Surripui tibi, dum ludis, mellite Iuventi,suaviolum
dulci dulcius ambrosia.verum id non impune tuli: namque amplius horamsuffixum in summa me memini esse cruce,dum tibi me purgo
nec possum fletibus ullistantillum vestrae demere saevitiae.nam simul id factum est, multis diluta labellaguttis abstersisti
omnibus articulis,ne quicquam nostro contractum ex ore maneret,tamquam commictae spurca saliva lupae.praeterea infesto miserum
me tradere amorinon cessasti omnique excruciare modo,ut mi ex ambrosia mutatum iam foret illudsuaviolum tristi tristius
elleboro.quam quoniam poenam misero proponis amori,numquam iam posthac basia surripiam.
Versione tradotta
Ti rubai,
mentre giocavi, mielato Giovenzio,
un bacetto più dolce della dolce ambrosia.
Ma non l'ho passata impunemente: ma più
d'un'ora
mi ricordo di essere stato piantato in cima ad una croce,
mentre per te mi purgavo né potevo con alcun
pianto
togliere un pochino della vostra crudeltà.
Appena infatti ciò accadde, astergesti i labbrucci
bagnati di molte
gocce con tutte le dita,
che non rimanesse nulla contatto dalla nostra bocca,
come per la sporca saliva d'una
scompisciata lupa.
Inoltre non cessasti di consegnare me misero ad un crudele
amore e tormentarmi in ogni
modo,
perché da ambrosia mi fosse mutato ormai quel
bacetto più triste del triste elleboro.
Poiché una tal pena
proponi al misero amore,
mai più in futuro ruberò dei baci.
- Letteratura Latina
- Carmina 91-116
- Catullo