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Critica alla distinzione qualità primarie e secondarie Con il rifiuto della distinzione tra qualità primarie e qualità secondarie Berkeley apporta una seconda importante correzione alla filosofia di Locke e nello stesso tempo prende decisamente le distanze da una tradizione oggettivistica che aveva caratterizzato tanto la “nuova scienza” galileiana quanto la “nuova filosofia” razionalistica di Cartesio . La dottrina delle qualità primarie equivaleva , infatti , al riconoscimento dell’ esistenza e della conoscibilità – anzi della misurabilità matematica – di una realtà indipendente dalle modalità percettive e conoscitive dell’ uomo . Ma nella prospettiva apologetica in cui si pone Berkeley tale realismo oggettivistico si espone a un duplice sospetto : esso riconosce alla realtà esterna un’ autonomia che impedisce la completa risoluzionedella realtà nello spirito e, contemporaneamente , esso contrasta la tesi che l’ uomo dipenda esclusivamente da Dio anche per quanto riguarda la conoscibilità del mondo che lo circonda. Tuttavia, la critica berkeleyana alle qualità primarie , lungi dall’ essere viziata da argomentazioni apologetiche , è rigorosamente fondata su presupposti empiristici , tanto da poter essere sostanzialmente ripresa più tardi da un Autore assolutamente alieno dall’ apologia religiosa come David Hume . Sin dal saggio di una nuova teoria della visione , Berkeley polemizza contro il carattere matematico di qualità come la distanza (ovvero lo spazio) e la grandezza (ossia l’ estensione) . Egli nega , infatti , che la distanza e la grandezza degli oggetti che noi percepiamo mediante la vista siano determinabili in base a leggi ottiche aventi carattere geometrico . La nozione di queste qualità è invece data dall’ esperienza : noi siamo abituati a connettere determinate idee visive (e quindi determinate posizioni degli occhi) con la partecipazione di particolari grandezze e distanze . A riprova di ciò che Berkeley adduca il fatto che ( come avevano recentemente provato alcune relazioni scientifiche lette alla Royal Society ) un cieco nato , cui sia restituita la vista con un’ operazione chirurgica , non è in grado di percepire immediatamente , senza esperienze pregresse , la distanza che lo separa dagli oggetti che vede per la prima volta , come dovrebbe avvenire se tale distanza risultasse oggettivamente e matematicamente dalle leggi ottiche che presiedono alla visione . La stessa corrispondenza tra le idee visive e quelle tattili – che sembra conferire maggiore oggettività alla visione della distanza e della grandezza – è soltanto una relazione soggettiva confortata dall’ abitudine . Il quadrato che vedo non è lo stesso quadrato che tocco , ma si limita a rappresentarlo o a “suggerirlo” nello stesso modo in cui , convenzionalmente , la parola “quadrato” rappresenta la cosa designata . La funzione esercitata dalle idee visive di distanza e di grandezza non è dunque conoscitiva , ma esclusivamente pratica : Insomma , possiamo correttamente concludere che gli oggetti della visione costituiscono il linguaggio naturale della natura ; è questo linguaggio che ci insegna a regolare le nostre azioni per conseguire le cose necessarie alla conservazione e al benessere del nostro corpo e per evitare tutto ciò che lo danneggerebbe o lo distruggerebbe . In altre parole , la distanza che vediamo separarci da un precipizio non ci fornisce alcuna conoscenza teorica sulla reale lontananza dell’ abisso , ma è un segno convenzionale attraverso cui la natura , e tramite essa Dio , ci permette di non precipitare dentro di esso . La polemica contro la distinzione tra qualità primarie e secondarie diventa più aperta nel Trattato e soprattutto nei Dialoghi tra Hylas e Philonous . In queste opere Berkeley attua una vera e propria riduzione delle qualità primarie alle qualità (segue nel file da scaricare)
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