[1] Da qui proseguirono: erano visibili orme di cavalli e sterco. Dalle tracce si poteva dedurre che si trattava di circa duemila cavalieri. Costoro, in avanscoperta, davano fuoco sia al foraggio sia a quant’altro fosse utile. Oronta, persiano e parente del re, che aveva fama di essere tra i migliori in Persia nell’arte militare, tende a Ciro una trappola: anche in passato gli aveva mosso guerra, ma poi si erano riconciliati. [2] Disse a Ciro che, se gli dava mille cavalieri, senz’altro avrebbe massacrato in un’imboscata gli squadroni nemici di guastatori oppure ne avrebbe preso vivi parecchi, stroncando scorrerie e incendi; insomma, non avrebbero mai più riferito al re di aver visto l’esercito di Ciro. Ascoltata la proposta, Ciro giudicò che un’azione del genere potesse tornargli utile e lo invitò a prendere un certo numero di soldati da ciascuno dei comandanti. [3] Oronta, convinto di poter disporre di questi cavalieri, scrive una lettera al re: sarebbe arrivato con il maggior numero di cavalieri, ma lo pregava di comunicare alla sua cavalleria di accoglierlo come amico. Nella lettera era contenuta una menzione della sua passata amicizia e fedeltà. Consegna la lettera a un uomo fidato – o almeno lo riteneva tale – che invece la prende e la dà a Ciro. [4] Dopo averla letta, Ciro fa arrestare Oronta e convoca nella propria tenda i settePersiani più autorevoli del suo séguito e ordina agli strateghi greci di condurre gli opliti, che però dovevano deporre le armi attorno alla tenda. Gli strateghi eseguirono l’ordine e condussero circa tremila opliti. [5] Chiamò dentro come consigliere anche Clearco, che lui e gli altri consideravano il comandante di maggior prestigio tra i Greci. Quando ritornò fra i suoi, Clearco raccontò del processo a Oronta, come si svolse: non era cosa segreta. [6] Ciro – disse – aveva dato inizio così al suo discorso: «Vi ho convocati, amici, perché, deliberando con voi su cosa sia conforme alla giustizia divina e umana, questo faccia nei confronti di Oronta. In un primo tempo, mio padre lo pose alle mie dipendenze. In séguito, su ordine – come lui dice – di mio fratello, mosse guerra contro di me, mantenendo il controllo dell’acropoli di Sardi. E io, rispondendo alla guerra con la guerra, lo riportai alla ragione e lo feci desistere dal combattere contro di me, strinsi la sua destra e lui la mia. Da allora, Oronta», gli chiese, «ti ho fatto qualche torto?». Rispose di no. [7] Ciro gli domandò ancora: «Più tardi, benché non mi fossi macchiato di colpe nei tuoi confronti, non sei forse passato coi Misi e hai devastato il mio territorio con ogni mezzo a tua disposizione?». Oronta confermò. «Non è forse vero», riprese Ciro, «che, quando per la seconda volta hai compreso realmente la tua forza, ti sei recato all’altare di Artemidee hai ammesso il tuo pentimento e, dopo avermi convinto, mi hai di nuovo dato il segno della tua fedeltà e da me lo hai ricevuto?». Oronta annuì ancora. [8] «Quale torto dunque», proseguì Ciro, «hai subito da parte mia per tradirmi, è chiaro, per la terza volta?». Oronta rispose che non aveva subito alcun torto, per cui Ciro gli domandò: «Ammetti che ti sei macchiato nei miei confronti?». «Non posso fare altrimenti», disse Oronta. E Ciro: «Potresti diventare ancora nemico di mio fratello e mio fedele alleato?». E l’altro rispose: «Neppure se davvero lo diventassi, Ciro, tu lo crederesti più, ormai». [9] Quindi Ciro si rivolse ai presenti: «Tali sono le sue azioni, tali le sue parole: tra voi a te per primo, Clearco, spetta di esporre il tuo pensiero.» E Clearco parlò così: «Sono dell’avviso che è meglio toglierlo di mezzo quanto prima, così non dovremo guardarci le spalle da lui, anzi, invece di pensare a lui potremo far del bene a chi ci è veramente amico». [10] Al suo parere – disse Clearco – aderirono anche gli altri. Dopo di che – continuò – su ordine di Ciro, si alzarono in piedi e toccarono la cintura di Oronta in segno di morte, anche i suoi parenti. Poi lo condussero via gli incaricati. Come lo videro, chi in passato si inginocchiava al suo passaggio anche allora si inginocchiò, pur sapendo che lo portavano alla morte. [11] Una volta condotto dentro la tenda di Artapate, il più fidato tra gli sceptuchi di Ciro, nessuno vide Oronta, né vivo né morto, mai più, e nessuno poté dire con cognizione di causa come fosse morto. Chi congetturava in un senso, chi in un altro: la sua tomba però non la rinvenne mai nessuno.
- Greco
- Anabasi di Senofonte
- Senofonte