Suffenus iste, Vare, quem probe nosti,
homo
est venustus et dicax et urbanus,
idemque longe plurimos facit versus.
puto esse ego illi milia aut decem aut plura
perscripta, nec sic ut fit in palimpsesto
relata: cartae regiae, novi libri,
novi umbilici, lora rubra membranae,
derecta plumbo et pumice omnia aequata.
haec cum legas tu, bellus ille et urbanus
Suffenus unus caprimulgus aut
fossor
rursus videtur: tantum abhorret ac mutat.
hoc quid putemus esse? qui modo scurra
aut si quid hac re scitius
videbatur,
idem infaceto est infacetior rure,
simul poemata attigit, neque idem umquam
aeque est beatus ac poema
cum scribit:
tam gaudet in se tamque se ipse miratur.
nimirum idem omnes fallimur, neque est quisquam
quem non in
aliqua re videre Suffenum
possis. suus cuique attributus est error;
sed non videmus manticae quod in tergo est.
Versione tradotta
Codesto Suffeno, Varo, che ben conosci,
è persona graziosa,
garbata, cortese,
inoltre fa moltissimi versi, di gran lunga.
Io penso ne abbia perfezionati o diecimila
o più, e non
redatti così come capita
in palinsesto: carte regie, nuovi libri,
nuove borchie, nastri rossi di pergamena,
rifiniti a
piombo e tutti levigati a pomice.
Quando tu li legga, quel simpatico e cortese
Suffeno unico subito diventa un
capraio
o un villano: tanto fa schifo r cambia.
Che pensiamo sia questo? Chi ora sembrava
un giullare o qualcosa di
più bello di ciò,
lo stesso è più insulso d'un insulso campagnolo,
appena tocca la poesia, e proprio non è mai
così
felice come quando scrive una poesia:
gode così tanto dentro di sé e lui stesso si ammira.
Senz'altro ugualmente tutti
sbagliamo, non c'è nessuno
che tu non possa riconoscere in qualcosa come
Suffeno. A ciascuno è assegnato un proprio
difetto;
ma non lo vediamo quella parte di bisaccia che è di dietro.
- Letteratura Latina
- Carmina 1-30
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