I Promessi Sposi – Analisi del Capitolo 9
Analisi del Capitolo 9 dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni
Il capitolo 9 costituisce un blocco unitario con il capitolo 10, con il quale crea una struttura ad anello contenente l’ampia analessi centrale sulla vita della monaca di Monza.
- Nel capitolo 9 : arrivo e colloquio di Lucia con Gertrude, analessi fino alla vicenda col paggio;
- Nel capitolo 10: analessi delle conseguenze della vicenda col paggio fino all’arrivo di Lucia, colloquio con Lucia.
Tema centrale appare il conflitto presentato sotto vari aspetti, da quello interiore della monaca tra opposti sentimenti a quello tra lei e il padre, dal conflitto tra apparenza e realtà a quello tra educazione volta allo sviluppo della persona ed educazione repressiva, dallo scontro tra desideri e sensi di colpa.
Il ritmo risulta perlopiù binario e, in particolare, il conflitto tra Gertrude e la famiglia si concretizza nel rifiuto del dialogo da parte di familiari e servitù.
Le vicende si svolgono nella mattina di sabato 11 Novembre 1628, con un’analessi dal 1603 a circa il 1617.
Tutti i personaggi presenti in scena mostrano generosità e delicatezza d’animo: la situazione sembra ancora sotto l’ala protettiva di padre Cristoforo e delicatissimo è il rapporto tra Renzo e Lucia che, comunicando senza parole, mostrano grande sintonia.
Il padre guardiano rompe quest’atmosfera, dimostrandosi, come tutti i padri guardiani del romanzo, il contrario di padre Cristoforo e infatti fa un complimento galante a Lucia senza tenere in conto del proprio ruolo e della sensibilità della ragazza.
L’incipit di questo capitolo ha il tono di un brusco risveglio, sottolineato dalla scelta lessicale: una parola tronca (urtar) e altre parole dai suoni vibranti (con ben cinque r): urtar, barca, contro, proda, sono seguite dalle tre s del verbo scosse che, dopo il ritmo lento e l’atmosfera poetica, dominata da suoni dolci, sembra riscuotere non solo Lucia, ma anche il lettore e lo prepara ad un’atmosfera tormentata e drammatica.
Il narratore ha preso di nuovo la distanza emotiva dai personaggi, ritornando al realismo, parlando di cose pratiche, come gli aspetti economici e le necessità fisiche, riposo e cibo.
L’atteggiamento di Manzoni nei confronti degli umili è piuttosto ambiguo: da una parte, nel ritrarre il barcaiolo e il barrocciaio, lascia trasparire un populismo di stampo romantico, che esalta la loro carità cristiana in un mondo di opportunisti, ma dall’altra parte i due umili personaggi sono trattati con un atteggiamento di superiore paternalismo e con un’ironia bonaria che rimarca il linguaggio popolare colorito.
La presentazione della monaca di Monza segue lo schema riservato ai personaggi principali, quindi una presentazione indiretta del padre guardiano. Quando poi la monaca entra in scena, ogni particolare fornisce un indizio del suo carattere e della sua storia, a partire dalla sua segregazione dietro una grata, isolata dal mondo, come una prigioniera o un essere misterioso.
Si passa ad una lingua raffinatissima per il ritratto, uno dei più belli della letteratura, che riesce a cogliere, attraverso particolari fisici abilmente contrapposti, le espressioni del volto e la posizione delle mani, oltre che un dramma interiore profondo. La descrizione è fondata su espressioni indeterminate (poteva dimostrar venticinque anni) correlate ( talora…in certi momenti….altre volte…quando..chi…chi…) e corrette continuamente dall’avversativa ma.
Il ritratto procede dall’alto al basso; il conflitto interiore è visualizzato nell’opposizione coloristica del bianco e del nero, cu cui spicca il roseo sbiadito, unica nota di colore, come di vitalità, di quel “ fiore sfiorito”.
I movimenti degli occhi diventano indizi, riflessi visibili dell’anima, anche se solo un attento osservatore avrebbe potuto leggervi la contraddizione dei sentimenti; è forse l’abbigliamento a fornire il maggior indizio della natura morale del conflitto della monaca: il bisogno di apparire elegante e di mostrare i capelli si rivela come l’estremo tentativo di salvare una femminilità che l’abito monacale vuole negare.
Dopo l’entrata in scena, il comportamento della monaca fornisce ulteriori indizi: dietro la grata guardava fisso Lucia, che veniva avanti esitando, ad evidenziare il forte contrasto tra il modo deciso della monaca e la timidezza della ragazza che, con la suore, costituisce un doppio speculare, tante le differenze che le separano.
Nel dialogo con il padre guardiano spicca la doppiezza ambigua, la diplomazia di Gertrude e la curiosità morbosa della donna assetata di avventure erotiche: il frate le ricorda che le sue devono essere orecchie purissime, perché è una monaca, e lei arrossisce, ma non per pudore, bensì per la rabbia di non aver potuto soddisfare la sua curiosità, come suggerisce il narratore, o forse anche per la vergogna di essere stata colta in flagrante a parlare di un argomento tabù, il sesso.
Il terzo momento della presentazione di Gertrude è la sua biografia, che occupa largo spazio, sebbene più ristretto rispetto al Fermo e Lucia, dove formava quasi un romanzo nel romanzo. Accanto a lei, la costruzione della figura del padre che il cattolico Manzoni delinea come eroe del male, che agisce contro la legge della natura e della ragione e che non è giustificabile per le sue responsabilità individuali.
Il principe opera sulla figlia un progetto diabolico e, insieme, geniale. Le impone un nome atto a suscitare già fonicamente un’idea di potere, una realtà che, come uno specchio, deve modellare la sua personalità, reprimere i suoi desideri amorosi, tutti ispirati dai racconti delle sue compagne che plasmano, nella mente di Gertrude, un’idea deviata dell’amore.
Come ha detto della suora il padre guardiano, chi la sa prendere per il suo verso, le fa far ciò che vuole: le monache, esecutrici del volere del principe, sanno che il suo verso sono i sensi di colpa, perché su di essi è basata l’educazione della ragazza, e l’ignoranza in cui viene tenuta, la scarsa consapevolezza di sé e dei suoi diritti.
Così le fanno credere che la supplica al vicario sia una pura formalità e la inducono a scriverla, primo errore; pentendosene subito dopo e intuendo la verità, Gertrude tenta di convincere il padre con una lettera, secondo errore.
Il principe, per punirla di aver osato chiedere il diritto a una libera scelta, trasforma il soggiorno della figlia a casa in una scena claustrale angosciosa, che distrugge i suoi sogni, aumenta i suoi sensi di colpa e le toglie anche l’orgoglio a cui era stata educata, relegandola tra i servi e ordinando loro di trattarla freddamente.
L’unica via di fuga è quella seguita da tutte le donne, il matrimonio. Quando vede quello che il narratore chiama ragazzotto e che poi il principe chiamerà ragazzaccio, lo eleva alla condizione di paggio e gli sovrappone l’idea del principe azzurro che tanto aveva sognato negli anni, immergendosi nelle fantasie di un romanzo d’amore.
L’ultima scena del capitolo si apre con l’attesa angosciosa della punizione, descritta con focalizzazione interna di Gertrude attraverso il suo udito. È una caratteristica del romanzo, quando incombe una minaccia, è spesso un rumore in avvicinamento ad annunciarla al soggetto.
La punizione è terribile, perché distrugge anche le fantasie di Gertrude: il padre gioca in modo crudele con la psiche della figlia, negandole ogni forma di conoscenza della verità, impadronendosi dei mezzi tipici dei gesuiti, mistero e presenza di una carceriera che ricorda costantemente a Gertrude il suo errore e mantiene viva la vergogna, lasciandola sola in una cella senza alcuna occupazione che possa distrarla dalle sue ossessioni.
L’effetto nell’animo della ragazza è proprio quello che il principe aveva previsto e voluto: prova disgusto non solo del mondo che il padre ha avuto l’abilità di mostrarle, ma anche delle sue liete e brillanti fantasie d’una volta, che hanno procurato in lei simili angosce .
Le restano solo il monastero e la condizione di monaca festeggiata, ossequiata e ubbidita, con cui può appagare il bisogno di espiare e ottenere affetto.
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