Capitolo 11 Promessi Sposi di Manzoni: analisi e sintesi

I Promessi Sposi - Capitolo 11: analisi

Promessi Sposi - Analisi Capitolo 11: gli elementi più importanti del capitolo, gli avvenimenti cruciali e un'analisi completa ed estesa delle tematiche.
I Promessi Sposi - Capitolo 11: analisi
Promessi Sposi - Analisi Capitolo 11: gli elementi più importanti del capitolo, gli avvenimenti cruciali e un'analisi completa ed estesa delle tematiche.

I Promessi Sposi – Analisi Capitolo 11

Analisi del Capitolo 11 dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni

Luoghi: il palazzotto di don Rodrigo, il paesello, la strada da Monza a Milano, porta orientale ( oggi porta Venezia) a Milano

Il tempo: 11-12 Novembre

Il quarto capitolo dei Promessi Sposi è suddiviso in due macrosequenze asimmetriche, divise da una breve sequenza di raccordo:

  1. La prima, che comprende i due terzi del capitolo, racconta le reazioni di don Rodrigo alla notizia del fallimento del progetto di rapimento e preannuncia i suoi piani futuri. La sequenza di raccordo riflette sulla dura necessità di raccontare in successione fatti accaduti in contemporanea.
  2. La seconda avvia le avventure di Renzo a  Milano, in un mondo lontano dal paesello natio, che favoriranno proprio i progetti dell’antagonista.

Il capitolo appare così conclusivo della notte degl’imbrogli e di avvio di nuove avventure in uno spazio più ampio; dopo aver dedicato alla storia di Lucia due capitoli e averla sistemata in convento per il momento, il capitolo XI mette insieme le vicende dei due personaggi maschili che quasi si fronteggiano a distanza e di cui il narratore rappresenta la lotta instancabile per il tutto il corso del romanzo.
Come il capitolo VII, anche questo capitolo è uno snodo narrativo, costruito intersecando piani temporali e spaziali diversi, sebbene le vicende parallele e contemporanea saranno descritte in successione su un’unica linea, costringendo il narratore ad interrompere più volte una scena per tornare indietro e riprenderne un’altra.

Il ritorno dei bravi e l’attesa di don Rodrigo

Con un flash back il narratore torna alla notte degli imbrogli e, dopo la digressione sulla monaca di Monza, all’inizio di questo capitolo riprende molte frasi pronunciate nei capitoli VII e VIII. Lo spazio in cui si muove don Rodrigo nell’incipit è lo specchio del suo carattere e del suo stato d’animo: la stanzaccia disabitata posta in alto è come l’emblema del suo potere incombente sullo spazio, il peggiorativo stanzaccia rende la stanza cattiva proprio come il suo proprietario e l’aggettivo disabitata rivela la sua solitudine e il vuoti della sua anima.
Don Rodrigo si mostra come un mediocre che non eccelle neppure nel male, ansioso e inquieto perché ha compiuto l’impresa più grossa e la più arrischiata a cui…avesse ancora messo mano, cioè rapire una contadinotta indifesa. Il narratore ironizza su di lui definendolo, con un’antifrasi, il brav’uomo.

Don Rodrigo e il Griso

Il passo gioca sulle parole. Don Rodrigo si inventa un bellissimo neologismo (signor lascifareame) mutuandolo dalle parole dal spaccone del Griso, che egli ora usa sarcasticamente a conclusione di una serie di insulti in climax che trasformano il Griso nel tipo dello sbruffone, del Capitan Fracassa. Da parte sua il Griso, invece, usa la parola dovere con la solita ottica distorta che crea scarto ironico.

Va’ a dormire, povero Griso….

Questo passo è un esempio interessante di metalessi, un insolito discorso diretto del narratore rivolto al personaggio, che scardina il patto narrativo e la distanza tra il narratore, esterno alla storia, e un personaggio della storia stessa.
Inoltre il tono compassionevole fa quasi il verso ai pensieri che il  Griso sta rimuginando dentro di sé, tanto che il discorso può sembrare l’eco di un pensiero indiretto libero del personaggio. Con la prolessi, che chiude il passo e dimostra l’onniscienza del narratore manzoniano, il tono torna serio e si predice al personaggio che la giustizia arriva, o presto o tardi anche in questo mondo e si lascia intendere che egli forse un giorno avrà giustizia.

Don Rodrigo e il conte Attilio

Il confronto tra i due cugini dà la misura della distanza tra loro, che rappresentano i due aspetti della nobiltà. Il conte Attilio è sempre pronto a ridere e schernire gli altri, ma diventa serio quando si tratta di onore familiare e di rapporti con il potere; con il suo linguaggio poco raffinato, mostra di conoscere bene i meccanismi distorti della politica e di saperli usare a proprio vantaggio, bilanciando violenza e diplomazia. Don Rodrigo, al contrario, non sa ridere di nulla, agitato da passioni più gravi, e cerca sempre di auto-rassicurarsi.

Ricostruzione della notte degli imbrogli

Il narratore si diverte spesso, con un atteggiamento un po’ aristocratico, alle spalle dei popolani. Ogni personaggio, anche se una semplice comparsa, si comporta in modo coerente con il proprio carattere, che diventa comico in una situazione in cui ognuno rivela la parte peggiore di sé. Una Perpetua inferocita, ma furba come sempre, nasconde ciò che la riguarda ma non tace la beffa di don Abbondio. Il suo racconto della notte, in indiretto libero, è fatto di espressioni antifrastiche: Renzo non si dimostrato giovane per bene, Agnese non è una buona vedova e Lucia ha solo l’apparenza della Madonna addolorata. Inizia poi un ampio discorso indiretto libero della folla, di cui il narratore di prende gioco perché ancora legato a superstizioni e credenze magiche. L’intero passo è un esempio di realismo, polifonia e plurilinguismo, in cui si alternano più covi e diversi registri linguistici.
Diffusione delle notizie: la lunga metalessi riflessiva del narratore sul modo in cui si diffondono le notizie in un paesino è condotta con uno stile ricercato e un tono da trattato morale, mentre il contenuto è ironico e la metalessi si rivela un gioco sull’irrazionalità umana, che tramuta in sanno persino un’opera buona.

Nuovi piani di don Rodrigo

Il narratore sottolinea la malvagità dei sentimenti di don Rodrigo e i pensieri indiretti del personaggio confermano quanto ha detto il Griso riguardo la giustizia( migliore alleata del signorotto) e la forza, che serve a colpire una vittima e non a punire un colpevole. Una prolessi anticipa che sarà proprio Renzo ad esaudire i desideri del nemico, aumentando il senso di curiosità del lettore, che tuttavia dovrà ancora aspettare la fine della metalessi metanarrativa dal tono intimo del narratore, in cui il suo ruolo si confonde con quello di autore reale e padre di famiglia.
Renzo a Milano: Renzo torna in scena, dopo l’addio al paesello e a Lucia, in una simmetrica a quella dell’Addio, monti, ma come si addice al personaggio, meno lirica. Renzo non ha solo nostalgia,come Lucia, ha rabbia, non sa perdonare, eppure si pente di sentimenti così poco cristiani e si ritrova come sempre in conflitto tra passionalità e senso morale. Il narratore rivela la propria onniscienza in modo particolare quando fa riferimento al presente ( la strada era allora ) in cui sottintende che ai suoi tempi non era più così, e infatti tra Settecento e Ottocento le strade erano state migliorate da Napoleone e dagli austriaci. Il registro della lingua è quello informale più adatto al personaggio e il chiasmo in cui è collocato l’avverbio tristemente sottolinea i sentimenti di Renzo:  nostalgia ( stette lì alquanto a guardare), ma anche necessità di proseguire ( si voltò).

Appena mosso, vide spuntar gente…

La scena della famiglia è ripresa dalla descrizione del tumulto nel Raguaglio di Alessandro Tadino, una delle cronache storiche consultate da Manzoni. Il ritratto dei tre componenti è quasi grottesco e caricaturale: gli stracci infarinati, infarinati i visi.. in cui l’aggettivo infarinati posto al centro del chiasmo diventa la parola chiave della rivolta. Il paragone che lo stile istituisca tra la famiglia e i contadini simili a bravi di don Rodrigo ci fornisce indirettamente il giudizio del narratore sui tumulti e la scelta di una famiglia di tre persone, richiama da vicino la sacra famiglia, emblema cristiano, la cui sacralità appare qui ribaltata.

Rifiuto dell’ospitalità al convento

La chiusura del capitolo interrompe la narrazione, come spesso accade nel romanzo, con elementi che creano curiosità e suspense nel lettore. Renzo è combattuto tra il rifugio sacro della chiesa e la curiosità, poi però antepone il rischio della curiosità alla sicurezza della preghiera, orientandosi verso la città che lo aspetta piena di violenza e disordine. La frase lapidaria (il vortice attrasse lo spettatore) che interrompe un discorso già avviato, fa pensare a un’energia naturale invincibile, per cui il lettore non può non sentire il pericolo a cui Renzo si sta avviando.

I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni: appunti e risorse per lo studio

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