Capitolo XX - Analisi del Dialogo fra Don Rodrigo e l'Innominato

Capitolo XX - Analisi del Dialogo fra Don Rodrigo e l'Innominato

Promessi Sposi Capitolo 20: dialogo fra Don Rodrigo e l'Innominato; analisi della vicenda con approfondimento sul testo e tematiche trattate.

Promessi Sposi – Capitolo 20: analisi del dialogo fra Don Rodrigo e l’Innominato

Don Rodrigo, per portare a termine la decisione di vincere la scommessa con Attilio, di rivolgersi all’Innominato. Decide di rivolgersi a costui perché era il personaggio più potente del luogo e con cui aveva voluto mantenere rapporti formalmente rispettosi, pur senza sbilanciarsi dato che l’Innominato era pur sempre un uomo che andava contro la legge. Per descrivere l’Innominato Manzoni fa riferimento agli autori, alle opere che hanno parlato di questo personaggio e sembra quasi che si voglia scusare con i lettori delle poche informazioni disponibili sulla sua identità. Maggiori notizie si hanno sulle azioni compiute da questo personaggio, tutte finalizzate a suscitare rispetto attraverso il terrore, tanto che tutti gli si rivolgevano fidando più in lui che nella giustizia, sia che avessero torto, sia che avessero ragione.

Le azioni compiute da questo personaggio non sono però del tutto malvagie: qualche volta avevano richiesto il suo aiuto anche persone povere e oneste come possono esserlo Renzo, Lucia e Agnese, e lui aveva accettato di aiutarle. In questi casi il suo nome veniva benedetto, anche se per poco, e Manzoni registra che era l’unico modo perché i deboli avessero giustizia in quei tempi. Per le sue malefatte l’Innominato era stato costretto ad allontanarsi dalla Lombardia senza però mai interrompere le sue attività e ritornando in territorio lombardo vicino al confine con il Veneto per potervisi eventualmente rifugiare. Anche la differenza di termini che Manzoni usa per indicare le abitazioni di Don Rodrigo e dell’Innominato rilevano la differenza tra i due personaggi. L’abitazione di Don Rodrigo viene definita “Palazzotto”, quella dell’Innominato viene definita da Manzoni “Castellaccio”.

L’Innominato ha scelto consapevolmente di dettar legge e di vivere al di fuori e al di sopra delle leggi, Don Rodrigo invece “Voleva ben sì fare il tiranno, ma non il tiranno selvatico…”. Non avendo altra scelta, comunque, Don Rodrigo decide di rivolgersi all’Innominato e una mattina parte con i suoi bravi, facendo finta di andare a caccia, per raggiungere il castellaccio. Questo era situato su un’altura, in modo da dominare tutta la valle e si poteva raggiungere solo da un sentiero che era facilmente controllabile dalle feritoie del castello. Il paesaggio è brullo, aspro, selvatico e riflette il carattere del personaggio stesso che lo abita (L’Innominato), che non aveva voluto niente e nessuno al di sopra di lui. All’imboccatura del sentiero più ripido c’è una taverna dove si fermano i bravi di Don Rodrigo. L’Osteria riportava due soli raggianti sull’insegna, ma era conosciuta da tutti come Malanotte. Al suo interno si trovano gli sgherri dell’Innominato; riconosciuto Don Rodrigo lo salutano rispettosamente come amico del loro padrone e Don Rodrigo consegna con noncuranza lo schioppo ai bravi dell’Innominato insieme a alcune monete d’oro, mentre ai suoi che lo aspetteranno all’Osteria lascia delle monete di minor valore.

Solo con il Griso, Don Rodrigo inizia la salita, si unisce a loro un altro bravo dell’Innominato e quindi Don Rodrigo e il Griso non avranno poi altri intoppi per arrivare al castello perché sono in compagnia di questa persona. Le stanze percorse da Don Rodrigo sono buie e piene di armi, oltre che di bravi che fanno la guardia. Finalmente Don Rodrigo è ammesso alla presenza dell’Innominato che ricambia il saluto ma nello stesso tempo rivela la sua diffidenza guardando le mani e il viso di Don Rodrigo.
Manzoni lo descrive come “Grande, bruno, calvo”, con pochi capelli bianchi, il volto segnato dalle rughe ma con occhi vivaci che indicavano ancora forza d’animo e di corpo. Don Rodrigo rivolge la sua richiesta di aiuto e di consiglio e esagerando la difficoltà dell’impresa, dello “Scellerato imbroglio”, cerca di solleticare la vanità dell’Innominato. Questi decide subito di dare il proprio assenso quando sente nominare Fra Cristoforo, sua antipatia per l’inimicizia aperta che aveva nei confronti dei tiranni. L’ostacolo presentato da Don Rodrigo come insormontabile, il monastero in cui Lucia si era rifugiata, all’Innominato sembra una sciocchezza, vista la sua conoscenza con Egidio: sembra proprio che egli voglia misurare di nuovo la sua capacità di fare del male che negli ultimi tempi non gli dava più quella soddisfazione che in genere provava ma anzi gli procurasse se non un rimorso, una qualche forma di ansia.

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