Per comprendere il significato di tale affermazione bisogna aver chiari i capisaldi dell'idealismo hegeliano, in particolare la tesi di fondo per cui il finito si risolve nell'infinito. Secondo H la realtà non è un insieme di parti autonome ma un organismo unitario che coincide con l'Infinito, la ragion d'essere di ogni realtà. Le varie parti del mondo, invece, sono solo manifestazione di esso e coincidono con il finito, espressione parziale dell'infinito. Così il finito esiste unicamente nell'infinito e in virtù di esso. Tale concezione dell'Infinito però non è statica, esso si identifica con un soggetto spirituale in divenire: la realtà si identifica con un processo di autoproduzione che segue varie tappe di realizzazione e solo alla fine giunge a rivelarsi per quella che è veramente. L'Infinito hegeliano coincide con il raggiungimento dell'intero cioè con il suo completo sviluppo per cui esso può rivelarsi per ciò che è in verità. Inoltre, secondo H la ragione è in grado di conoscere il vero, cioè l'infinito inteso come intero, come sintesi di tutte le determinazioni finite. Da qui, la sua critica sia nei confronti dell'idealismo di Fichte e Schelling che non è in grado di pensare assieme finito e infinito, sia della ragione kantiana che si autolimita dinanzi a tale conoscenza.
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