I Promessi Sposi: Analisi Capitolo 24 - Studentville

I Promessi Sposi: Analisi Capitolo 24

Promessi Sposi - Analisi Capitolo 24: il contesto storico, le figure retoriche e le tematiche affrontate nel corso del capitolo sulla liberazione di Lucia.

I Promessi Sposi – Analisi del Capitolo 24

Analisi del Capitolo 24 dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni

Luoghi: il castello dell’innominato, la canonica, la casa del sarto.

Tempo: giornata del 10 Dicembre.

Il capitolo 24, il più lungo del romanzo, si apre al mattino con il risveglio di Lucia al castello e si chiude la sera al castello con il sonno dell’innominato, per sottolineare la circolarità della struttura, che tuttavia procede in modo molto vario, alternando un registro drammatico e comico e confrontando personaggi, temi e luoghi opposti, con atmosfere e ritmi variabili.
Proprio questa varietà, però, sapientemente orchestrata, dà unità al capitolo. Il tema del capitolo è la liberazione di Lucia .

Liberazione di Lucia

Lucia, ricordata nel suo stato di infelicità, apre il capitolo con il suo risveglio nella sua camera e il turbamento nel sentire la porta che si apre. È colma d’ira alla visione di don Abbondio, che pure è andato lì per salvarla, ma ancora di più alla visione dell’innominato che, rispetto ai modi originari del capitolo XXI, cambia atteggiamento e rivela civiltà, buona educazione e senso di colpa per aver fatto rapire la ragazza.
Lucia è convinta che sia stata la Madonna ad averle mandato soccorso, per cui, da buona cristiana, decide di perdonare l’innominato e si lascia persino aiutare a salire sulla lettiga, mentre don Abbondio sale sul mulo, tutti seguiti da un gruppo di bravi che li scorteranno al paese.

Il viaggio di Lucia

La buona donna, come l’ha definita il cardinale, moglie del sarto del paese, è uno di quei personaggi secondari del romanzo che, pur rappresentando tipi umani, sono caratterizzati come individui. Di tipico la donna ha il linguaggio popolare, ma una visione miracolistica della conversione, una fede semplice di contadina, un’ammirazione ingenua per i potenti, la sua pietà rispettosa per Lucia, la discrezione, sono tutti tratti individuali del personaggio e lo consegnano alla memoria come uno dei caratteri femminili più delicati del romanzo, tanto più perché è messa implicitamente in contrasto con la vecchia del castello.

A casa del sarto

L’arrivo della famigliola del sarto si annuncia con toni allegri, percepiti attraverso la focalizzazione di Lucia. L’interno familiare ricorda la cena a casa di Tonio nel capitolo VI per il realismo dei particolari domestici e per la rilevanza data al cibo che però, a differenza dela povera tavola di Tonio, è sufficiente e rende i convitati pieni di allegria. Il sarto appartiene a quella stessa classe piccolo-borghese di Renzo che può vantare un lavoro di artigiano e un piccolo pezzo di terra. Questa  è la classe a cui Manzoni affida nel romanzo le speranze risorgimentali per un rinnovamento della società, perciò i principi morali del sarto sono conformi a quelli esposti da Manzoni nelle Osservazioni sulla morale cattolica e la sua cultura un po’ elementare, su cui l’aristocratico Manzoni ironizza, è tuttavia indice di un personaggio non relegato al gradino sociale più basso. L’ironia del Manzoni, però, vuole soprattutto denunciare l’uso della cultura come distinzione sociale, tanto che per il sarto essa diventa metro di giudizio con cui valutare un individuo; così egli, con un’iperbole tipica della fantasia popolare, definisce il cardinale innanzitutto come uomo tanto sapiente, che, a quel che dicono, ha letto tutti i libri che ci sono. Tuttavia il ritratto del prelato attraverso l’ottica del sarto serve anche a confermare e rendere più credibile, meno celebrativo, il ritratto che ne ha fatto il narratore nel capitolo XXII, perché visto nella concretezza del suo agire, il cardinale dimostra umiltà, capacità di parlare la lingua degli umili e di suscitare, secondo i dettami della Controriforma, sentimenti intensi di carità e di bontà.

Il cardinale a casa del sarto

La suspense prepara l’entrata del cardinale in casa del sarto. Il lettore sa che sta per accadere qualcosa di eccezionale, che stupirà Lucia e Agnese, ma loro entrano in ansia prima per i suoni che provengono da fuori e poi per l’immagine improvvisa e inattesa, che le colpisce con il tocco di colore intenso dato dalla porpora del cardinale. Questi riferisce un’ulteriore versione della conversione dell’innominato, dopo quella dissacratoria di don Abbondio e quella miracolistica degli altri e la descrive come una prova dell’amore di Dio per Lucia e della Sua misericordia .
Con l’ingresso del cardinale il tono si innalza, ma subito fa da contrappunto la stizza maligna di Agnese contro don Abbondio, un semplice sfogo che non intende punire il curato; il cardinale è, però, intransigente con i suoi  pastori negligenti, eppure sorvola sul racconto del matrimonio di sorpresa che Lucia tenta di confessargli, perché capisce la sofferenza della sua anima. Il tono narrativo diventa comico nel rapporto del sarto con l’arcivescovo: nello sforzo di trovare qualche bella risposta, il povero sarto assume espressioni grottesche, ridicolizzato dal narratore nel suo tentativo di sfoggio culturale volto ad imitare il modo di esprimesi della nobiltà.

L’Innominato al castello

Il capitolo si chiude al castello,dove era iniziato. Il tempo è quello di una sola giornata, già iniziata alla fine del capitolo XXI dopo la notte insonne dell’innominato, che in questo capitolo conclude il suo percorso di conversione. Tuttavia la sua immagine resta immutata: si erge grandioso dall’alto della sua cavalcatura fin dentro il cortile, mantiene la forza del carattere e il vigore fisico, che si esprime con un grido tonante, l’impotenza del corpo che si staglia alta sulla massa dei bravi, che ammutoliscono al solo vederlo e si aprono a lasciargli intorno un ampio spazio vuoto.
Il lettore non può non sentire il fascino dell’eroe romantico che l’innominata incarna senza cedimenti, senza perdere le abitudini del capo. Alla fine, il narratore, ammiccando proprio al lettore, finge di potenziare la credibilità della storia raccontata chiamando a testimone l’anonimo, che l’ha sentita narrare personalmente; insomma il narratore finge di ricavare i particolari della sua storia dal suo anonimo, più informato addirittura degli storici secenteschi, creando così un gioco narrativo che riflette sul ruolo della letteratura e sulla sua capacità di immaginare ciò che non è stato scritto. Così la valle che il lettore dovrebbe trovare nella realtà topografica, esiste soltanto nell’immaginazione dello scrittore.
 

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