Ab urbe condita, Capitolo XXIX, 10, 4-8 - Studentville

Ab urbe condita, Capitolo XXIX, 10, 4-8

Civitatem eo tempore repens religio inuaserat inuento carmine in libris Sibyllinis propter crebrius eo anno de

caelo lapidatum inspectis, quandoque hostis alienigena terrae Italiae bellum intulisset eum pelli Italia uincique posse si

mater Idaea a Pessinunte Romam aduecta foret. id carmen ab decemuiris inuentum eo magis patres mouit quod et legati qui donum

Delphos portauerant referebant et sacrificantibus ipsis Pythio Apollini omnia laeta fuisse et responsum oraculo editum maiorem

multo uictoriam quam cuius ex spoliis dona portarent adesse populo Romano. in eiusdem spei summam conferebant P. Scipionis

uelut praesagientem animum de fine belli quod depoposcisset prouinciam Africam. itaque quo maturius fatis ominibus oraculisque

portendentis sese uictoriae compotes fierent, id cogitare atque agitare quae ratio transportandae Romam deae

esset.

Versione tradotta

Un’

improvvisa superstizione aveva invaso la città in quel tempo, trovato un carme nei libri sibillini, esaminati a causa della

troppo frequente caduta di pietre dal cielo in quell’anno, (cioè che) qualora il nemico straniero avesse portato guerra alla

terra dell’Italia, quello poteva essere cacciato dall’Italia e vinto se la madre Idea fosse stata trasportata a Roma da

Pessinunte. Quel carme trovato dai decemviri tanto più ammonì i senatori che, cosa che anche i legati, che avevano portato un

dono a Delfi, riferivano, e, facendo sacrifici proprio quelli ad Apollo Fizio, tutte le cose erano state liete e era stato

comunicato dall’oracolo il responso che per il popolo romano ci sarebbe stata una vittoria molto più grande di quella dalle cui

spoglie portavano doni. Nella sommità della medesima speranza univano l’animo di Publio Scipione, che quasi presagiva la fine

della guerra perché aveva richiesto la provincia dell’Africa. Perciò, affinché più opportunamente fossero padroni della

vittoria preannunciata dal fato, dai presagi e dagli oracoli, pensava e meditava su quale fosse il mezzo per trasportare a Roma

la dea.

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