Posto al centro del capitolo, il grande dialogo fra il conte zio e il padre provinciale ricorda il dialogo fra padre Cristoforo e don Rodrigo (cap. VI); sia per il fatto che i contendenti attuali sono i sostituti di quelli di allora; sia per metodo diverso con il quale è condotta la nuova contesa.
Se, infatti, anche questo incontro, come quello ricordato, fa pensare ad un duello, in realtà si traduce solo in un seguito di schermaglie. Mentre nel primo si affrontano apertamente la verità è la carità di padre Cristoforo con la violenza e la falsità di don Rodrigo, in questo caso l’ostilità fra i due contendenti è celata dall’ipocrisia. Ma dal modo col quale Io scrittore rappresenta il comportamento dei due protagonisti emerge chiaramente che entrambi si avvalgono dell’astuzia coperta dall’ipocrisia.
Fra i due personaggi il conte zio è rappresentato con una connotazione più comica, il padre provinciale con un taglio più drammatico. Tutto è vuoto e falso in lui, fuorché l’orgoglio, sul quale sa far leva la cinica astuzia del nipote Attilio: allora la scatola vuota diventa un meccanismo caricato e pericoloso contro il pade provinciale.Con questo dialogo si fronteggiano due poteri: quello laico e quello ecclesiastico, come era accaduto nel capitolo VI con Lodovico e Don Rodrigo. Durante il dialogo il conte zio usa un tono amichevole, confidenziale, mentre il padre provinciale capisce e commenta dentro di se il senso delle parole dell’interlocutore. La sua preoccupazione è tutta rivolta all’onor dell’abito. Il provinciale, rinunciando a difendere apertamente il “vero morale” rinuncia anche al suo ruolo e si lascia sconfiggere da un avversario che gli sarebbe decisamente inferiore.
Amaro certo risulta il senso profondo dell’episodio, in quanto la cristiana virtù della prudenza, che si propone il controllo delle passioni per il trionfo del “vero morale”, è contaminata dall’ipocrisia, che controlla a sua volta l’orgoglio.
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