I Promessi Sposi – Analisi Capitolo 13
Analisi del Capitolo 13 dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni
Luoghi: Milano, la casa del vicario, via Santa Maria Segreta, la strada per il castello Sforzesco.
Il tempo: il pomeriggio di sabato 11 Novembre 1628, festa di san Martino.
La struttura del capitolo, che occupa il tempo limitato di mezza giornata, risulta suddivisa in quattro parti disomogenee. Lo spazio presenta un’alternanza interno-esterno, gli avvenimenti un progresso: dall’attesa della morte alla salvezza.
- Interno casa: il vicario attende l’arrivo della folla e della morte;
- Esterno piazza: la folla assedia la casa del vicario promettendogli la morte e Ferrer; passa in carrozza con la promessa della salvezza;
- Interno casa: il vicario si prepara alla fuga con l’attesa della salvezza;
- Esterno casa: fuga e salvezza del vicario.
Per tutto il capitolo si fronteggiano due forze, la folla e Ferrer, che rappresentano i poli opposti della società, cioè il popolo e il potere. Tra di loro, Renzo si pone come mediatore, trasformandosi da spettatore passivo in personaggio attivo. Su tutti incombe il giudizio negativo del narratore, secondo cui né con la violenza popolare, né con la scaltrezza del potere e tantomeno con l’ingenuità si risolvono i problemi sociali.
A casa del vicario
La suspense del capitolo precedente cresce con il cambio si scena e di punto di osservazione. Lì la folla si avviava verso la casa del vicario, qui invece si ha la focalizzazione del vicario e dei suoi servitori che, dall’interno della casa, prima sentono la folla come un rumore in avvicinamento, dopo ne vedono la minacciosa vanguardia. Le azioni diventano concitate: si passa all’uso del presente, le parole e i pensieri vengono espressi in forma diretta o indiretta, ma senza la precisa indicazione di chi li pronuncia.
Di questa scena da commedia del panico, assoluto protagonista è il vicario, personaggio d’autorità, colto qui nel suo privato e relegato al ruolo di comparsa, a cui non è riservato neanche l’umorismo di don Abbondio, ma solo la comicità di una vigliaccheria isterica, con gesti alquanto grotteschi. Il punto di vista non è solo quello dei personaggi, ma dell’autore stesso: la scena sembra riprodurre le angosce crudeli da cui erano state prese madre e moglie di Manzoni e, probabilmente, lo scrittore stesso, in occasione del tumulto del 20 Aprile 1814 durante la Rivoluzione Francese.
Il vecchio mal vissuto
Per la prima volta Renzo parla in pubblico e si fa portavoce degli altri, sui quali, benché muti, traspariva lo stesso orrore. Nel sistema di personaggi si contrappongono i due gruppi dei falchi e delle colombe, i fautori della violenza ad oltranza opposti alle sante parole di Renzo, un’opposizione costruita in modo da costringere il lettore a prendere posizione.
Il vecchio mal vissuto è un personaggio reale, desunto dalla cronaca del Ripamonti, ma il realismo del ritratto da cronaca di Manzoni aggiunge una patina letteraria fatta di reminiscenze dantesche: il demone traghettatore delle anime all’inferno è descritto da Dante come “un vecchio, bianco di antico pelo ( Inf.III )” e come un diavolo, il vecchio tiene in mano gli strumenti che servono a crocifiggere un innocente. In questo modo la descrizione accentuata da scelte espressionistiche assume anche una connotazione morale e, mentre la corrispondenza tra deformità fisica e degrado morale è tipica della cultura romantica, il gusto coloristico è invece tipico della cultura barocca.
La scala
L’interrogativa iniziale cos’era? conferisce al passo un tono di narrazione orale, popolare e quasi fiabesca, mentre il termine macchina, che sottintende guerra, conferisce un tono epico, ricordando quasi il cavallo di legno che avanza verso Troia descritto da Virgilio, dando l’idea del colossale. La confusione nata nella confusione sembra raddoppiare il caos, che per Manzoni è sempre indizio di disordine morale.
Annuncio dell’arrivo di Ferrer
La varietà della folla è espressa con il solito accumulo di sostantivi, verbi e pronomi correlativi, discorsi diretti racchiusi all’interno delle virgolette a formare un unico discorso, che rende bene l’unità e la varietà della massa, ma anche le sue contraddizioni interne.
Ferrer
Il narratore assume il punto di vista di Renzo che, più ingenuo degli altri, idealizza Ferrer come l’uomo giusto, doppio speculare del vecchio mal vissuto, con la sua decorosa vecchiezza opposta alle canizie dell’altro. Renzo ricorda la firma di Ferrer che Azzecca-garbugli gi aveva mostrato in fondo alla grida e chiede molto ingenuamente se è quello che aiuta a far le gride e se è un galantuomo: la parola, ancora una volta, assume diverso significato a seconda di chi la usa. Per Renzo, Ferrer è un galantuomo perché ha sottoscritto la grida giusta, per il suo interlocutore lo è perché ha abbassato il prezzo del pane. Renzo si illude di aver ottenuto l’amicizia del grand’uomo e diventa anch’egli comico con le sue gomitate da montanaro nella folla cittadina.
La carrozza, una volta incamminata…
Al culmine della suspense il passo è dominato dalle figure retoriche: una metafora di guerra (un tiro di schioppo), una metafora che conclude la metamorfosi della folla in tempesta, iniziata con come gocciole sparse sullo stesso pendio ( cap.XII), la similitudine che la trasforma in fuoco artificiale, l’iperbole antifrastica ( fedelissimi vassalli) che rievoca l’immagine di medievali signori feudali superfedeli, ma è usata per ribelli poco fedeli all’autorità del re; l’onomatopea Ox!Ox!, due climax ascendenti costruiti con due settenari (Prega, esorta, minaccia; pigia, ripigia, incalza), ripresi poco dopo dalla serie di participi in rima baciata (sconficcati…scheggiati, ammaccatti…). Le espressioni spagnole, pur con qualche lieve imperfezione, sono tratte da documenti del Seicento e dal Don Chisciotte di Cervantes.
In casa
All’interno della casa, Ferrer assume un ruolo paterno e protettivo nei confronti del vicario, che chiama benedett’uomo, a cui si rivolge con la formula familiare usted, lo prende per la mano e lo guida alla porta, mentre tiene per sé, come sempre in spagnolo, la preoccupazione (aqui està el busilis), che tace al vicario troppo spaventato per sopportarla.
L’incontro con i soldati e la salvezza
Il narratore riconosce a Ferrer l’abilità diplomatica: la citazione latina cedant arma togae, “cedano le armi alla toga”, con una sineddoche ( armi e toga indicano gli uomini che le indossano) sottolinea che l’astuzia del potere ha la meglio sulla violenza, è evidente però anche l’ironia sia sull’uso del latino come mezzo di potere, sia sull’ignoranza dei militari con la precisazione che l’ufiziale non intendeva il latino.
Ancora sconvolto dalla paura, il vicario vuole chiamarsi fuori dal gioco della politica per andare a fare l’eremita e si conferma personaggio comico fino alla fine.
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