Ni te plus oculis meis amarem,
iucundissime
Calve, munere isto
odissem te odio Vatiniano:
nam quid feci ego quidve sum locutus,
cur me tot male perderes poetis?
isti di mala multa dent clienti,
qui tantum tibi misit impiorum.
quod si, ut suspicor, hoc novum ac repertum
munus
dat tibi Sulla litterator,
non est mi male, sed bene ac beate,
quod non dispereunt tui labores.
di magni, horribilem
et sacrum libellum!
quem tu scilicet ad tuum Catullum
misti, continuo ut die periret,
Saturnalibus, optimo dierum!
non non hoc tibi, false, sic abibit.
nam si luxerit ad librariorum
curram scrinia, Caesios, Aquinos,
Suffenum,
omnia colligam venena.
ac te his suppliciis remunerabor.
vos hinc interea valete abite
illuc, unde malum pedem
attulistis,
saecli incommoda, pessimi poetae.
Versione tradotta
Se non t'amassi più dei miei
occhi,
piacevolissimo Calvo, per codesto regalo
t'odierei di odio vatiniano:
cosa ho fatto e cosa ho
detto,
perché mi rovinassi con tanti poeti?
Gli dei diano molti mali a questo cliente,
che ti spedì così tanto di
empi.
Che se, come sospetto, questo strano e geniale
dono te lo dà il maestrucolo Silla,
non mi va male, ma bene e
deliziosamente,
perché le tue fatiche non vanno in malora.
O dei garndi, che orribile ed esecrando libretto!
E tu
naturalmente lo spedisti al tuo Catullo.
Perché crepasse subito il giorno
dei Saturnali, il migliore dei giorni!
No,
questo non passerà così, falsaccio.
Se verrà giorno, correrò agli scaffali
dei librai, i Cesi, gli Aquini,
il Suffeno,
raccoglierò tutti i veleni.
Ma ti ripagherò di queste torture.
Voi intanto addio, di qui andatevene
la, da dove
moveste il passo sciagurato,
rovine del secolo, pessimi poeti.
- Letteratura Latina
- Carmina 1-30
- Catullo