I Promessi Sposi – Analisi Capitolo 12
Analisi del Capitolo 12 dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni
Luoghi: Milano: Corsia de’ Servi (piazza san Carlo), forno delle grucce, strada a nord del duomo, via Pescheria ( via dei Mercanti), piazza de’ Mercanti, arco degli Osii, via de’ fustagnai, Cordusio, via Santa Maria Segreta.
Il tempo: analessi dal 1627 al 1628 e l’alba di sabato 11 Novembre 1628, festa di San Martino.
Il capitolo XII dei Promessi Sposi si può suddividere in tre parti di lunghezza pressoché uguale:
- Analessi con digressione storica sulle origini della carestia fino al 10 Novembre 1628;
- Analessi sui tumulti dell’11 Novembre 1628 fino all’arrivo di Renzo;
- Ritorno al tempo della narrazione con l’arrivo di Renzo sul luogo degli eventi.
L’analessi occupa quindi i due terzi del capitolo e realisticamente è come se il narratore impiegasse per raccontarla il tempo che serve a Renzo per raggiungere il luogo dei tumulti, partendo dal convento dei cappuccini, dove l’avevamo lasciato nel capitolo XI.
Il capitolo apre il romanzo ad una più ampia prospettiva, che dà modo a Manzoni di proporre al suo lettore, prevalentemente borghese, la propria ideologia politica. Per la prima volta entra in scena la Storia, documentata dagli scritti dell’epoca e narrata con un linguaggio da saggio e con interventi di carattere economico, giuridico e antropologico. Nella descrizione dei tumulti, però, interviene anche l’invenzione: le scene sono sì ispirate a fatti reali, ma costruite come copioni teatrali, dominate dal linguaggio popolare con forte connotazione dialettale.
In particola Manzoni giudica ferocemente la folla per vari fattori:
- L’idea di matrice giansenista che la natura umana sia malvagia e possa essere controllata solo dalla ragione e dalla religione;
- Le teorie liberiste che propugnano la libertà del mercato e non tollerano interventi esterni;
- L’ideologia liberale moderata e cattolica che non prevede il coinvolgimento diretto delle masse popolari nella gestione politica, ma la mediazione della Chiesa quale portavoce delle esigenze del popolo.
Carestia
La digressione storica sulla carestia apre il capitolo e sottolinea come questa calamità fosse dovuta sì a condizioni naturali, ma anche aggravata in parte per colpa degli uomini.
La denuncia del narratore è condotta come sempre con ironia, particolarmente efficace nei confronti del comportamento di chi, invece di correre ai ripari affrontando il problema, pensa alle forme di riverenze, complimenti, preamboli… nel tentativo di rimandare il più possibile la proposta di risoluzioni efficaci.
La rivolta
La folla è un vero e proprio personaggio, costituito da una massa di individui che tentano di costituire un gruppo compatto, ma nel contempo variegato e multiforme. La spinta all’unione nel passo è data da una rabbia comune, da un pensiero comune, che porta conoscenti o estranei a riunirsi in crocchi…. Si innescano nel gruppo meccanismi che potenziano i sentimenti e i desideri di reciproca influenza, anche se non tutti sono coinvolti attivamente nel gruppo.
Per risolvere il problema di come rendere la varietà di individui, il narratore usa diversi espedienti, tra cui quello di raffigurare i protagonisti per sineddoche, cioè descrivendo una parte per il tutto; per descrivere contemporaneamente la varietà dei suoi componenti usa l’enumerazione di diverse categorie (fanciulli, donne, uomini…), per descrivere la varietà di atteggiamenti, invece, si serve dell’accumulo di pronomi correlativi che creano l’effetto di massa (qui era un bisbiglio.. là uno predicava..). la lingua rende la rapidità e il realismo della scena con frasi nominali o frasi brevissime e coordinate.
La folla
In questo passo si definisce meglio l’ambiguo personaggio della folla: da un lato quelli che, degradati al rango di animali, si slanciano ai cassoni, dall’altro qualche furbo delinquente che corre al banco… ed esce carico di quattrini. Tutti comunque, ugualmente vigliacchi, si fanno forza solo del numero e della loro appartenenza alla folla. Il ritmo è frenetico, incalzante, e poi improvvisamente si placa come al rallentatore con la triplicazione della parola tutto e la successione di quattro settenari: e un bianco polverio/che per tutto si posa/ per tutto si solleva/ e tutto vela e annebbia.
L’arrivo di Renzo
L’arrivo sulla scena di Renzo ancora estraneo ai tumulti offre la possibilità ala narratore di utilizzare la focalizzazione interna al personaggio, ma esterna ai fatti e creare un effetto di straniamento. A Renzo la folla si presenta come varietà di individui molto diversi, il sovversivo, il furbo, il pessimista, il giustiziere.. di contro a tanta varietà di personalità, non una che si salvi agli occhi del narratore, Renzo stesso non si sa se fosse più informato o sbalordito e lo scarto ironico con il narratore ha descritto i personaggi, è rivelato dal buon senso di un povero montanaro a cui affida la propria opinione: Questa poi non è una bella cosa..se concian così tutti i forni, dove voglion fare il pane?
La statua di Filippo II
La vicenda della statua di Filippo II offre al narratore un altro esempio di follia collettiva, emblematica dell’irrazionalità e dei rapidi cambiamenti d’umore della folla. Il ritratto di Filippo II, simile ai ritratti degli antenati nel palazzotto di don Rodrigo (cap.VII) è espressionistico, costruito esasperando i gesti e le espressioni che possano incutere timore, come l’atteggiamento autoritario e il volto accipigliato.
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