Platone discute ancora una volta (come già nel “Gorgia” o nel “Fedone” ) se bene e piacere siano identificabili: a differenza degli altri dialoghi in cui aveva affrontato questo problema, nel “Filebo” Platone assume posizioni più moderate: anche qui nega l’identificazione, ma arriva tuttavia ad individuare diversi tipi di piacere, non necessariamente negativi: non tutti i piaceri sono per forza accompagnati dal dolore. Ci sono anche piaceri intellettuali (ad esempio la musica o quelle conoscenze che danno un senso di piacere)che non sono così strettamente legati al dolore: sono piaceri a dimensione positiva. In poche parole quando ci sono sono un piacere, quando non ci sono sono un dolore. Secondo Platone bisogna privilegiare e coltivare solo certi piaceri. Una vita buona non può essere priva di piaceri (così avevamo anche detto a riguardo dell’anima: le passioni sono fondamentali). Platone delinea così la “vita mista”, basandosi sull’idea che la bontà consista in un equilibrio dato dalla mescolanza di elementi diversi che si mescolano secondo misura: da notare che misura, 1, numero etc. sono sinonimi per definire il bene in sò. La vita buona, per Platone, ò mescolanza di intelligenza e piacere: questa mescolanza non ò casuale, ma ponderata: bisogna vedere attentamente in che misura mescolare intelligenza e piacere. Per Platone l’intelligenza ò superiore al piacere e tenderà sempre a prevalere per il semplice fatto che se si deve stabilire in che misura mescolare piacere ed intelligenza, ò l’intelligenza stessa che ci indica la misura in cui mescolare.
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