Imperator Marcus Aurelius Antoninus, qui Caracallae nomen accepit a vestimento demisso usuque ad talos, iuvenis ingenio malo pravoque fuit. Post patris mortem in castra praetoria pergens apud milites de Geta fratre multas querelas et criminationes edidit: “Frater meus vicem amori fraterno numquam reddidit, immo mihi (dat., a me) graves insidias semper paravit”. Itaque Geta, falso insimulatus, a militibus praetorianis in matris complexu occisus est. Caedis auctoribus Caracalla, publice gratias agens, stipendium auxit. Sed milites in castris apud Albam Getae necem aegre ferentes, dictitabant: “Nos omnes fidem et Caracallae et Getae, Severi liberis, promiseramus; ideoque utrique fidem servare debemus”. Itaque portae clausae sunt et imperator in castra admissus non est, donec magnitudine stipendii militium animos placavit, atque inde Romam rediit.
Versione tradotta
L'imperato Marco Aurelio Antonino che prese il nome di Caracalla dall'abbigliamento (demisso cercalo) fino ai talloni, fu un giovane di ingegno malvagio e cattivo. Dopo la morte del padre continuando nell'accampamento pretorio presso i soldati molte lamentele sul fratello Geta e (edidit cerca) accuse: mio fratello non restituisce mai l'amore fraterno, invece a me prepara sempre insidie gravi. E così Geta, accusato con del falso, venne ucciso al cospetto della madre dai soldati pretoriani. Caracalla aumentò, rendendo pubbliche grazie, lo stipendio agli autori della delitto. Ma i soldati sopportando nell'accampamento presso Alba l'uccisione di Geta, dicevano: noi tutti abbiamo promesso di conservare fiducia sia a Caracalla che a Geta, figli di Severo, e così ad entrambi dobbiamo prestare fede. E così vennero chiuse le porte e l'imperatore non fu ammesso all'accampamento, finchè placò gli animi dei soldati con un maggiore stipendio e poi tornò a Roma.
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