I Promessi Sposi – Analisi del Capitolo 27
Analisi del Capitolo 27 dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni
Luoghi: i ducati di Milano e del Monferrato, Milano, un imprecisato paese del bergamasco, il paesello, il palazzo di donna Prassede a Milano, la biblioteca di don Ferrante.
Tempo: analessi dal 26 dicembre 1627 all’11 novembre 1628, prolessi fino all’autunno del 1629.
Il capitolo si struttura in quattro nuclei narrativi:
- la guerra di Mantova,
- il carteggio tra Renzo e Agnese,
- il soggiorno di Lucia presso donna Prassede,
- la figura di don Ferrante.
Il passaggio dall’una all’altra delle quattro parti avviene attraverso la concatenazione: don Gonzalo impegnato a Casale è costretto a tornare a Milano, dove apprende della fuga di Renzo che, fuggito dal paese di Bortolo, riesce a dare notizie ad Agnese; la donna informa Lucia che Renzo è salvo; Lucia si trova a casa di donna Prassede, che domina su tutti in casa, tranne che sul marito.
Lo spazio rende circolare la struttura perché il capitolo si apre e si chiude a Milano.
Il tema che accomuna i quattro nuclei narrativi è il travisamento della realtà e il ruolo che la scrittura svolge in questo travisamento.
LA GUERRA PER LA SUCCESSIONE AL DUCATO DI MANTOVA E MONFERRATO
Il primo nucleo narrativo del capitolo è una digressione sulla guerra, rivolta a quei lettori che non la conoscessero da altre fonti. Il romanzo appare così un genere indirizzato ad un pubblico di ignoranti ed era questa l’accusa che i classicisti facevano al nuovo genere del romanzo storico che si era affermato nel Settecento. La metalessi narrativa iniziale polemizza ironicamente e riflette nel contempo sulle modalità della scrittura di un romanzo storico.
La scrittura letteraria permette inoltre una critica ai meccanismi storici, a partire dalla guerra: così nell’inciso perché le guerre fatte senza una ragione sarebbero ingiuste si sente tutta l’ironia manzoniana. Le guerre in realtà sono sempre ingiuste, come l’educazione illuminista e cattolica aveva insegnato a Manzoni.
Un’altra metalessi chiude la prima macrosequenza: il narratore, influenzato dalle sue fonti antispagnole, dà un parere negativo sul governatore e però paradossalmente si rallegra delle sue incapacità, che hanno impedito di aumentare il numero di morti e feriti e danni alle case. Il climax morto, smozzicato, storpiato riassume tutto l’orrore della guerra.
IL CARTEGGIO TRA RENZO E AGNESE
Dopo l’analisi delle difficoltà pratiche che incontra chi non sa scrivere né leggere, una metalessi spiega le difficoltà di scrittura di un testo orale e di interpretazione di uno scritto.
Si tratta quindi di una riflessione sulla trasmissione scritta delle idee: chi spiega ad un altro,che dovrà scrivere, finisce con l’esprimersi in modo confuso, chi scrive, poi, si sente sempre un po’ letterato, in dovere di dare la forma che ritiene migliore alle idee. Anche il lettore, però interviene sul testo, perché lo interpreta e lo integra, filtrandolo attraverso la propria cultura e i propri desideri.
LUCIA DA DONNA PRASSEDE
La figura di donna Prassede è una delle più negative del romanzo, perché vi si assomma gran parte dei vizi del secolo. Prima parla per frasi fatte, poi in generale e ragionando per sillogismi, basati però su premesse sbagliate: le giovani preferiscono gli scapestrati e non riescono a staccarsi da loro, Renzo è uno scapestrato e Lucia è una giovane, dunque, a conclusione, Lucia non riesce a staccarsi da Renzo.
Questa verità è radicata nella mente della donna, che non ragiona affatto in base ai fatti verificati attraverso l’esperienza; anche il bene degli altri è quello che ella ha in mente e non ciò che sarebbe davvero bene per loro. Il suo personaggio, per cui il narratore esprime profonda antipatia, racchiude moltissimi aspetti negativi tipici del suo tempo: potere gestito in modo autoritario e prevaricatore, grettezza morale e logica distorta, una spietatezza che nasce dalla falsa convinzione di essere nel giusto.
DON FERRANTE
La sua presentazione è fatta attraverso un discorso indiretto libero del personaggio stesso, tanto che è proprio don ferrante a definirsi letterato, uomo di studio, a cui non piace né comandare né ubbidire. È l’emblema di quei letterati che si isolano dalla vita sociale per non prendere posizione, con una scelta che ricorda la neutralità e mediocrità di don Abbondio e contemporaneamente è individuo del Seicento e tipo erudito che si rinnova in ogni secolo.
La biblioteca di don Ferrante, come la canonica del curato, dà l’immagine del rifugio idilliaco che l’ideale religioso accetta, ma non come valore assoluto, perché a prevalere devono essere sempre i doveri nei confronti della collettività. Anche nella scelta dei libri, don Ferrante si indirizza a quelli più famosi, con un conformismo che lo porta ad attribuire la superiorità agli antichi e a restare ancorato al passato. Il Seicento è il scolo di Keplero e dell’astronomia, dunque don Ferrante si occupa di astrologia; è il secolo di Galilei e della fisica, quindi è cultore della magia e delle scienze occulte; è il secolo in cui Bacone tracciava il metodo per giungere alle leggi della vita organica e inorganica, per cui don Ferrante è lettore di lapidari, erbari e bestiari del Medioevao.
Quando si passa ad elencare i libri relativi alla storia e alla politica, si scopre una concezione della storia che sarà poi confutata dagli illuministi, secondo cui la storia è magistra vitae oppure racconto di fatti politici, guerre e trattati, perdendo di vista il nesso dei fatti economici, culturali e religiosi. Così la presenza nella biblioteca di grandi autori, come Bodin e Machiavelli, perde significato, perché è solo indice di scelte da erudito che ama accumulare testi famosi ma che non ha una vera cultura, quella che permette di intendere l’autentico valore dei libri.
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