Carme 50 di Catullo: Versione Tradotta
Hesterno, Licini, die otiosi
multum lusimus in meis tabellis,
ut convenerat esse delicatos:
scribens versiculos uterque nostrum
ludebat numero modo hoc modo illoc,
reddens mutua per iocum atque vinum.
atque illinc abii tuo lepore
incensus, Licini, facetiisque,
ut nec me miserum cibus iuvaret
nec somnus tegeret
quiete ocellos,
sed toto indomitus furore lecto
versarer, cupiens videre lucem,
ut tecum loquerer, simulque ut
essem.
at defessa labore membra postquam
semimortua lectulo iacebant,
hoc, iucunde, tibi poema feci,
ex quo
perspiceres meum dolorem.
nunc audax cave sis, precesque nostras,
oramus, cave despuas, ocelle,
ne poenas Nemesis
reposcat a te.
est vehemens dea: laedere hanc caveto.
Versione tradotta
Ieri, Licinio, liberi
molto giocammo sulle mie tavolette,
come si addiceva che fosse per dei raffinati:
scrivendo
versicoli ognuno di noi
giocava col metro ora questo ora quello,
rispondendoci a vicenda tra scherzo e vino.
E mene
andai da lì accesso, Licinio,
dal tuo garbo e spirito,
che , povero me, né il cibo mi giovava
né il sonno copriva di
quiete le pupille,
ma indomito mi volgevo per tutto il letto
con smania, bramando di veder la luce,
per parlare con
te, e per starti insieme.
Ma dopo che la membra stanche di fatica
giacevan semimorte sul lettuccio,
ti feci,
carissimo, questa poesia,
da cui intravedessi il mio dolore.
Ora guardati dall’esser audace, prego, guarda
di non
disprezzare, (mia) pupilla, le nostre preghiere,
perché Vendetta non ti chieda di pagare il fio.
E’ una de furiosa:
guardati dal colpirla.
- Letteratura Latina
- Carmina 31-60
- Catullo