Capitolo 20 Promessi Sposi di Manzoni - StudentVille

I Promessi Sposi - Capitolo 20: analisi

Promessi Sposi - Analisi Capitolo 20: il registro narrativo e le figure retoriche della descrizione del rapimento di Lucia e del Castello dell'Innominato.
I Promessi Sposi - Capitolo 20: analisi
Promessi Sposi - Analisi Capitolo 20: il registro narrativo e le figure retoriche della descrizione del rapimento di Lucia e del Castello dell'Innominato.

I Promessi Sposi – Analisi del Capitolo 20

Analisi del Capitolo 20 dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni

Luoghi:  il castello dell’innominato in Valsassina, la taverna della Malanotte, il monastero di Monza.

Il tempo: probabilmente dal 4 al 9 Dicembre 1628, con analessi sugli anni precedenti.

In base al tempo, la struttura lineare, anche se interrotta dopo la partenza di don Rodrigo, con il rapimento di Lucia si scinde in due linee narrative parallele, che mettono in relazione Lucia e l’Innominato, quasi ad anticipare il legame che nel capitolo successivo si rafforzerà tra i due.
In base allo spazio, invece, si creano tre macrosequenze inserite in una struttura circolare che si apre e si chiude al castello: i preparativi del rapimento al castello, il rapimento di Lucia a Monza e l’arrivo di Lucia al castello.

Il castello

Il capitolo si apre con una concatenazione: il castello dell’Innominato riprende testualmente la fine del capitolo precedente. Nella descrizione la voce del narratore interviene direttamente con alcune metalessi, alcuni aggettivi giudicanti (terribile, selvaggio, tragiche) e i nomi alterati (torrentaccio, castellaccio, casucce), che esprimono un giudizio sul personaggio. La focalizzazione zero, che richiama la descrizione di apertura del romanzo, diventa poi interna al personaggio che guarda il paesaggio dall’alto, per appuntarsi sull’unica strada d’accesso, in posizione d’attacco più che di difesa.
Il passo si chiude cambiando registro linguistico e atmosfera, con un richiamo all’anonimo: si torna verso il basso sia nello spazio (ai piedi del poggio) sia nella lingua più discorsiva. Anche l’interno del castello sottolinea l’estraneità del luogo al mondo umano, alla storia civile e familiare: privo di ritratti di antenati, è costruito come un labirinto che richiama l’andirivieni di tane e di precipizi dell’esterno.

L’inizio della crisi

Dopo la tensione tra l’Innominato e don Rodrigo e la suspense che rimane nell’aria dopo la lapidaria promessa dell’Innominato (tra poco avrete da me l’avviso di quel che dovrete fare), la scena cambia con una frase di raccordo, che riporta al capitolo X, quando è stato presentato il personaggio di Egidio, che nel Fermo e Lucia aveva uno spazio molto più ampio sia nelle vicende di Gertrude che in quelle dell’innominato.
La voce narrante, con la sua lingua quotidiana, allenta l’atmosfera prima tesa e sospende il patto narrativo con un appello al lettore (se il lettore si ricorda); il nome del Nibbio per il bravo che svolge le stesse funzioni del Griso, richiama l’aquila con cui è stato implicitamente paragonato l’innominato e ricorda l’immagine di minaccia spietata che l’uccello rapace rappresentava per Lucia nel capitolo VIII e per Gertrude nel capitolo X.

Il rapimento di Lucia

La scena di violenza nella carrozza è descritta con la continua alternanza dei punti di vista dei rapitori e di Lucia, che si guardano a vicenda. Le azioni e gli atteggiamenti di Lucia sono descritti con un tono distaccato, quasi oggettivo, perché il punto di vista è quello dei bravi che hanno il controllo della situazione.
Al contrario, gli atteggiamenti dei bravi sono deformati dall’ottica di Lucia: così la loro persona si riduce per sineddoche alle due braccia nerborute del Nibbio e alle quattro altre minacce dei due bravi che sono con lui , oppure a tre bocche d’inferno. Il linguaggio dei bravi oscilla tra la logica, con cui cercano di convincere Lucia, e il linguaggio “tecnico” di abili artigiani del crimine, anche se non mancano espressioni che mostrano un minimo di pietà (Diavolo! Par morta…). più alto si fa invece il linguaggio di Lucia quando prega i bravi, con doti retoriche che l’avvicinano a fra Cristoforo: così, in climax ascendente, fa leva sul loro pensiero di una figlia, una moglie, una madre; li esorta a ricordare che dobbiamo morir tutti, con una frase destinata a far breccia nel cuore dei criminali.
La lingua del narratore, a sua volta, assume talora toni lirici,altre volte toni oratori, come quando definisce Dio: Colui che tiene in mano il cuore degli uomini.  Il brano si chiude con una metalessi( ormai non ci regge il cuore…) usata per cambiare scena e personaggio e giustificare l’omissione della descrizione della scena di violenza, che ci trasporta direttamente al castello dell’Innominato.

L’attesa dell’Innominato

Dopo il dramma della vittima, con una concatenazione (era aspettata) si passa al dramma del suo carnefice. L’Innominato si trova in piena crisi d’identità, espressa attraverso discorsi e pensieri diretti e indiretti; con un cambiamento di focalizzazione, la carrozza, finora vista nel suo interno, viene vista ora attraverso gli occhi dell’Innominato e il senso di fragilità di Lucia si trasmette nell’immagine della carrozza stessa. Il punto di vista dell’innominato, ancora una volta dall’alto, non è più dominatore, ma spaventato.

La vecchia del castello

Pur essendo poco più di una comparsa, il personaggio della vecchia è costruito con grande cura. Nella breve analessi sulla sua vita, essa appare come il doppio dell’innominato, perché come lui, ha subito l’influsso di ciò che aveva veduto e sentito fin dalle fasce e su queste immagini aveva plasmato la sua identità, simmetrica rispetto al padrone.
La vecchia svolge al castello la funzione di governante della casa: Manzoni rifiuta di porre accanto ai suoi nobili violenti figure di donne, amanti o mogli che siano, tuttavia qui sceglie di inserire la figura della vecchia, anche lei senza nome, degradata però al gradino più basso, negazione stessa dell’essere femminile. Pochi cenni descrittivi, decisamente grotteschi, la assimilano alla figura diabolica del vecchio mal vissuto dei tumulti di Milano e la rendono simile a una strega, ispirata ai modelli del romanzo gotico e soprattutto alla vecchia dell’Ivanhoe di Scott.
La vecchia è incapace di provare pietà, come rivela il dialogo, mentre l’Innominato, proprio perché preso da pietà, si stupisce di come la vecchia non sia in grado di trovare parole che diano coraggio alla povera Lucia. In realtà l’Innominato sembra stupirsi anche di sé stesso, perché mai prima di allora aveva provato paura e solo ora, per la prima volta, sente affanno di cuore.

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