La vita, le opere e la formazione culturale Bertrand Russell (1872-1970) nacque in Inghilterra, a Ravenscroft, da nobile famiglia, rimase preso orfano e fu educato dal nonno, lord John Russell. Nel periodo 1890-94 effettuò i suoi studi a Cambridge, dove si cominciava a respirare un’ aria di anticonformismo, avversa alla rigida morale vittoriana e ai tradizionali sistemi educativi. Qui si vennero formando personaggi quali il romanziere E. M. Foster, lo storico L. Strachey e l’economista J. M. Keynes, che avrebbero poi fatto parte del cosiddetto gruppo di Bloomsbury, animato anche dalla presenza di Virginia Woolf. Moore esercitò un’influenza decisiva su tutti i componenti del circolo, Russell compreso. A Cambridge Russell si interessò soprattutto di matematica e di filosofia e nel 1895 divenne membro del Trinity College. Una delle sue prime opere fu uno studio sulla socialdemocrazia tedesca, frutto delle sue osservazioni effettuate durante un viaggio in Germania. Gli interessi per la matematica e per la logica lo portarono a studiare Leibniz, in cui trovava espressa la tesi che i princìpi della matematica sono deducibili da princìpi logici tramite mezzi meramente logici: il risultato fu il volume Esposizione critica della filosofia di Leibniz del 1900. Ad avviso di Russell, il 1900 fu un anno decisivo della sua vita, perchò prendendo parte al Congresso internazionale di filosofia, tenutosi a Parigi, incontrò Giuseppe Peano e fu colpito dalla precisione da questi dimostrata nelle discussione, grazie all’impiego di un rigoroso simbolismo logico. Il risultato più apprezzabile di questa prima fase della riflessione di Russell è costituito da I princìpi della matematica, pubblicati nel 1903, a cui avrebbero fatto seguito i Principia mathematica (1910-1913) composti insieme con A. N. Whitehead. Nel 1912 Russell pubblicò una fortunata esposizione divulgativa del suo pensiero, I problemi della filosofia, e nel 1914 fu inviato a tenere una serie di lezioni ad Harvard, a Boston e ad Oxford, dalle quali ebbe origine il volume La nostra conoscenza del mondo esterno, del 1914. Durante la guerra, per via della sua attività pubblica a favore del movimento pacifista, Russell fu allontanato dall’insegnamento a Cambridge e condannato a sei mesi di reclusione in carcere, durante i quali compose l’ Introduzione alla filosofia matematica. Da allora la sua attività filosofica fu sempre intrecciata a battaglie politiche e sociali; nel 1920 fece un viaggio nell’Unione Sovietica, di cui condannò il totalitarismo nel volume Teoria e pratica del bolscevismo (1920). Nel 1920-1921 insegnò a Pechino e nel 1927 aprì con la seconda moglie una scuola sperimentale, dove era applicata una pedagogia non autoritaria. Tutto questo, unitamente ad una serie di scritti popolari, come L’educazione dei nostri figli (1926), Matrimonio e morale (1929), La conquista della felicità (1930), Religione e scienza (1935), nei quali abbracciava posizioni spregiudicate su questioni religiose ed etiche, anche nel campo dell’etica sessuale, suscitò critiche dei benpensanti. A parere di Russell gli enunciati etici non hanno una dimensione conoscitiva, ma esprimono desideri, che nascono dall’esperienza immediata dell’individuo, sebbene mantengano una portata universale, nel senso che sono mossi dall’intento che il proprio desiderio diventi il desiderio di tutti. In particolare, si tratta di rendere possibili le condizioni che consentano a ciascuno di conquistare la felicità , rimuovendo ogni occasione di conflitto e, quindi, armonizzando tra loro i desideri individuali e rafforzando quelli che non producono effetti negativi sugli altri. Su questa base, Russell intervenne costantemente nel corso della sua vita a difendere la libertà degli individui e il loro diritto a perseguire la felicità , contro tutte le forme di ingiustizia e di imposizione autoritaria, politica o religiosa. Russell definì ‘buona’ la vita ‘guidata dall’amore e ispirata dalla conoscenza’, non asservita al potere e basata sulla tolleranza e sul dibattito razionale. Nel frattempo, Russell proseguiva i suoi studi filosofici, influenzato anche dalle teorie di Wittgenstein, che era stato suo allievo a Cambridge prima della guerra. I vari saggi, tra i quali anche la prefazione da lui scritta alla traduzione inglese del Tractatus logico-philosophicus (1922), espose le linee di una filosofia che egli definì ‘atomismo logico’ e nel 1927 pubblicò il saggio Analisi della materia. Soprattutto a partire dal 1938, Russell tornò ad intensificare le sue ricerche filosofiche, tenendo lezioni a Oxford, Chicago e Los Angeles. Nel 1940 gli fu offerto un incarico di insegnamento a New York, ma accusato di immoralità per le sue idee anticonformiste ne fu poi allontanato. Russell tenne allora le ‘William James lectures’ a Harvard, da cui ebbe origine il volume Indagine su significato e verità , del 1940. Fra il 1941 e il 1943 tenne lezioni presso la Barnes Foundation, negli USA, su temi che entreranno a costituire la Storia della filosofia occidentale, pubblicata nel 1945, che ebbe uno straordinario successo ed ebbe parecchie ristampe. Nel 1944, Russell rientrò in Inghilterra e ricevette un incarico di insegnamento a Cambridge, che egli tenne fino al 1950: frutto di tale insegnamento fu la sua vasta ed ultima opera filosofica, La conoscenza umana, del 1948. Nel 1950 ricevette il premio Nobel per la letteratura e successivamente prese posizione contro il maccartismo, propugnò il pacifismo e propose il disarmo unilaterale senza condizioni. Nel 1961 capeggiò un sit-in di protesta di fronte al Ministero britannico della Difesa e fu condannato a due mesi di carcere, ridotti ad una settimana a causa delle sue cagionevoli condizioni di salute. Gli ultimi anni della sua vita lo videro intervenire durante la crisi di Cuba, con lettere a Kennedy e Kruscev, e durante la guerra del Vietnam, con l’istituzione di un tribunale per i crimini della guerra, denominato Tribunale Russell. Nel 1967, poco prima che sopraggiungesse la morte, iniziò la pubblicazione delle sue memorie, intitolate Autobiografia; nel 1970 lo colse la morte. Matematica e logica In un primo tempo, Russell fu influenzato dall’idealismo di Bradley e di Mc Taggart, che poi abbandonò, anche per via dell’influsso di Moore, aderendo ad una ‘posizione realistica’, che riconosce l’esistenza della pluralità di oggetti, con i quali hanno a che fare l’esperienza comune e il sapere matematico. Ad avviso di Russell, alla base del monismo di Bradley c’è una logica erronea, che privilegia la forma soggetto-predicato: per Bradley infatti ogni proposizione attribuisce un predicato alla realtà assoluta, intesa come l’unico soggetto. Ma il nostro linguaggio ha non solo proposizioni del tipo soggetto-predicato, ma anche proposizioni che fanno riferimento a relazioni di maggiore e minore, di prima e dopo e così via. Un termine, che può assumere o no qualcuna di queste relazioni, deve rimanere invariato, ma allora ne consegue che, contrariamente a quanto aveva pensato Bradley, nessuna relazione modifica i termini tra i quali intercorre. Se ad esempio si esamina la proposizione ‘A è maggiore di B’, si vede che questa relazione non è l’attribuzione di una qualità o proprietà ad un soggetto e, quindi, non è riducibile alla forma soggetto-predicato, in quanto dipende sia da A sia da B. Questo vuol dire che questa relazione è esterna sia ad A sia a B, cioò collega tra loro entità che sussistono indipendentemente da tale relazione: l’universo è dunque popolato di termini, cioò di entità , che in questa fase del suo pensiero Russell considera analoghe alle idee platoniche, le quali sono caratterizzate da relazioni esterne tra loro, ossia tali da non produrre una loro modificazione interna: e Russell afferma che ‘ il mondo improvvisamente diventò vario, ricco e solido ‘. Solo una logica delle relazioni può rendere conto della stessa operazione del contare, consistente nel porre in relazione termine a termine, e consentire in questo modo l’analisi di intere regioni della matematica, nelle quali sono essenziali le nozioni di ordine e di successione, per esempio tra numeri o tra punti, le quali non sono descrivibili nei termini della logica di soggetto-predicato. Al calcolo delle proposizioni e al calcolo delle classi, già ampiamente illustrato dalla logica simbolica, Russell affianca dunque una logica delle relazioni, caratterizzate dall’uso di simboli appropriati e i cui antecedenti possono essere ravvisati soprattutto nell’opera di Peirce. Russell riscontra vari tipi di relazioni: in primis distingue tra relazioni simmetriche e asimmetriche; prendiamo R come simbolo per indicare la relazione e a e b per indicare i termini tra i quali essa intercorre: una relazione si dice simmetrica quando, se vale aRb, allora vale pure bRa e viceversa; di questo tipo è per esempio la relazione ‘fratello di’; infatti, se Giorgio è fratello di Marco, Marco è fratello di Giorgio. Una relazione si dice invece asimmetrica quando questo non vale: per esempio, se Giorgio è padre di Marco, allora Marco non è padre di Giorgio. Inoltre alcune relazioni godono della proprietà transitiva, per cui se aRb e bRc, allora aRc, mentre altre non ne godono. Ad esempio, godono della relazione transitiva le relazioni di maggiore e di minore: infatti se A è maggiore di B e B è maggiore di C, allora A è maggiore di C. Non si può invece concludere ad esempio che se A è padre di B e B è padre di C, allora A è padre di C; qui non vale la proprietà transitiva. Nella sfera della logica proposizionale Russell introduce la distinzione tra proposizione e funzione proposizionale: quest’ultima è un’espressione avente ad esempio la forma ‘x è un uomo’, dove x è una variabile sostituibile da un termine definito, detto costante, ad esempio dal termine ‘Socrate’, dando luogo alla proposizione ‘Socrate è un uomo’. Russell non restringe il rango delle entità delle entità che possono essere sostituite alla variabile in una funzione proposizionale; l’unica condizione è che la condizione sia ‘ qualcosa di assolutamente definito, riguardo al quale non vi è alcuna ambiguità ‘. Una funzione proposizionale di per sò non è nò vera nò falsa; vera o falsa è la proposizione che si ottiene sostituendo la variabile con una costante. Risulta inoltre che una una funzione proposizionale può essere considerata come una classe di proposizioni: nell’esempio considerato, ‘x è un uomo’ è la classe di tutte le proposizioni che hanno come predicato ‘è un uomo’. Tra le proposizioni esiste una relazione di implicazione che Russell definisce materiale: essa si esprime nella forma ‘se P, allora Q’; in questo caso si può anche dire che Q è deducibile da P, se non si dà il caso che P è vera e Q è falsa. L’implicazione tra funzioni proposizionali è invece detta formale, dal momento che non riguarda singole proposizioni con i loro specifici contenuti materiali: così, ad esempio, ‘x è un uomo’ implica formalmente che ‘x è mortale’, il che significa che ‘se x è un uomo, allora x è mortale’. La conoscenza dell’opera del professore dell’università di Torino, Giuseppe Peano, autore di un Formulario di matematica, fu importantissima per Russell soprattutto per quel che riguarda la concezione dei rapporti tra matematica e logica. Peano aveva dimostrato che è possibile costruire l’intera teoria dei numeri naturali partendo da tre concetti fondamentali (zero, numero e successore immediato) e da 5 assiomi; per Russell questi tre concetti di Peano sono riducibili alle nozioni logiche di classe e di relazione. Questo vuol dire che la conoscenza matematica può essere pienamente giustificata mostrandone la derivabilità da queste nozioni meramente logiche. Egli avrebbe assolto a questo compito per mezzo della costruzione, tramite i simboli della logica, di un edificio puramente formale nei Principia mathematica, composti insieme a Whitehead: qui i teoremi della matematica pura sono dedotti a partire dalla definizione di zero, numero e successore, usando regole di derivazione delle proposizioni. Questa derivazione è attuata grazie all’ausilio di 4 operatori o costanti logiche: ‘non’ (negazione), ‘e’ (congiunzione), ‘o’ (disgiunzione) e ‘se…, allora… ‘ (implicazione). Russell è convinto che la matematica pura è la classe di tutte le proposizioni che hanno la forma dell’implicazione e che è compito della logica analizzare questa relazione. Ma per dimostrare che la matematica si fonda sulla logica, si deve anche dimostrare che i numeri naturali e, quindi, tutte le nozioni fondamentali dell’aritmetica, sono definibili in termini di classe. I numeri non coincidono con le classi di oggetti che sono contati, ma sono quel che tutte queste collezioni di oggetti hanno in comune. Russell definisce pertanto il numero cardinale come ‘ la classe di tutte le classi simili ad essa ‘, cioò di tutte le classi i cui membri possono essere correlati uno ad uno. Ad esempio, una classe ha tre membri, se appartiene alla classe alla quale appartengono tutte le classi simili ad essa, dove ‘simile’ vuol appunto dire che i membri di tali classi possono essere correlati uno ad uno. In tal modo ogni discorso aritmetico su numeri è formulabile nei termini di un discorso meramente logico riguardante le classi e le loro relazioni. Ben presto tuttavia Russell prese atto che il concetto di classe, o di insieme, può dar luogo ad antinomie o paradossi. In particolare, il pensatore inglese individuò, già al termine della stesura dei Principi di matematica, una contraddizione relativa alla nozione di ‘classe di classi’, la quale è essenziale per definire i numeri naturali. Egli distinse tra classi che non sono membri di se stesse, cioò non contengono se stesso come elemento: ad esempio, la classe degli uomini non è un uomo e, quindi, non è un membro di se stessa, mentre la classe di tutti i concetti è a sua volta un concetto e, quindi, contiene se stessa come elemento. A questo punto si pone l’interrogativo: la classe di tutte le classi, che non sono membri di se stesse, è membro di se stessa? Se si dice ‘sì’, essa è una classe che è membro di se stessa, ma allora contiene se stessa come elemento e, quindi, non è più la classe di tutte le classi che non contengono se stesse come elemento. Se si dice ‘no’, essa è una classe che non è membro di se stessa, ma allora appartiene alla classe delle classi che non contengono se stesse come membro e, quindi, contiene se stessa come elemento. Quale che sia la risposta data, ne consegue sempre e comunque l’opposto rispetto ad essa: questo vuol dire che la nozione di classe di tutte le classi che non contengono se stesse come elemento genera contraddizioni. Questa antinomia faceva vacillare il programma logistico: quale è l’utilità nel definire i numeri in termini di classi, se la nozione di classe genera contraddizioni? Per risolvere questo problema, Russell elaborò la cosiddetta teoria dei tipi, in un primo tempo in una versione più semplice e poi i una più complessa, detta ‘ramificata’. A suo parere, i paradossi nascono da un circolo vizioso, consistente nel ‘ supporre che una collezione di oggetti possa contenere membri definibili solo tramite la collezione presa come un tutto ‘. Per evitare questo circolo vizioso, che consiste nell’ autoriferimento di una totalità o di una classe a se stessa, bisogna evitare che tale totalità sia predicata di se stessa e far sì che qualunque asserzione su di essa cada fuori dalla totalità stessa. Per Russell a questo si può provvedere distinguendo tra vari livelli o tipi di oggetti e predicati: di tipo 1 sono gli individui (ad es. Socrate), di tipo 2 sono le proprietà o le classi di individui (ad es, l’umanità ), di tipo 3 sono le proprietà o le classi di proprietà e così via. Il paradosso delle classi sorge dal presumere che tutte le classi siano di un tipo solo, mentre è fondamentale che le proprietà di un livello o tipo superiore siano applicate, vale a dire predicate, solamente ad oggetti di tipo inferiore. Questo vuol dire che, data ad esempio la funzione proposizionale ‘se x è un uomo, x è mortale’, la teoria dei tipi dà regole per i valori che x può ammettere. Ad esempio, da tale funzione è legittimo inferire la proposizione ‘se Socrate è un uomo, Socrate è mortale’, ma non ‘se la legge di contraddizione è un uomo, allora la legge di contraddizione è mortale’: quest’ultimo è solamente un gruppo di parole scevro di senso. Questo implica che ‘Socrate’ e ‘la legge di contraddizione’ appartengano a tipi diversi tra loro. Linguaggio e conoscenza La scoperta dei paradossi relativi alle classi portò Russell a riconsiderare il proprio originario platonismo, cioò l’assunzione dell’esistenza oggettiva di una molteplicità di entità ; un problema particolarmente spinoso era dato dai cosiddetti oggetti non esistenti, di cui aveva parlato a suo tempo Meinong, come, ad esempio, il ‘quadrato rotondo’. Sappiamo che oggi non esiste un re di Francia, ma è possibile interpretare una frase del tipo ‘l’attuale re di Francia è calvo’ senza riferirsi ad un’entità ? A questi problemi Russell tentò di rispondere con un articolo di fondamentale importanza, intitolato Sul denotare, pubblicato nel 1905 su Mind, una delle più famose riviste inglesi di filosofia: in esso, Russell costruì quella che è nota come teoria delle descrizioni. Esempi di frasi denotanti sono ‘un uomo’, ‘ogni uomo’, ‘l’attuale re di Inghilterra’, ‘l’attuale re di Francia’, e così via. Esse possono avere la funzione di soggetti grammaticali in una proposizione, ma bisogna per questo ammettere che esse si riferiscano ad entità ? Per Russell se si possono riformulare in enunciati, che non contengono più frasi denotanti, non è più necessario supporre che tali frasi siano nomi che denotano entità . Diventa cioò possibile introdurre un principio di economia, una specie di rasoio di Ockham, nell’universo sovrappopolato di oggetti, di cui avevano parlato Meinong e Russell in persona, e non è più necessario assumere l’esistenza oggettiva di classi, punti, istanti, particelle. Così, ad esempio, una descrizione del tipo ‘ogni x è y’ è riformulabile in ‘per tutti i valori di x, x è y è vero’: in questo modo viene estirpato ‘ogni’ e non è più necessario assumere che esista una misteriosa entità il cui nome sarebbe ‘ogni’. La forma logica di questi enunciati viene perciò spiegata e chiarificata tramite una parafrasi in cui la descrizione viene abolita. Più complesse sono le descrizioni definite, precedute dall’articolo determinativo, ma anch’esse sono sottoponibili allo stesso tipo di analisi. Così, ad esempio, ‘l’autore di Ivanhoe è scozzese’ non predica una proprietà di una particolare entità , cioò non implica l’esistenza di un’entità , il cui nome sarebbe ‘l’autore di Ivanhoe’. Tale frase infatti è parafrasabile come la congiunzione di tre proposizioni: 1 ) almeno una persona ha scritto Ivanhoe; 2 ) al massimo una persona scrisse Ivanhoe; 3 ) chiunque abbia scritto Ivanhoe è scozzese. Come è evidente, qui non si assume più l’esistenza di un’entità chiamata ‘l’autore di Ivanhoe’; si può dire in modo comprensibile ‘l’autore di Ivanhoe è scozzese’, anche se Ivanhoe non avesse autore; in tal caso l’enunciato risulterebbe falso. Allo stesso modo ‘l’attuale re di Francia è calvo’ ha senso, senza che per questo motivo si debba assumere l’esistenza di un’entità così denominata. La teoria delle descrizioni permette a Russell di affrontare il problema della conoscenza, riprendendo e sviluppando una distinzione tra due tipi di conoscenza, già presente in William James. La prima è la conoscenza diretta ( in inglese by acquaintance ), la quale ha come oggetto qualsiasi cosa di cui si sia consapevoli direttamente, senza che ci siano ragionamenti o conoscenze acquisite per altra via a far da intermediari. Questi oggetti sono i dati della percezione sensibile, ma anche gli universali, come la bianchezza, la somiglianza, ecc; essi sono i materiali in base ai quali si perviene con un lavoro costruttivo ad una seconda forma di conoscenza, la conoscenza per descrizione, la quale permette il superamento dei limiti dell’esperienza strettamente personale e la conoscenza delle proprietà di una cosa, anche senza avere esperienza diretta della medesima. Di questo tipo è per Russell la conoscenza degli stessi oggetti fisici, i quali, come diceva Moore, non ci sono noti per esperienza diretta, ma solo tramite un processo di inferenza a partire dai dati della nostra percezione: così perveniamo alla descrizione di un oggetto fisico come di quell’oggetto che causa determinati nostri dati percettivi. In questo senso, l’oggetto fisico detto tavolo, ad esempio, è una costruzione logica elaborata a partire dall’esperienza sensibile. Con questa teoria Russell vuole difendere non solo il senso comune, come faceva Moore, ma anche e specialmente la validità della conoscenza scientifica. La conoscenza della verità si articola su due livelli, la conoscenza immediata di proposizioni riguardanti dati di senso e relazioni logiche, la quale è dotata di certezza, e la conoscenza derivata da queste, la quale è suscettibile di errore. In particolare, si pone il problema della relazione tra i dati sensibili e le nozioni di spazio, tempo, materia, quali sono non solo usate, ma costruire una fisica matematizzata. A questo scopo Russell introduce il concetto di sensibilia, nell’opera intitolata La nostra conoscenza del mondo esterno (1914): i ‘sensibilia’ sono oggetti con lo stesso status ontologico e fisico dei dati sensibili, ma che di fatto nessuno percepisce. I dati sensibili, infatti, per Russell non sono stati mentali o costituenti di stati mentali e, quindi, nulla impedisce di supporre che esistano sensibilia come costituenti ultimi del mondo fisico. Sia le cose del senso comune, sia gli oggetti delle scienze fisiche risultano pertanto essere costruzioni a partire dai sensibilia: in particolare, una cosa del senso comune è solo la classe delle sue apparenze attuali o possibili. Questo vuol dire che quel che è reale di una cosa sono tutti i suoi aspetti, mentre la cosa stessa è solo una costruzione logica di riunificazione di questi aspetti. Gli oggetti fisici sono allora definibili come serie di dati sensibili, legati insieme da sensibilia, e la scienza fisica non necessita di ipotizzare oggetti fisici, come qualcosa di distinto dai nostri dati sensibili. Anche sotto questo profilo, Russell metteva in atto il principio di economia del rasoio di Ockham: quanto più è ridotto al minimo il numero delle entità necessarie, tanto minori sono i rischi di errore che si possono correre nell’enunciare le proprie teorie. Anche in altre opere, come Analisi della materia (1927) e La conoscenza umana (1948), Russell tentò di dimostrare la continuità delle conoscenze acquisite dalla fisica con i dati percettivi dell’esperienza comune; fu sempre convinto che le conoscenze scientifiche dovessero essere accettate proprio perchò implicano un minor rischio di errori, ma riconobbe che, in generale, ‘ tutta la conoscenza umana è incerta, inesatta e parziale ‘. Le discussioni con l’allievo Wittgenstein portarono Russell nel primo dopoguerra a rielaborare le proprie concezioni precedenti, dando luogo a quella che lui stesso definì la filosofia dell’ atomismo logico; egli parte dall’assunto che la totalità del mondo è costituita da fatti atomici, i cui ingredienti sono i dati sensibili e gli universali: fatti atomici sono ad esempio che Socrate è morto o che A sta prima di B, dove A e B sono dati sensibili. Ai fatti atomici corrispondono, sul piatto linguistico, le proposizioni atomiche: di questo genere sono ad esempio ‘questo è rosso’, cioò l’attribuzione di una proprietà universale semplice (rosso) a una particolare semplice (questo) o ‘Garibaldi fu il marito di Anita’, cioò l’asserzione che determinati oggetti stanno fra loro in una determinata relazione. I fatti possono essere particolari o universali e trovano dunque espressione compiuta in proposizioni del tipo ‘questo è rosso’ o ‘tutti gli uomini sono mortali’, ma i fatti di per sò non sono nò veri nò falsi, mentre vere o false sono le proposizioni che ne parlano, a seconda che corrispondano o meno ai fatti stessi. In questo modo Russell fa propria la teoria della verità come corrispondenza delle proposizioni ai fatti; tramite l’uso dei connettivi, cioò di quelle che aveva un tempo chiamato costanti logiche, si costruiscono a partire dalle proposizioni atomiche le proposizioni molecolari. La verità delle proposizioni molecolari dipende dalla verità delle sue componenti atomiche, cosicchò ad esempio ‘P è Q’ è vera se sono vere le proposizioni atomiche P e Q. Al centro della filosofia dell’atomismo logico c’è dunque lo studio delle connessioni tra il linguaggio e il mondo, al fine di raggiungere una conoscenza del mondo. Russell fu del parere che la domanda centrale dell’epistemologia fosse: perchò si deve credere a questo piuttosto che a quello? La risposta a questa domanda può essere fornita, a suo avviso, solo facendo riferimento alle conoscenze di base date dall’esperienza immediata. In questo senso Russell si sarebbe opposto ai tentativi di ridurre le questioni epistemologiche a questioni meramente linguistiche e a considerare la verità delle teorie scientifiche in termini di pura coerenza interna fra le proposizioni costitutive di una scienza. Allo stesso modo, Russell avrebbe aborrito come futile gioco o semplice contributo alla lessicografia l’analisi del linguaggio comune, sulla quale insisteva Wittgenstein e molti filosofi di Oxford di quegli anni. Il paradosso del barbiere In campo filosofico, non si sa bene perchò, l’immagine dei barbieri e dei loro strumenti ò piuttosto ricorrente: Guglielmo da Ockham, nel Medioevo, aveva impiegato filosoficamente il concetto di ‘rasoio’ per spiegare come sia opportuno ricorrere al minor dispendio possibile di energia esplicativa, tagliando via, proprio come fa il barbiere con il rasoio, il superfluo. Bertrand Russell, invece, esattamente nel 1901, ideò quello che ò divenuto celebre come ‘paradosso di Russell’ o ‘paradosso del barbiere’, consistente in questo enunciato: in un paese dove tutti gli uomini sono rasati, esiste un solo barbiere il quale rade tutti gli uomini che non si radono da soli. Ma allora, chi rade il barbiere? Analizzando il problema con la teoria degli insiemi, ò chiaro che nel paese esiste l’insieme degli uomini che si radono da soli e quello degli uomini che si fanno radere. Il barbiere si rade da solo? Impossibile, perchò il barbiere rade tutti gli uomini che non si radono da soli! Qualcun altro lo rade? No, perchò il barbiere rade tutti gli uomini che non si radono da soli! Ci troviamo di fronte ad un paradosso. Secondo Russell, per superarlo, bisogna correggere la nostra convinzione (errata) che per ogni proprietà debba per forza esistere un insieme: in qualche caso non si forma nessun insieme coerente.
- 1900
- Filosofia - 1900