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Ciociara di A. Moravia La letteratura neorealista nasce per delle esigenze culturali che volevano in primo luogo isolare gli scritti ermetici perché considerati di disimpegno, sia letterario che politico, infatti il neorealismo si pone come “letteratura della presenza”, in quanto testimone della realtà storica, sociale e politica. Inoltre si voleva creare un nuovo protagonista: il popolo, e l’intellettuale ne era il portavoce. L’Italia era stata divisa ulteriormente dopo la seconda guerra mondiale e la distinzione tra nord e sud era ancora molto presente; l’intellettuale tuttavia cercava di scrivere, seppur prendendo spunto dai fatti della propria terra, una realtà generale. Seppur l’opera “la ciociara” sia collocata verso la fine del periodo neorealista, ho voluto comunque parlarne perchè mi è sembrata quella che meglio ha saputo delineare i caratteri essenziali di questo movimento storico, letterario e cinematografico. TRAMA: Cesira è una contadina della Ciociaria, venuta a Roma dopo aver sposato un uomo pizzicagnolo, fondamentalmente onesta e sana, pur essendo molto attaccata alla roba. Vedova da qualche tempo, ha allevato la figlia Rosetta in modo del tutto riservato e timido, ma con sincera confidenza e affettuosità. Intanto la guerra incombe su Roma. I tedeschi hanno occupato la città e gli americani dal sud premono sui tedeschi. La vita in città è diventata impossibile anche perché scarseggiano i viveri e i pericoli della guerra sono sempre più minacciosi. Per questo Cesira e la figlia fuggono da Roma per rifugiarsi verso le montagne della Ciociaria (Lazio e Campania). Ma a contatto con la nuova realtà del paese e della campagna per la mutata situazione economica e per la scarsità di cibo, fanno una triste esperienza in mezzo ai vizi e alle viltà degli uomini. I tedeschi e i fascisti fanno razzie di uomini, di animali e di cose; tutti rubano come possono, tutti tradiscono per farsi spazio in mezzo a tanta miseria. Fra i tanti sfollati le due incontrano Michele, figlio del negoziante Filippo. Padre e figlio non vanno d’accordo; il figlio ha studiato ed ha un gran disprezzo per la borghesia e per il padre, il quale si vanta di non esser fesso, perché fessi sono coloro che credono a quello che c’è scritto nei giornali, pagano le tasse, vanno in guerra e magari muoiono. Moravia chiama questo personaggio Michele, come il protagonista de “gli indifferenti” (primo romanzo neorealista), in realtà è tutto l’opposto. Michele prende spunto dalle parole di Karl Marx e rimprovera chi non è convinto che la guerra dei fascisti sia un atto di prepotenza e di violenza contro ogni forma di libertà. Purtroppo muore (anche se nel romanzo non è chiara la morte), scompare dalla scena, costretto con le armi ad accompagnare dei tedeschi che non conoscevano la strada, proprio nel momento in cui gli americani avevano sfondato il fronte tedesco, rimanendo inflitto nel cuore di Cesira e Rosetta come esempio di uomo puro e innocente, come il paesaggio in cui temporaneamente, tra le colline, si erano rifugiate. Ma quando le due donne lasciano quel rifugio in montagna, con l’arrivo degli anglo-americani, povere come non mai, ma ricche di una nuova esperienza di vita e di dolore, proprio allora la loro avventura si scioglie in un dramma più cruento. Vengono infatti raggiunte da un gruppo di soldati mercenari marocchini in una chiesa bombardata e violentate. Sono le pagine più drammatiche del romanzo e nella sua disperazione interiore, Cesira vede la figlia cambiare giorno per giorno sotto i suoi occhi; infatti si accorge che Rosetta su concede facilmente a tutti gli uomini che incontra e che la soccorrono; sembra quasi che con la guerra sia cambiata anche la morale. Si è verificato anche quello che diceva Michele spiegando la resurrezione di Lazzaro: “tutti siamo putrefatti, perciò è necessario risorgere”, anche il suicidio che Cesira sogna non avrebbe senso, perché la vita deve continuare: “così dovev (segue nel file da scaricare)
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