I Promessi Sposi - Capitolo 3 analisi - Studentville

I Promessi Sposi - Capitolo 3 analisi

Analisi del capitolo 3 dei Promessi Sposi.

I Promessi Sposi – Analisi del Capitolo 3

La struttura del terzo capitolo dei Promessi Sposi vede quattro macrosequenze strutturate ad anello, sempre con tre personaggi in scena a colloquio:

  1. Renzo, Lucia e Agnese a casa di Agnese
  2. Renzo, Azzecca-garbugli e la serva nello studio
  3. Di nuovo Renzo, Lucia e Agnese in casa
  4. Agnese, Lucia e fra Galdino in casa

Anche se può sembrare al lettore che sia passato molto tempo dall’incontro di don Abbondio con i bravi, in realtà il capitolo si sviluppa dalla tarda mattinata alla sera di mercoledì 8 Novembre 1628.
Il tema principale è quello del rapporto tra giustizia umana e giustizia divina, già presente nella battuta di Renzo “questa è l’ultima che fa quell’assassino” e nella domanda di Lucia “ Il Signore c’è anche per i poveri”: Lucia crede nella giustizia di Dio, in una provvidenza che si prende cura dei poveri purchè rispettino i principi della morale cattolica e queste due forme di giustizia vengono incarnate, in questo capitolo, rispettivamente da Azzecca-garbugli, il prototipo dell’avvocato corrotto di una società in decadenza, e da fra Galdino, che rappresenta l’aspetto più popolare del francescanesimo.

Il capitoli si apre riprendendo la narrazione dove si era fermata nel capitolo precedente, lasciando il lettore in trepida attesa. Lucia racconta in flash-back l’antefatto, riferito dal narratore con un discorso indiretto libero e con focalizzazione interna del personaggio: agli occhi di Lucia, don Rodrigo si propone ancora una volta come un nobile vizioso e prepotente, ma anche maldestro e oggetto di scherno del proprio compagno, un tipo beffardo e senza scrupoli.
Nel suo racconto, Lucia si presenta in strada, in un luogo esterno, dove diventa preda dei desideri maschili che attentano alla sua virtù, ulteriore conferma che il luogo adatto a lei è la casa protettiva e sicura e che lo spazio aperto è solo fonte di pericolo, “le strade mi facevan tanta paura…”.
Tuttavia la giovane di rivela autonoma e matura nel fronteggiare le proposte oscene del nobiluomo e insieme pudica, quando arrossisce al pensiero di aver dato l’impressione di voler accelerare le nozze per proprio desiderio. Agnese si conferma donna curiosa e pettegola, molto simile a Perpetua, con cui condivide i tratti del tipo della popolana saccente.

Quanto poi sia soggettiva la presentazione di un personaggio fatta dai personaggi in scena, lo si evince nel ritratto che Agnese dà di Azzecca-garbugli: il ritratto fisico (una vera caricatura), pur essendo fedele alla realtà, non è rielaborato attraverso un’interpretazione attenta che interpreti i dati fisici: il naso rosso dell’avvocato, per esempio, deriva dalla sua smodata passione per il vino, ma il lettore ne verrà informato solo nel V capitolo.
Ad ogni modo, il nomignolo stesso basta a mettere sull’avviso il lettore per il suo significato di “indovina-imbrogli”, inteso da Agnese come adatto per chi trova il bandolo delle matasse imbrogliate, invece da don Rodrigo (nel XI capitolo) nel suo senso più veritiero di uno che trova l’imbroglio giusto da appioppare alla controparte.

Dopo la presentazione indiretta di Agnese, ecco l’entrata in scena dell’avvocato in movimento che va incontro a Renzo, cui segue la descrizione dell’ambiente, arredato con gli emblemi del potere (i ritratti de’ dodici Cesari) e della letteratura giuridica, ma comunque decadente come la società rappresentata, e il ritratto del personaggio. Ogni parola e azione dell’avvocato intende dare un’immagine di autorità e sapienza, una pantomima del potere usata per acquisire prestigio, ma anche spillare denaro al malcapitato.
Tuttavia la mimica, quello stringere fortemente le labbra, facendone uscire un suono inarticolato, rende comico il personaggio, che riesce ugualmente a mettere in soggezione Renzo, con una mano nel cocuzzolo del cappello, che faceva girar con l‘altra.
Il narratore si diverte molto nel costruire una scena di doppi sensi: l’avvocato legge le gride rivolte a punire i signori prepotenti e bravi e più sono fresche e più fanno paura, ma al tempo stesso dimostra che si possono aggirare, partendo dalla premessa sbagliata che Renzo sia un bravo e finendo in tal modo col rivelare i meccanismi occulti del potere ad orecchie estranee.
Questa è la prima tappa del viaggio di Renzo alla scoperta dei meccanismi deviati della società, in cui la giustizia è connivente con il potere e agisce con ipocrisia (non gli dirò,vedete, ch’io sappia da voi che v’ha mandato lui).
La massima che conclude il discorso è un atto d’accusa del narratore alla giustizia ingiusta di ogni tempo: a saper ben maneggiare le gride, nessuno è reo e nessuno è innocente, il che equivale a dire che la giustizia non esiste.
Lucia, che non si fida del tutto del parere della madre, va ora in cerca di altri aiuti, giustificandosi, per non offenderla, col dire che bisognava veder d’aiutarsi in tutte le maniere; in realtà crede poco ai mezzi umani e preferisce abbandonarsi al volere di Dio, sperando nei consigli di fra’ Cristoforo, di cui anticipa l’entrata in scena.

Il ritratto del frate è quello di un uomo che non solo aiuta i più indifesi con le parole, ma è pronto ad agire, segno di una carità cristiana attiva e molto cara all’ideale manzoniano di religiosità: lo stesso narratore, infatti, lo definisce uomo di molta autorità, presso i suoi e in tutto il contorno.
A preparare la sua entrata in scena interviene fra’ Galdino, a cui il narratore cede la parola (processo di citazione) ed egli racconta la parabola come narratore esterno di secondo grado, fornendo anche il primo indizio riguardo la carestia, che tanto spazio avrà nel romanzo.
La lingua si adegua perfettamente a chi la usa: quella del narratore tende un po’ alla retorica nell’esaltazione dell’ordine dei cappuccini, con un certo gusto classicista nell’uso letterario del climax ascendente (con tenerezza, con supplicazione, e anche con una certa autorità), mentre quella di fra Galdino è infarcita di espressioni popolari e ripetizioni (fiori a bizzeffe, e…noci a bizzeffe…).

Il capitolo, infine, si chiude così com’era cominciato, con i tre personaggi a colloquio, ognuno coerente con sé stesso: Agnese convinta che affidarsi ad Azzecca-garbugli fosse un buon parere, Renzo furioso e Lucia piena di fiducia in fra Cristoforo. A sottolineare la circolarità della struttura del capitoli, l’avverbio tristemente, che lo chiude, riecheggia l’angosciosamente che lo ha aperto.

I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni: appunti e risorse per lo studio

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