I Promessi Sposi – Analisi Capitolo 4
Analisi del Capitolo 4 dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni
Il quarto capitolo dei Promessi Sposi si apre con un cambiamento di tempo (è la mattina di giovedì 9 Novembre 1628) e di spazio (sulla strada da Pescarenico verso il paesello degli sposi). Sembra aprirsi un nuovo atto più che una nuova scena: dopo l’annuncio del divieto che, come nelle fiabe, ha rotto l’equilibrio iniziale, l’intervento di fra’ Cristoforo fa sperare in una risoluzione del problema. Egli entra in scena all’alba, in movimento e in uno spazio esterno. La descrizione dello spazio è inizialmente condotta con focalizzazione zero ed è oggettiva, poi viene filtrata dal punto di vista del frate e le immagini serene di una natura dai colori intensi (il rosso dei tralci, il bruno della terra..), su cui si diffonde la luce, sono pervase di malinconia.
Il frate, al contrario di don Abbondio nel primo capitolo, non gira oziosamente gli occhi intorno, ma osserva con partecipazione emotiva il triste spettacolo dei mendicanti e dei contadini preoccupati per la scarsità delle loro sementi, la fanciulla scarna, che rappresenta tutte le fanciulle degradate dalla fame a competere con gli animali nella ricerca del cibo.
Quando entrano in scena gli uomini, lo spazio idilliaco della natura si connota così drammaticamente, perché inserito in un preciso momento storico, quello della peste del 1628. La descrizione spaziale qui svolge molteplici funzioni: fa vedere il punto di partenza e il percorso del frate, ambienta la vicenda in un’epoca storica precisa e rappresenta il carattere del personaggio (che dimostra di muovere abitualmente tra gente povera e di averne pietà).
Con la consueta tecnica di presentazione del personaggio, prima del suo ingresso in scena, fra’ Cristoforo è già stato introdotto da Lucia, Renzo e Agnese ed il suo stesso nome non è stato scelto a caso, perché significa “pastore di Cristo”, sottolineando la sua scelta di vita. Entra in scena all’alba, quando comincia il lavoro di un nuovo giorno (non come don Abbondio, entrato in scena al tramonto), è quindi mattiniero, laborioso e sensibile al mondo che lo circonda, sia naturale che umano; il suo comportamento è indizio del carattere: è compassionevole (il tristo presentimento in cuore), come dimostra la sollecitudine con cui risponde alla chiamata di Lucia e il ringraziamento dei mendichi per la bontà sua e del suo convento in generale. Altro indizio indiretto della sensibilità del frate è dato dallo stile poetico che il narratore avvia in coincidenza con la focalizzazione interna del personaggio, sottolineandone la delicatezza dell’animo.
Il passaggio dalla descrizione dell’ambiente in cui il frate è entrato in scena al suo ritratto avviene attraverso una metalessi, precisamente un appello al lettore: il narratore riporta in forma di discorso diretto libero le domande che il narratario (in questo caso il lettore) si pone di fronte agli enigmi del testo e la sua voce ha lo scopo di tenere viva l’attenzione per il romanzo.
Il paesaggio nell’incipit è stato variamente interpretato dai critici ed alcuni hanno visto nella descrizione dello spazio all’alba lo specchio del personaggio: il frate sale alla casetta di Lucia come il sole sale nel cielo e nelle immagini autunnali si riflettono i segno della rinuncia e del dolore del personaggio, o ancora si potrebbero considerare i diversi aspetti della scena un riflesso della visione della natura di san Francesco, che nel suo Cantico di Frate Sole, loda Dio non solo per le cose belle, per l’aere e il sereno, ma anche per il nubilo e ogni tipo di tempo, e persino per la sorella nostra Morte corporale.
Il padre Cristoforo da *** ( riga 31):gli asterischi tacciono la provenienza del frate, mentre nel Fermo e Lucia era definito padre Cristoforo da Cremona; sebbene fra Cristoforo sia un personaggio di invenzione, per certi aspetti della sua vita sembra che Manzoni si sia ispirato ad alcune figure storiche, da Cristoforo Picenardi da Cremona (Memorie sulla peste del 1630 di Pio La Croce) ad Alfonso III d’Este (Antichità estensi di Ludovico Antonio Muratori). Manzoni non inventa mai del tutto, ma indaga nel carattere degli uomini alla luce della storia del loro tempo, in modo che anche loro diventano emblematici di un’epoca storia come i personaggi realmente storici.
La conflittualità interiore del frate, tra istinti e scelte morali, è rappresentata con una similitudine di origine letteraria: già Omero equiparava cavalli e guerrieri, ma è in Platone che possiamo rintracciare la fonte più precisa del paragone, quando nel Fedro Socrate racconta il mito della biga alata, secondo cui l’anima è come un carro guidato da due cavalli alati, uno bianco e uno nero, il primo rappresentativo del più ferreo senso morale, il secondo degli istinti più sfrenati, entrambi condotti da una guida, che è la ragione in cerca di equilibrio tra le due componenti dell’anima.
Come spesso accade nei Promessi Sposi, il narratore interviene poi con un ragguaglio narrativo, raccontando la biografia del frate, introdotta dal riferimento, per la prima volta nel romanzo, all’anonimo autore del manoscritto. Il padre di Lodovico è tratteggiato come figura tipica di una classe, quelli dei mercanti, che nel Seicento era ancora vergognosa della propria condizione, ecco perché, quando un mercante raggiungeva un livello economico tale che gli permettesse di competere con i nobili, cercava di assimilarsi ad essi abbandonando le attività commerciali e dedicandosi all’ozio a al lusso.
Dalle righe 109 a 150 si alternano discorsi indiretti e diretti liberi dei personaggi e commenti del narratore, che tratteggia, con poche parole, due comparse: il nobile ha i caratteri del tipo arrogante, proprio della sua classe, mentre Cristoforo è il tipo del servo fedele, il tutto nello spazio esterno della strada, che si conferma come luogo degli imprevisti e della violenza.
In seguito Manzoni d voce alla folla anonima (il romanzo è il primo genere letterario che lo fa), folla che viene trattata come personaggio collettivo e di cui Manzoni fa sentire solo le diverse voci degli individui che esprimono le loro opinioni lasciando intuire diverse personalità : i curiosi (Com’è andata? – E’ uno. –Son due.. Chi è stato ammazzato? ), il cinico (Gli ha fatto un occhiello nel ventre), i sovversivi (Quel prepotente…Chi cerca trova.), gli amanti dell’ordine (Oh Santa Maria che sconquasso!).
La vivacità e il realismo della scena sono accentuati dall’uso della lingua popolare, alla quale, per la prima volta nella storia della letteratura italiana, viene data dignità letteraria senza relegarla al solito ambito comico.
Nel descrivere la decisione di Lodovico di farsi frate, Manzoni rivela tutto il potere dei cappuccini al quale aveva già accennato fra Galdino nel capitolo precedente: noi siam come il mare, che riceve acqua da tutte le parti e la torna a distribuire a tutti i fiumi.
Dietro quest’immagine apparentemente caritatevole, si nascondono tutti i privilegi e le immunità, come il diritto d’asilo di cui gode l’ordine e a cui non intende rinunciare.
Il padre guardiano adotta lo stesso linguaggio diplomatico e falso del potere, la sua umiltà, cioè il principio morale su cui si fonda l’ordine, è, con un ossimoro, disinvolta, usata come arma per placare l’ira del nobile e imporre soavemente la decisione del convento di chiudere l’incidente con la monacazione di Lodovico. Il suo dramma è per gli altri solo uno spettacolo di cui tutti hanno potuto godere come a teatro, secondo il gusto dell’epoca; l’unico a viverlo nella sua verità di dolore è Lodovico, contento di avviarsi all’espiazione e al sacrificio di sé, che a prova del cambiamento di rotta della sua vita, cambia il suo nome in Cristoforo.
Anche in questo capitolo, Manzoni applica la costruzione ad anello, iniziando con Fra’ Cristoforo che si dirigeva verso casa di Lucia, proseguendo con una digressione sulla sua vita (centrata maggiormente sui suoi trent’anni) e infine ritornando “alla realtà” con Fra Cristoforo che giunge a casa di Lucia.
I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni: appunti e risorse per lo studio
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