[1] Così dunque morì Ciro: nessuno, tra i Persiani vissuti dopo Ciro il vecchio, fu più regale e degno del comando, come concordemente ammettono le persone che lo hanno conosciuto di persona. [2] Prima di tutto, fin da bambino, quando veniva educato insieme al fratello e agli altri ragazzi, era considerato il migliore di tutti in tutto. [3] Tutti i figli dei nobili persiani sono educati a palazzo, dove si può apprendere in alto grado la temperanza e non è possibile ascoltare né vedere alcunché di turpe. [4] I bambini vedono e sentono chi gode dei favori del re oppure chi è caduto in disgrazia. E subito, fin dall’infanzia, imparano a comandare e a obbedire. [5] Qui Ciro sembrava il ragazzo più riservato, agli anziani prestava orecchio anche più dei compagni meno nobili di lui e poi era profondamente appassionato di equitazione e cavalcava con abilità eccezionale. Anche nelle arti marziali, per esempio nel tiro con l’arco e nel giavellotto, lo giudicavano il più desideroso d’imparare e il più assiduo nella pratica. [6] Raggiunta l’età adatta, dimostrava una passione speciale per la caccia e durante le battute venatorie amava davvero il rischio. Un giorno un’orsa gli si avventò contro, ma lui non indietreggiò: travolto e disarcionato, gravemente ferito, come testimoniavano le sue cicatrici, alla fine riuscì a uccidere la fiera. E il primo che gli portò aiuto, Ciro lo rese invidiabile agli occhi di molti. [7] Quando venne inviato dal padre come satrapo della Lidia, della Grande Frigia e della Cappadocia, nonché nominato comandante di tutte le truppe che dovevano riunirsi a Piana del Castolo, innanzi tutto dimostrò che una cosa contava per lui più di tutto: rispettare la parola data, sia che avesse stipulato una tregua o un accordo o fatto promesse. [8] Perciò si sentivano tranquille le città che si rivolgevano a lui, tranquilli gli uomini. E se qualcuno era stato suo nemico, una volta riconciliatosi con Ciro, era sicuro di non subire nessun torto in deroga ai patti. [9] Tant’è vero che, al tempo della guerra con Tissaferne, tutte le città scelsero di propria iniziativa Ciro e non Tissaferne, ad eccezione dei Milesi, che avevano paura di lui perché non intendeva abbandonare al loro destino gli esuli della città. [10] Amava ripetere – e i fatti lo dimostravano – che, una volta divenuti suoi amici, non avrebbe più abbandonato gli esuli di Mileto, neppure se diminuivano ancora di numero e se peggiorava la loro situazione. [11] E come la gente si comportava con lui, nel bene o nel male, Ciro cercava di ripagarla della stessa moneta e con gli interessi, lo si vedeva chiaramente. Alcuni ripetevano sovente una sua preghiera: chiedeva di vivere quanto bastasse per contraccambiare, superandoli, chi gli aveva fatto del bene e del male. [12] A lui, come a nessuno ai nostri tempi, moltissimi desiderarono affidare i beni e le città e la propria vita. [13] Non si potrebbe dire comunque che permettesse a malfattori e disonesti di prendersi gioco di lui, anzi meno di chiunque altro si risparmiava le punizioni: spesso era dato di vedere, lungo le strade più frequentate, gente priva dei piedi e delle mani e degli occhi. Perciò nel paese retto da Ciro, tanto i Greci quanto i barbari, purché non si fossero macchiati di colpe, avevano piena libertà di andare dovunque volessero, portando con sé il necessario. [14] Ai valorosi in guerra, è riconosciuto unanimemente, tributava un onore particolare. La sua prima guerra fu contro i Pisidi e i Misi. Mentre combatteva egli stesso in queste regioni, chi vedeva pronto al rischio lo nominava reggente del paese che sottometteva e poi lo onorava anche con altri doni. [15] Così appariva chiaro: egli desiderava che i forti fossero i più felici e che i vili fossero schiavi dei primi. Ecco il motivo per cui non gli mancavano certo persone disposte a rischiare, quando avessero pensato che Ciro li notasse. [16] Se gli sembrava che qualcuno volesse mettersi in luce secondo giustizia, Ciro faceva in modo che vivesse tra gli agi più di chi aspira al guadagno per vie disoneste. [17] E a molte altre cose metteva mano seguendo la giustizia e si serviva di un vero esercito. Gli strateghi e i locaghi, che per arricchirsi avevano fatto rotta verso di lui, capirono che servir bene Ciro era più vantaggioso che ricevere la paga mensile. [18] Se qualcuno eseguiva con zelo i suoi ordini, Ciro non mancava mai di premiarne l’impegno. Ecco perché si diceva che, per ogni compito, Ciro disponesse dei migliori collaboratori. [19] Vedeva un amministratore veramente capace, che, rispettando i principi dell’onestà, riordinava la regione di cui era a capo e comunque sapeva trarne proventi? Non lo rimuoveva mai dalla carica, ma gli concedeva poteri sempre più ampi. Così faticavano volentieri e guadagnavano in tutta sicurezza e non avrebbero affatto nascosto a Ciro le proprie entrate: si sapeva che non aveva invidia di chi si arricchiva alla luce del sole, anzi, piuttosto cercava di servirsi delle ricchezze di chi le teneva nascoste. [20] Quanto agli amici poi, ogni volta che stringeva legami e riconosceva persone a lui fidate e capaci di collaborare ai piani che voleva intraprendere, era bravissimo nell’arte di coltivarli, lo ammettono tutti. [21] E come pensava di aver bisogno di amici per avere dei collaboratori, per l’identico motivo cercava di garantir loro il suo appoggio determinante, quando ne avesse intuito le mete. [22] Di doni poi nessuno ne ricevette altrettanti, per mille ragioni; ma più di chiunque altro li distribuiva agli amici, tenendo conto dei gusti di ognuno e guardando soprattutto ai loro bisogni. [23] Quando gli mandavano qualcosa per la sua persona, di uso militare o un semplice ornamento, diceva – raccontano – che il suo corpo non poteva portarli tutti, ma che avere amici ornati con eleganza lo considerava il vanto più bello per un uomo. [24] Che superasse gli amici in munificenza, non stupisce affatto, perché aveva anche ben altre possibilità rispetto a loro; ma che li superasse in attenzioni e nel desiderio di procurar loro gioia, questo sì, mi sembra davvero mirabile. [25] Ciro infatti, se trovava un vino particolarmente dolce, spesso ne mandava una mezza anfora e diceva che da un bel pezzo non gliene era capitato uno migliore. «Te lo manda», aggiungeva, «e ti prega di berlo oggi stesso con le persone a te più care». [26] Non di rado inviava mezze oche, mezzi pani o altre cose del genere, ordinando a chi li portava di dire: «A Ciro sono piaciuti. Vuole che anche tu ne possa gustare». [27] Quando il foraggio era proprio scarso, mentre lui, grazie al gran numero di servi e alla sua previdenza, poteva disporne in abbondanza, lo distribuiva e così esortava gli amici: «Datelo ai cavalli che vi trasportano, non vorrei che fossero sfiniti dalla fame proprio mentre siete in sella». [28] Se mai faceva un viaggio e la gente accorreva per la smania di vederlo, chiamava i suoi amici e parlava con loro di questioni serie, per far vedere chi tenesse in onore. Perciò, sulla base delle voci che sento, stimo che nessuno, tra Greci o barbari, sia stato amato più di lui. [29] Eccone la prova: nessuno abbandonò Ciro – un suddito – per passare al re, se si eccettua il tentativo di Oronta, che comunque sperimentò ben presto che era più fedele a Ciro chi lui riteneva fedele a sé. Dalla parte del re invece molti passarono a Ciro, quando divennero nemici. E si trattava proprio degli uomini da lui più amati, che pensavano di trovare onori più consoni alle loro qualità presso la corte di Ciro che del re. [30] Ma la prova conclusiva la si ebbe negli ultimi istanti della sua vita, quando si capì che non solo era un uomo di valore, ma sapeva anche scegliere bene le persone a lui fedeli, devote e costanti. [31] Quando fu colpito a morte, tutti i suoi amici e commensali morirono combattendo per Ciro, tutti tranne Arieo, che era schierato sulla sinistra alla testa della cavalleria: come seppe che Ciro era caduto, si diede alla fuga e portò con sé tutto il reparto ai suoi ordini.
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- Anabasi di Senofonte
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