Capitolo 7 Promessi Sposi di Manzoni: analisi e sintesi

I Promessi Sposi - Capitolo 7: analisi

Promessi Sposi - Analisi Capitolo 7: analisi della progettazione delle nozze clandestine, delle vicende più significative e dell'uso della lingua.

I Promessi Sposi – Analisi del Capitolo 7

Analisi del Capitolo 7 dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni

Nel settimo capitolo, due eventi si svolgono contemporaneamente, ma naturalmente non possono essere narrati in simultanea e si tratta da una parte dei preparativi della spedizione dei promessi sposi alla canonica per celebrare il matrimonio di sorpresa e dall’altra quella dei bravi a casa di Lucia per rapirla. Vengono quindi incastrati a intreccio, con un momento di sincronizzazione: il povero vecchio trottava ancora; i tre esploratori arrivavano al loro posto; il sole cadeva; quando Renzo entrò dalle donne…
Fabula e intreccio quindi non coincidono. L’intreccio procede in tre macrosequenze, le prime due raccontano momenti contemporanei in successione, la terza le vicende sincronizzate dal tramonto alle prime ore della notte, come di seguito:

  • Dalla sera del 9 Novembre alla tarda mattina del 10 – preparativi promessi sposi
  • Dal pomeriggio del 9 Novembre al tramonto del 10 – preparativi dei bravi
  • MOMENTO DI SICRONIZZAZIONE – tramonto del 10 Novembre : il vecchio servitore avviato al convento, i bravi appostati all’osteria, le donne a casa.
  • Sera del 10 novembre – cena all’osteria sia per Renzo e compagni che per i bravi – avvio della spedizione alla canonica mentre i bravi si preparano ad entrare a casa di Lucia.

nel capitolo prevale decisamente l’azione sulla riflessione e non emerge un tema particolare, anche se proprio l’azione dà modo di riflettere sulle finalità che si pone: l’inganno. Ad esclusione di Lucia e Menico, tutti i personaggi agiscono per ingannare gli altri e cercare così di risolvere i loro problemi. L’ansia di scoprire se l’inganno ordito condurrà agli scopi attesi rappresenta l’enigma che aumenta la suspense, la curiosità e quindi il coinvolgimento del lettore.
L’esordio riecheggia quello del capitolo II, che paragonava don Abbondio al principe di Condè, anche se qui manca l’ironia, dato che fra Cristoforo ha davvero uno spirito combattivo, conforme all’idea manzoniana della missione religiosa come milizia, quindi la similitudine con il capitano ben gli si addice.
La sua figura è tratteggiata ricorrendo alla scansione ternaria, prediletta da Manzoni: una serie di tre antitesi avversative (coordinate dal ma non con la variazione di e non) e di tre finali (a premunire… a raccoglier… a dar….).
Con la sua enfasi solenne e implicite citazioni bibliche, cerca di placare la rabbia di Renzo (il cui accumularsi è espresso dal ritmo delle anfore: da tante…. da tanti…. da tante) frenando l’impulso ad agire del ragazzo e  facendo ricorso ad una lingua ricca di anafore, di chiasmi ( è una magra parola una parola amara) di allitterazioni (sappi…. sappiate) e soprattutto di opposizioni, dando così una lezione sul linguaggio del potere che è in grado di dire e dissimulare e di comunicare il contrario di ciò che dice.
Alla fine, citando il filo della provvidenza, il frate rivela di avere ancora la speranza di poter agire e  le sue parole religiose invitano alla pazienza e alla superiore giustizia di Dio, anche se lo spirito combattivo già lascia intravedere una soluzione pratica immediata, così che con la stessa sbrigatività di quando è arrivato, si congeda invitando alla speranza .

I tre personaggi reagiscono alla partenza del frate in modo coerente con il loro carattere: Lucia ha fede cieca  nel filo  della provvidenza e in Fra Cristoforo; Agnese ha la  presunzione di credere che se il frate non ha confidato niente a lei, donna esperta, vuol dire che non si può contare molto su questo filo indeterminato; Renzo esplode nella sua rabbia con la volontà di agire subito e di persona.
Alla sua follia Agnese oppone il rischio di essere ucciso o di essere colpito dalla giustizia ma il giovane stravolge il significato della parola giustizia e la intende come vendetta: Si, la farò io, la giustizia: lo libererò io il paese.
Renzo mette in scena con istintiva teatralità la sua rabbia attraverso un linguaggio ricco di figure efficaci come la ripetizione delle parole in chiasmo (la finirò io: io la finirò!), una gestualità plateale (ad esempio andando su e giù per la stanza), tuttavia quella scena non riesce ad essere drammatica, anzi rasenta la comicità. La scena si trasforma in melodramma e Manzoni gioca con il personaggio, si diverte alle spalle di Renzo che, sebbene la scena sia costruita alla maniera dei romanzi d’amore, non personifica affatto l’eroe romantico, ma è solo un ragazzotto che esagera il dramma.

Il coinvolgimento di Menico nell’azione determina una pausa della tensione  delle due sequenze iniziali. Il ragazzino è una delle comparse infantili che nel romanzo presentano sempre caratteristiche analoghe e, come Bettina nel capitolo II, mostra l’orgoglio tipicamente infantile di essere coinvolto nel mondo dei grandi, ma rivela anche d’aver dovuto precocemente imparare la mentalità degli adulti, come l’ interesse precoce per il denaro .
La suspense, che esploderà solo nel prossimo capitolo, viene costruita per tappe a partire da qui. La descrizione dei bravi è condotta prima attraverso il punto di vista interno di Agnese e Lucia e del villaggio, che non possono riconoscere bravi dietro il loro travestimento da mendicanti; le figure inquietanti dei pellegrini sviluppano l’angoscia in Lucia e alimentano i suoi scrupoli morali con immagini diaboliche, equivoche, misteriose, potenziate da formule grammaticali indefinite (certe novità… un non so che… strane figure..) .

L’appello al lettore, consueta intrusione del narratore in funzione di snodo narrativo, introduce l’analessi che, come un flash-back, inquadra don Rodrigo nella stessa identica situazione della sua ultima apparizione, intento a misurare, a passi infuriati, il campo di battaglia. Veniamo, così, solo ora a sapere che il campo di battaglia dello scontro tra don Rodrigo e il frate era una sala adorna di ritratti degli antenati: la sala è descritta secondo le modalità del cronotopo del castello, tipico di romanzi storici e racchiude in sé il concetto di spazio e il tempo per la presenza della storia della famiglia di don Rodrigo e dei ritratti degli antenati, emblematici del tempo storico in cui è ambientato il romanzo.
Questi ritratti (assenti nel Fermo e Lucia) sono visti attraverso la focalizzazione interna di don Rodrigo, ma la sua mentalità distorta, abilmente esagerata da narratore,  rende straniata la descrizione e noi ne ridiamo tanto, quanto invece don Rodrigo se ne sente soggiogato .

Per quanto riguarda il Griso, il narratore costruisce il suo ritratto dapprima come quello di un romanzesco killer spietato: è presentato dal servo, che a sentire sul nome dice tra sé: Cose grosse…. Si passa, dunque, alla parodia del killer: il Griso è uno che si picca di usare un linguaggio galante sul modello dei signori e di salutare come un grand’uomo pieno di sé, ma è anche uno che crede alle streghe e ai sabba, esattamente come i villani, che pure guarda dall’alto al basso.
Il suo personaggio dà lo spunto al narratore per denunciare ancora una volta il meccanismo distorto della giustizia.

Conclusa l’analessi, si passa all’azione simultanea dei diversi personaggi e nello stesso tempo si costruisce la suspense.
I tempi sono accelerati, a partire già dal precedente sommario degli accordi tra il  signorotto e il Griso (rr.303-308), condotto attraverso infiniti durativi e un rapido elenco delle varie bricconerie da mettere in atto. Ora i preparativi assumono il ritmo delle spedizioni militari: il Griso ha il piglio di un comandante che, dopo aver dato ordini rapidi e  decisi,  alla fine col grosso della truppa rimane nell’agguato ad aspettare;  il vecchio servitore rivela la cautela di una spia incallita e la sua paura è solo quella di portare il soccorso di Pisa; l’ avanguardia di bravi va a imboscarsi e alla fine tutti sono al proprio posto di combattimento e il ritmo si fa cadenzato, con frasi brevissime e coordinate per asindeto .

La suspense è in crescendo. La scena dell’osteria esordisce con forti contrasti coloristi: il lampeggiare ora il bianco ore il nero di due occhi grifagni,  il berretto di velluto chermisi, la fronte fosca; diventa grottesca con il bravo trasformato in cariatide, un’immagine tratta dal mondo classico e usata in chiave parodica, antieroica.  Poi si passa alla caricatura di uno dei bravi che giocano, bloccato con una mano in aria, con tre ditacci tesi e allargati e la bocca ancora aperta; infine, come in una pantomima, tutti comunicano a gesti e sguardi .
Le due brigate si fronteggiano tre a tre e  la simmetria numerica rivela un gioco di corrispondenza poi confermato dalle occhiate, dai gesti e dei discorsi che i due  gruppi sembreranno riprendere l’uno dall’altro, imitandosi inconsapevolmente per tutta la scena.
Il primo oste del romanzo è ritratto mentre compie i gesti tipici della sua categoria: si presenta con una tovaglia grossolana sotto il braccio e un fiasco in mano, oggetti simbolo del suo mestiere, e tipica della categoria è anche la caratteristica, che ritroveremo in tutti gli altri osti del romanzo, della visione utilitaristica dei rapporti umani e della morale. Quest’oste, infatti, si comporta diversamente con Renzo e con il bravo, perché da Renzo non ha nulla da temere e dal bravo sì, tuttavia vuol tenersi buoni entrambi: coi bravi mette una buona parola per Renzo e a Renzo ricorda che se si può conoscer la gente bene, come ci conosciamo tra noi quattro, è meglio.

A conclusione del capitolo, con l’attacco alla canonica, inizia una modalità narrativa che alterna a scene ricche di suspense e d’azione, momenti descrittivi e che si manterrà per tutta la notte degl’imbrogli. L’immagine del villaggio sul far della sera ricorda molto la quiete del Sabato del villaggio leopardiano, o ancora la rappresentazione della vita del villaggio nel capitolo II dei Malavoglia di Verga.
L’uso degli imperfetti durativi, la ripetizione musicale dei verbi, il chiasmo: le donne venivan….venivan gli uomini; si sentiva…si sentivano, il rintocco delle campane che annuncia la fine del giorno, creano un sottofondo di malinconica musicalità.

La brigata avventuriera diretta alla canonica ricorda la spedizione del terzetto del Barbiere di Siviglia di Rossini, anch’esso avviato al matrimonio di sorpresa.
Come in una didascalia teatrale, è indicata minuziosamente la posizione dei diversi personaggi; la brigata e la strategia militare di Agnese che vuol impadronirsi di Perpetua, poi, fanno quasi da contrapposto comico alla spedizione dei bravi.

I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni: appunti e risorse per lo studio

Scopri il nostro materiale per approfondire e studiare al meglio I Promessi Sposi:

  • Letteratura Italiana
  • Analisi
  • Alessandro Manzoni
  • Letteratura Italiana - 800

Ti potrebbe interessare

Link copiato negli appunti