusione, visto che, secondo i dogmi del Positivismo, ò impossibile avere conoscenza rigorosa di un qualcosa che non implica dati di fatto e che non ò consultabile in prima persona (non ò infatti possibile “entrare” nelle menti altrui). Non potendo studiare rigorosamente la psiche degli altri, tuttavia, se ne può studiare il comportamento e questo studio ò appunto la sociologia. Ne consegue che per Comte la scienza dell’uomo ò non già la psicologia, bensì la sociologia; però, si potrebbe obiettare, che, nell’impossibilità di studiare rigorosamente la psiche altrui perchò ò impossibile penetrarne la mente, si potrebbe studiare la propria psiche, superando l’ostacolo. Ma Comte non ò d’accordo: la scienza, infatti, ha per oggetto ciò che ò rigoroso, ma anche ciò che ò oggettivo, e se lo studio della propria psiche può essere rigoroso, ciononostante, non può essere oggettivo e distaccato. Curioso ò il fatto che, a cavvallo tra l’Ottocento e il Novecento, si sia sviluppata sulla base delle considerazioni di Comte la “psicologia comportamentalista”, caratterizzata dal rifiuto dello studio della psiche e dalla convinzione che si debbano invece studiare le reazioni agli stimoli. Fatta questa lunga carrellata di scienze, resta da chiedersi quale posto occupi per il filosofo francese la filosofia: avendo vivamente sostenuto che all’infuori della scienza non vi ò vera conoscenza, pare che egli sia costretto dal suo stesso pensiero a sancire il rifiuto della filosofia in quanto sapere non scientifico. Il Positivismo in generale, sotto questo profilo, ò una filosofia, per così dire, suicida, giacchò, nel proclamare la scienza unica forma di sapere, non fa altro che delegittimare il sapere filosofico. In realtà , quasi tutti i Positivisti, chi più e chi meno, riconoscono qualche campo di indagine alla disciplina filosofica (campo che varia da pensatore a pensatore), anche se, generalmente, si tratta di un margine piuttosto ristretto e subordinato alla scienza, di cui finisce per essere un completamento. Gli atteggiamenti adottati in merito dai Positivisti, sebbene piuttosto variegati, possono essere considerati tre. Il primo ò quello proposto da Comte, secondo cui la filosofia altro non ò se non una classificazione e una storia della scienza (ed ò proprio ciò che egli fa nei suoi scritti), con l’inevitabile conseguenza che la filosofia si riduce ad epistemologia (studio della scienza e riflessione su di essa). E’ una concezione piuttosto riduttiva della filosofia, ma tuttavia si mantiene nell’alveo della tradizione platonico-aristotelica: ad esempio, se la matematica lavora coi numeri, spetta alla filosofia indagare sulla loro essenza. Del secondo atteggiamento ò vessillifero John Stuart Mill: si tratta di un atteggiamento abbastanza simile a quello di Comte, ma comunque caratterizzato da una maggiore attenzione per i problemi logico-metodologici: la filosofia viene cioò ridotta a pura logica e metodologia, ovvero ò tenuta a riflettere sui metodi e sulla logica dell’opera scientifica (e non ò un caso che la principale opera di Mill si intitoli Logica ). Il terzo ed ultimo atteggiamento, proposto da Spencer, ò quello che più di tutti dà peso alla filosofia, ma che tende anche di più a ridurla a scienza: in definitiva, per Spencer e per gli altri Positivisti che la pensano come lui, la filosofia ò una specie di super-scienza; ciascuno di noi, infatti, ha le sue esperienze quotidiane e tende a generalizzarle per trarne delle regole di comportamento (e la scienza fa la stessa cosa, in maniera sistematica, per quel che riguarda la natura), ma poi, al di là delle leggi relativamente generali, ò possibile individuare leggi generalissime che non valgono per un campo della realtà piuttosto che per un altro, ma, viceversa, valgono per tutta quanta la realtà . Proprio di queste leggi generalissime, valide per l’intera realtà , si occupa la filosofia. E proprio in virtù di questa concezione, Spencer e quelli del suo seguito tendono ad essere riduzionisti, ovvero a nutrire la convinzione che tutte le scienze siano riconducibili ad una sola scienza, la filosofia. Sono riduzionisti, in altre parole, perchò nutrono la convinzione che vi siano leggi generalissime valide per ogni realtà di cui le leggi studiate dalla scienza sono derivazioni particolari, come se, in ultima istanza, tutte le scienze fossero derivazioni particolari della super-scienza filosofia. La filosofia come la intendono questi pensatori, pertanto, svetta tra tutti i saperi, ma, qualitativamente, non ò diversa dalle altre scienze. Il pensiero di Comte, dal canto suo, può talvolta sembrare un pò ingenuo per via di quell’esasperata fiducia nelle scienze che lo alimenta, e tuttavia presenta delle problematicità molto acute e profonde (il non-riduzionismo, ad esempio); tra le tante, merita di essere ricordata la convinzione secondo la quale il pragmatismo, per essere valido, non deve essere troppo rigido; come aveva mostrato Bacone, se l’uomo si fosse sempre e soltanto posto il problema di indagare solamente su ciò che gli occorreva al momento, il progresso sarebbe stato incommensurabilmente più lento di quel che ò stato. Invece, si son fatti grandi progressi grazie al fatto che si sono realizzate conoscenze inutili al momento ma di fondamentale importanza in epoche successive, conoscenze che hanno fatto procere con grande celerità il progresso. Meglio gli esperimenti che gettan luce piuttosto che quelli che danno frutti immediati, diceva Bacone, e Comte concorda pienamente. Dobbiamo ora analizzare a fondo quella che Comte considera la sua grande scoperta: la sociologia. Essa si colloca al vertice della scala delle scienze in quanto ò la più complessa e meno generale e perchò si occupa niente poco di meno che dell’uomo; tuttavia essa ò anche alla base della scala, giacchò le scienze, secondo Comte, devono avere una valenza utilitaristica, devono cioò fornire indicazioni pratiche, e sotto questo profilo ò la sociologia a permettere la piena affermazione dello spirito scientifico. Infatti, solo la sociologia può dare le indicazioni adeguate per governare la società in modo tecnocratico (come già aveva prospettato Bacone). La sociologia, pertanto, ò al vertice della scala, ma, nella misura in cui influenza le altre scienze, ne ò anche alla base. Non ò un caso che il giovane Comte fu segretario di quel Saint Simon (etichettato da Marx come “socialista utopista”) che aveva teorizzato l’idea di una società governata dagli “industriali” (imprenditori + operai), di cui l’industria fosse il fulcro; Comte ò molto influenzato da queste idee e lo si evince benissimo dalla stessa sua convinzione che la storia si articoli in fasi transitorie (la metafisica) in cui si distruggono gli assetti antichi e in fasi organiche in cui tali assetti vengono ripristinati ad un livello superiore. Naturalmente, si può osservare, questa particolare attenzione per l’organicità (che con il Positivismo dovrebbe toccare l’apice, dice Comte) lo inquadra a pieno titolo nell’età romantica. Egli studia la società avvalendosi di concetti desunti dall’ambito fisico, senza però considerare (come invece aveva fatto Hobbes) la società una derivazione della fisica: i due concetti basilari su cui fonda la sua indagine sono la statica e la dinamica. In qualche modo, dice il pensatore francese, ò possibile ravvisare una specie di dinamica e di statica non solo nella fisica, ma perfino nella società : qualsiasi società , infatti, ò caratterizzata da alcune funzioni statiche e permanenti, alle quali non può rinunciare; man mano che la società cambia, muta anche la fisionomia (e non l’essenza) di tali funzioni, quasi come se si nascondessero dietro maschere diverse. Proprio in questo mutamento per cui cambia la fisionomia ma non l’essenza consiste la dinamica sociale: ogni società , dunque, necessita di credenze di fondo, statiche nell’essenza ma mutevoli nella fisionomia, intorno alle quali ruota la società stessa e trova i suoi valori; oltre alle convinzioni, la società ha anche bisogno di custodi in grado di salvaguardare le medesime. Esempio classico che si può addurre ò quello della società medioevale e della sua fede cattolica come grande credenza diffusa presso tutti e tesaurizzata nonchò custodita nella Chiesa; questo stesso meccanismo lo si avrà , dice Comte, anche nella società positiva, in cui restano le credenze di fondo, ma mutano radicalmente fisionomia (alle verità rivelate subentrano quelle scientifiche), il cristianesimo cede il passo allo scientismo. E i custodi delle nuove verità positivistiche diventano gli scienziati, i quali rappresentano il nuovo clero. Se prescindiamo da questa stranezza (che trova il culmine nell’idea di Comte di un papa della scienza), che gli scienziati siano sempre più diventati i custodi del sapere ò un dato di fatto, soprattutto negli anni in cui vive Comte. Se statico ò il fatto che vi siano verità e custodi addetti alla loro cura, dinamico ò invece il fatto che da valori medioevali si passi a valori scientifici. Nella statica, osserva Comte, rientra anche la suddivisione tra potere spirituale del papa e potere temporale dell’imperatore: e questo sarà anche vero nella società positivistica, egli sostiene, dove i detentori del potere spirituale saranno gli scienziati, mentre i custodi di quello temporale saranno gli industriali; e così avremo uno scienziato per papa e un industriale per imperatore. Comte non ha affatto in mente una società retta da politici, ma, viceversa, da industriali imbevuti di scientismo. Per dimostrare che gli scienziati costituiranno il nuovo clero, Comte si serve di una terminologia piuttosto efficace: nella lingua francese, egli fa notare, la parola “cler” significa nello stesso tempo “uomo di Chiesa” e “intellettuale” e proprio su questa polisemia egli costruisce la propria filosofia, convinto che gli intellettuali siano i preti di ogni società , ovvero i custodi privilegiati del sapere dell’epoca. Una domanda che sorge spontanea ò se la politica scientista di Comte sia progressista o conservatrice: che egli simpatizzasse per il mondo conservatore lo testimonia il suo amore per l’impero di Napoleone III, che però non si risolve solo come un amore meramente conservatore; infatti, dobbiamo tenere a mente che fu Napoleone III a creare in Francia le condizioni ottimali per quello sviluppo industriale tanto caro a Comte. In altri termini, non sarebbe scorretto dire che il filosofo francese ò conservatore sul piano politico, ma progressista su quello scientifico. In questo si ditingue sia da chi in quegli anni ò progressista su tutti e due i piani (i Marxisti) sia da chi ò conservatore su tutti e due i piani (il Cattolicesimo). Anzi, si può affermare che per Comte i due aspetti si richiamano a vicenda: solo lo sviluppo scientifico garantisce una società statica e solo una società statica garantisce lo sviluppo scientifico.
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